>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

ROMANO ALQUATI
SUL SECONDO OPERAISMO POLITICO. Estate 2000


C'era sempre da chiedersi se nella prospettiva storica era mai davvero esistita, almeno in Europa, la cosiddetta spontaneità allo stato puro. Anche in questo grande ricambio taylorista della composizione di classe che faceva entrare nel grandissimo stabilimento semi-automatico ad esempio prima contadini cattolici veneti e poi sempre ad esempio, pugliesi, calabresi, ecc. Si sentiva che fin dalle origini storiche il mondo dei lavoratori proletarizzati e diversamente operaizzati aveva avuto sempre a che fare con forze soggettive anticapilistiche più o meno organizzate, i cosiddetti "portatori di coscienza" o "formatori" di parte, con la loro propaganda, ecc. Malgrado tutto. E che fra l'altro l'esperienza del lavoro industriale classico dava agli immigrati da mondi altri nuove chiavi e risorse interpretative per confrontarsi con predicazioni ideologico-politiche anche vecchie, antiche, ritrovandoci ora qualcos'altro... e ricomprendendo qualcos'altro, magari ex-post. Cosicché la classe e gli stessi proletari operaizzati e le forze soggettive anticapitalistiche sembravano comunque essere andate avanti insieme, talora perfino quasi coincidendo... Quasi! Ma talora proprio no. Ecc. E' una bella storia. Questo è il punto! Sottolineo pure che questo "secondo operaismo-politico", in specie di Classe Operaia, proprio nella sua più forte differenza ed ambivalenza, fu quasi per niente avvertito e tantomeno capito dall'intellettualità sinistra italica che appoggiò i Q. R. e poi Classe Operaia. Si videro chiari se non altro alcuni grandi limiti dell'intellettualità di sinistra italiana, sia d'anima umanistico-storicista che scientifica... Non capirono quasi niente! Apprezzarono solo gli aspetti più deteriori ed in fondo vetusti: tradizionali, ciascuno nel suo filone. Sostennero gli uomini che in fondo tra noi avevano meno da dire e ripetevano vecchie solfe. Questo è importante! L'aspetto "culturale" e culturalista più tradizionale. E proprio questo non è ancora finito neppure oggi; lo si vede non solo nelle commemorazioni.
Soltanto quattro gatti nell'operaismo politico e dintorni riuscirono a cooperare un pochino e a confrontarsi ricercando e sperimentando qualcosina di nuovo: in notevole isolamento; se non fosse stato per molti militanti, pure militanti operai di vecchia ma anche di nuova maniera d'erogazione di capacità-lavorativa... Questione ancora grossa.
Gli intellettuali si scandalizzavano sulla "rude razza pagana" esaltata da Tronti senza vedere che malgrado tutto, nella sua "ingenuità", questa dizione coglieva una certa dimensione nihilista dei nuovi operai unskilled "fordisti" ed unilaterali, e propensi all'iperconsumo, all'edonismo e pure alla distruttività, che il padrone strategico ha utilizzato poi, fino ad oggi; e che di lì ci era necessario passare per cercare di avviare un'uscita dal feticismo del capitale! Ciò è appunto da vedersi e riscontrarsi soprattutto nel grande e chiarissimo slogan "più soldi e meno lavoro" che riassume l'essenza dell'operaio-massa della stagione taylorista classica.
Invece per me e qualcun altro il grande nodo problematico e di divisione stava a questo riguardo semmai nello slogan "la classe operaia come classe politica", la classe sempre necessariamente strategica, che sempre anticipa i capitalisti, rispetto alla quale il partito (di quella classe) bastava che s'incaricasse della tattica, e via! Così poi il partito come armamento leggero. E laico. Col PCI? Ma d'altra parte la massa operaia non prendeva tanto sul serio i partitini: ne usava alcuni per scopi che restavano circoscritti! Allora solo e proprio così alcuni con Tronti proposero la classe come strategia e il partito, storico, il vecchio PCI, come tattica. D'altronde, di contro, dicevano gli altri, se il partito nuovo (conservando però già la forma del vecchio) doveva svilupparsi, non era inevitabile che fosse prima un (vecchio) partitino? E non diceva Mao che il dovere della minoranza (vetero) comunista\collettivista era di diventare maggioranza? E bla, bla, bla?
