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INTERVISTA AD ALBERTO ASOR ROSA - 24 OTTOBRE 2001


Tali "Tesi" davano una risposta a questi interrogativi di fondo, con l'idea di una democrazia proletaria che nasceva dal basso, che controllava ed era in grado di controllare gli assetti più dichiaratamente statuali del sistema socialista. Credo che sia stato questo l'elemento di contatto che ci ha spinti a trovare in lui un punto di riferimento. Panzieri penso di averlo conosciuto io personalmente attraverso la mediazione di un'altra persona che girava nel nostro ambito, una storica dell'economia che si chiama Ester Fano, la quale lo conosceva in quanto era filosocialista.


Analizzando l'esperienza dei Quaderni Rossi, non in chiave di ricostruzione storica quanto di giudizio critico, quali limiti e ricchezze individua?

Non è una domanda a cui sia facile rispondere. Proseguo per un istante ancora nell'andamento cronologico. Con Panzieri abbiamo lavorato a Roma più o meno fino al '58-'59, poi lui si è trasferito a Torino perché aveva rotto i ponti con il Partito Socialista e aveva trovato un posto da Einaudi. Avendo mantenuto con lui un fitto rapporto epistolare, abbiamo partecipato fin dall'inizio all'idea della fondazione di una rivista che poi sarebbe uscita qualche anno dopo, attraverso l'unificazione, mediante la mediazione di Raniero, di alcuni gruppi diversi, che erano forse tre: quello romano che ho cercato di descrivere, e che nel frattempo si era arricchito della presenza ancora più giovanile di Rita Di Leo; quello operaista radicale (diciamo sul versante "gatto selvaggio") costituito da Romano, da Romolo Gobbi e da Pierluigi Gasparotto, che stava tra Milano e Torino; e questo gruppo torinese che si era formato rapidamente intorno a Panzieri, composto da giovani più filosocialisti che comunisti e di caratterizzazione più nettamente sociologica, e cioè Rieser, Mottura, De Palma, la Beccalli e così via. Quindi, il gruppo è composito fin dall'inizio, i Quaderni Rossi nascono forse da una mediazione tra queste tre componenti, che poi erano quattro, nel senso che Raniero non coincideva né anagraficamente né mentalmente con nessuno di questi gruppi; c'era qualcuno della sua generazione, ma in posizione molto defilata. Dunque, era un gruppo curioso, costituito da un soggetto apparentemente anziano (in realtà poco più che quarantenne) e da questi gruppi di venticinque-trentenni, differenziati tra di loro e mai amalgamati.
La ricchezza di questa esperienza (anche se sembra una battuta) è consistita nell'averla fatta. In precedenza elementi dissenzienti rispetto all'asse centrale del Movimento Operaio italiano c'erano stati, c'era il filone trotzkista ad esempio, ma con un livello di elaborazione molto modesto; quindi, in un certo senso io penso che i Quaderni Rossi rappresentino il momento della rottura del monolitismo della tradizione socialcomunista. Se le cose non si misurano dagli effetti ma dal fatto di esserci, mi pare che questo sia un dato positivo, anzi quasi miracoloso tenendo conto della gabbia molto forte che, non solo culturalmente ma anche organizzativamente, quella tradizione possedeva. I limiti erano congeniti all'esperienza stessa, perché questa era estremamente minoritaria, non ha mai avuto un seguito di massa. Dopo il primo numero, quindi molto rapidamente, questo organismo molto differenziato al suo interno si divide ancora più fortemente, e per un motivo non banale direi, nel senso che il grande sciopero alla Fiat del '62 ridisloca le posizioni: all'inizio tutti erano molto d'accordo nel sostenerlo e nel valorizzarlo, ma poi non più tanto d'accordo sul modo di affrontare le conseguenze. Queste, per esempio, furono rappresentate dal fatto che se fino al primo numero uno dei tentativi dell'operazione era quello di portare dentro una serie di quadri sindacali di rilievo, questi fuggono tutti dopo quella esperienza e dopo l'accusa di tipo tradizionalissimo (che ci era venuta da certi quadri sindacali ma soprattutto politici) di essere gli strumenti di una manovra provocatoria. Da qui i limiti di tutte queste esperienze, che non sono in grado di cambiare il mondo facendole, però forse al tempo stesso non bisognerebbe impedire di farle quando c'è la possibilità. La rottura con Raniero è avvenuta proprio su questo terreno, cioè sulla valutazione del che fare dopo che questo gigantesco sciopero non dico che avesse rapidamente convalidato e avvalorato le nostre ipotesi precedenti, ma certamente le aveva sostanziate di una materialità che prima era difficile immaginare che sarebbe scattata così velocemente e anche in maniera così massiccia.

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