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INTERVISTA AD ALBERTO ASOR ROSA - 24 OTTOBRE 2001


Quindi, Classe Operaia nasce come risultante di questa spaccatura e ad opera di coloro i quali ipotizzano che il grande sciopero dei metalmeccanici apra un processo di una certa natura; gli altri, invece, compreso Raniero, non dico che si tirano indietro, ma non fanno la stessa ipotesi, pensano cioè che il cammino tradizionale debba essere ancora percorso. Sulla prima valutazione avviene (se si possono usare queste parole enfatiche) la saldatura tra il gruppo operaista radicale di Alquati e compagni e il gruppo di Roma, mentre gli altri continuano a fare ancora tre numeri dei Quaderni Rossi, fino a che Raniero sopravvive.


Quali sono invece stati i limiti e le ricchezze di Classe Operaia, nelle sue diversità rispetto all'esperienza dei Quaderni Rossi?


Classe Operaia era un giornale di intervento, Quaderni Rossi no. Classe Operaia faceva il tentativo di essere contemporaneamente una rivista di impianto e di impostazione teorica e di intervento militante, doveva essere un giornale di organizzazione operaia, sulla base dell'ipotesi trontiana che bisognasse ritradurre, modellandola sulla realtà operaia di quegli anni, l'ipotesi leninista di organizzazione. Quindi, non solo facevamo il giornale, ma andavamo (dove naturalmente risultava possibile alle nostre limitatissime forze) a distribuirlo davanti alle fabbriche e cercando di organizzare gruppi operai consenzienti. In questa seconda fase, tra l'ultima parte dei Quaderni Rossi e Classe Operaia, si aggiunge un nuovo protagonista che è Negri, portatore di una ricca esperienza politica, perché lui era il segretario della Federazione Socialista a Padova e aveva un seguito molto più consistente del nostro, di natura sia intellettuale sia operaia. Quindi, il suo ingresso allarga di parecchio (anche se parliamo sempre di un'esperienza limitata) le dimensioni iniziali del gruppo. Dunque, ci sono dei punti di riferimento a Torino, a Milano, a Padova, a Pisa, a Firenze, a Roma e qualche cosa nel Sud, a livello di gruppi organizzati e operativi sul doppio versante del dibattito culturale e dell'attività militante.


Romano ipotizza che l'operaismo si sia mosso all'interno di un particolare poligono, che ha come vertici la politica e il politico, gli operai e l'operaietà, la cultura e la questione degli intellettuali, e una dimensione giovanile e generazionale. Riguardo ai vertici di questo poligono, quanto secondo lei l'operaismo ha saputo costruire delle diversità effettive rispetto alla tradizione socialcomunista?

Su tre dei quattro vertici mi pare che non ci possa essere discussione, mentre sull'ultimo (quello dei giovani) ho qualche dubbio. Dunque, il disegno di Romano mi sembra abbastanza esatto. C'era una dimensione politica fortemente connotata in senso marxista, in taluni anche leninista mentre in altri un po' meno: ad esempio, i compagni del Nord di questo gruppo lo erano assai meno, ma tra noi e Toni Negri su questo c'era un sostanziale accordo, quindi c'era l'idea di una politica che si fa organizzazione, tema molto dibattuto e molto sentito, una politica che organizza le forze. La partita veniva tutta giocata sull'idea (che poi è diventata di dominio comune, ma allora lo era molto meno) che ci fosse un soggetto nuovo dello scontro politico e cioè l'operaio-massa: tutto quello che era accaduto tra gli anni '50 e '60 e che il Movimento Operaio tradizionale, sindacato anche, stentava a riconoscere, era un argomento ricorrente nel dibattito e nell'analisi di Classe Operaia, del gruppo torinese, milanese e così via. Quindi, l'idea era di mettere insieme queste due cose e rendere la miscela esplosiva senza necessariamente ricorrere al linguaggio delle armi. Poi fu aperto un fronte di tipo culturale e intellettuale, di polemica contro tutte le posizioni più tradizionali del Movimento Operaio, di polemica filosofica sui fondamenti della tradizione comunista italiana, e anche un discorso sulla questione degli intellettuali nel loro rapporto con la classe operaia. Quindi, c'era una certa ricchezza di campi di indagine, di presenza e anche del loro intreccio, per cui non credo si possa definire questa un'esperienza primitivista. Sulla questione giovanile sono un po' meno d'accordo, innanzitutto perché i protagonisti a questo punto della loro storia sono dei trentenni: sono giovani, ma non nel senso in cui più tardi questo termine è diventato una caratterizzazione di tipo socio-antropologico.

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