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INTERVISTA A MARCO BASCETTA - 16 OTTOBRE 2001


Laddove, però, questa idea, fosse anche il frutto di una storia millenaria di inganni, è molto radicata nella testa dei soggetti, ancor più lo era allora; forse oggi sarebbe più facile operare al di fuori di questa categoria del progetto della società futura. Però, sull'altro versante si riconoscevano dei soggetti reali, appunto l'operaio-massa, cioè l'operaio di linea immigrato dal meridione e mandato magari dai parroci, mentre la vecchia tradizione comunista considerava solo la vecchia figura dell'operaio di mestiere, politicizzato, e i nuovi operai li riteneva una minaccia, una massa amorfa, una moltitudine minacciosa che avrebbe rotto la coesione e la capacità di progetto e di pensiero della classe operaia. Invece, questo soggetto entra, in maniera molto contingente e molto vissuta, in radicale contraddizione con le condizioni di vita in cui si trova, con il lavoro salariato dentro cui è inserito, e crea una realtà di conflitto che incide sulle condizioni di vita della classe operaia, cosa che invece la lunga marcia verso il sole dell'avvenire non riesce più a fare. C'era dunque questo doppio elemento, la capacità di includere nuovi soggetti, ma nello stesso tempo l'incapacità di tradurre questa inclusione in una grande visione progettuale. Tuttavia, non si trattava solo di un'incapacità, era una cosa realmente voluta, insita in quel modo di vedere le cose.


Come le categorie moderne della politica e del politico, intese come gestione e come progetto di trasformazione, possono secondo te essere ridefinite, reinterpretate, ripensate anche in relazione al venire fuori di ancora embrionali ma già importanti movimenti che sembrano marcare una discontinuità grossa rispetto a due decenni particolarmente difficili come gli anni '80 e '90?

Io credo che questa contraddizione di fondo tra contingenza e progetto sia una cosa che tuttora segna l'epoca in cui viviamo, le condizioni in cui ci troviamo a muoverci. Questo perché partiamo da un terreno di (mi si scusi il bisticcio) radicale sradicamento, in cui le tradizioni sono state messe in crisi dove non addirittura spazzate via, in cui le identità sono tutte fragili, e aggiungo tra parentesi, per fortuna, perché laddove riemergono come momenti identitari forti lo fanno in forme mostruose, come nelle piccole patrie etniche o nei fondamentalismi. Quindi, questo forte sradicamento è parecchio in contraddizione con un disegno compiuto di società verso la quale muovere. Però, nello stesso tempo è una condizione che ha in comune molte cose: diciamo appunto una comunità dei senza comunità (o dei senza più comunità), la quale non nel senso di un progetto generale di società diversa, ma entrando nel merito delle condizioni di vita e della cooperazione sociale incomincia a riconoscere e anche ad articolare i modi di vita che vuole difendere dalla sussunzione capitalistica, o che vuole affermare come miglioramento della propria condizione. Dunque, è di nuovo dentro una contingenza, nella dimensione di una soggettività che si crea e si riconosce nel momento in cui agisce, non è data cioè sociologicamente, ma è data dai processi vitali, produttivi, lavorativi, comunicativi, intellettuali dentro i quali è inserita. Nel mentre agisce sviluppa anche i suoi temi, i suoi terreni, le sue parole d'ordine. Si differenzia, a partire da un patrimonio comune, sviluppandolo in questo suo differenziarsi, invece di confluire, di rinuncia in rinuncia, verso una volontà generale, un bene comune. Moltitudine contro popolo per dirlo con una formula che richiama due concetti classici e che è tornata in primo piano. Il movimento contro la globalizzazione liberista, secondo me, funziona abbastanza così. Infatti non è che lo si possa spiegare come una sommatoria sociologica di indios della Selva Lacandona, sindacati di sinistra, organizzazioni cattoliche, volontarie ecc.: è un insieme che trascende in qualche modo queste singole storie ancora troppo strettamente identitarie, le rimescola proprio in una moltitudine chiamiamola antagonistica (per quanto sia abusato il termine) che afferma dei suoi temi, dei suoi punti di vita, delle sue rivendicazioni, attraverso le quali è leggibile un disegno di rapporti sociali in controluce, ma non un disegno che annulli e sacrifichi questa molteplicità. Non ci sono più i marxisti-leninisti che dicono che la società ideale è la Cina, o i figli dei fiori che già hanno la loro rappresentazione di società ideale attraverso le comuni agricole con amore, musica ecc.

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