E la strategia di questa classe operaia era vista tendenzialmente appunto come quella "strategia del rifiuto": una faccenda un poco oscura che creava anche fraintendimenti. Molti non avvertivano tutta l'importanza dell'appropriazione operaia di potere, del potere, né in negativo, né in positivo e la politicità di ciò. Allora soprattutto da parte di alcuni si chiedeva: perché, la classe in senso marxiano e "dicotomico", come una parte di due in conflitto, (quand'anche non i singoli operai raggruppati, ma la classe operaia - ma cos'era? - ), sarebbe "la classe politica"?, e come?, e con che conseguenze e prospettive. Ecc. In quel momento storico preciso e particolare, eccezionale per combattività e un poco anche per antagonismo di massa, e non solo in Italia. Si diedero risposte anche un poco diverse che si attuarono negli anni successivi e dal '67 al primo '77. Rimase anche scetticismo, perplessità. Ad alcuni sembrava che classe già più politica fosse invece quella capitalistica. Ma secondo quale significato di questo aggettivo fondamentale? "politica"? Ed in fondo è peculiarmente in questo che l'operaismo-politico ritenne di potere essere o andare "oltre Lenin". Ma ripeto che di Lenin oggi gli ex leninisti non parlano. E' perfino ridicolo!
Tronti mi pare fin dal '63 cominciava a dire qualcosa nella direzione del partito come armamento leggero! E poi laico. Comunque: "linea ed organizzazione"... Dunque: si voleva uscire dal modello della banca del 1910! Che in vero forse fu più tipico di socialdemocratici e staliniani che non dei bolscevichi almeno per un aspetto decisivo: i quadri medi ed anche la base bolscevica non doveva essere fatta di puri esecutori stupidi, ed all'inizio non lo fu!! E questo fa un'enorme differenza dal taylorismo.
Ad ogni modo, da un lato ci si disinteressava della dimensione associativa dei proletari social-comunisti, pure importantissima, ma da spostare altrove. Ma dall'altro cos'era questa "linea"? Come già in tutta la tradizione social-comunista operaia storica, il partito rinnovato veniva sempre posto come "organizzazione", il grande strumento, il grande mezzo: ma per cosa? Ma? Ho già risposto: per il potere, negativo ed anche positivo! Ma per cosa il potere? Per quello che il movimento nel suo crescere soggettivo vorrà... Se si ha presente la dimensione religiosa, soteriologica (dirà Cacciari), della tradizione socialcomunista, questo silenzio sui grandi-fini diffondeva perplessità e grandi freddezze se non ripulse. Ripeto che molti sottovalutavano la questione del potere, della conquista operaia di potere, che giunse a livelli prima mai immaginati, ma poi appunto: poiché solo saliva dal basso, si fermò. Lotta di classe operaia per il comunismo... Per la rivoluzione comunista. Bum! Cioè? Di nuovo, la rivoluzione comunista che intanto mira a strappare il potere ai padroni che non possono farne a meno e far precipitare in una crisi radicale il capitalismo e potere per cambiare il corso della storia... Non gli operai come gruppo sociale, ma la "classe operaia" nel suo movimento di lotta che prendeva potere era la strategia! Non una soggettività qualsiasi, ma "soggettività operaia", seppur nel doppio carattere del valor-d'uso di una merce. La lotta di classe operaia crescendo avrebbe mano mano posto sul tappeto gli ulteriori obbiettivi! Purtroppo il "poi" operaio non c'è mai stato! Come intendono dire oggi quegli scienziati che dicono che la natura è evolutiva, mentre solo l'umanità è rivoluzionaria (rivolutiva) ed è passata attraverso continue rivoluzioni, e precisano che la rivoluzione non è questione di materia, di contenuti materiali, ma questione di forma!! Però sul piano della forma della società capitalistica da "distruggere" si poteva presumere che data la forma del sistema e delle sue grandi negatività e malvivibilità, vari di questi scopi, soprattutto in partenza, sarebbero stati abbastanza precedibili e predicibili! Ma la questione del potere era la condizione per realizzare qualsiasi obbiettivo. Certi scopi "iniziali" sarebbero stati magari una rettifica forte d'obbiettivi intermedi mobili e transitori e temporaneamente finali, ma comunque quelli (controversi...) del comunismo storico\religioso, dopo il disastro del "socialismo reale", ossia dello stalinismo? E dei suoi obbiettivi? Certo, magari c'era il lato tattico, il rischio dell'isolamento, una sorta di politica delle alleanze... non solo per la proprietà formale e non solo per proprietà dei mezzi, non tanto per la pianificazione centrale statale e la proprietà privata di stato, non per l'apparato burocratico, ecc. Comunque gli scopi restavano impliciti. Il giusto rifiuto di "prefigurare" la civiltà futura ha comportato il rifiuto di pensare e proporre degli obbiettivi strategici espliciti. La classe strategica si muoveva nel crescere della strategia del rifiuto. Che, ripeto ancora, non era tanto questione di rifiuto d'obbiettivi e di scopi. Ma di fare intanto crescere potere in vista della loro realizzazione. Però innanzi tutto questione del rifiuto di offrire al padrone grandi rivendicazioni, valoriali in più sensi, sulle quali quello potesse aggiustare la sua risposta solo come pura riproduzione immutata dal medio raggio in su del suo sistema! Ma le lotte, le mobilitazioni in lotte aperte partivano sempre da obbiettivi, anche negativi (contro questo o contro quello), di livello basso di realtà. Il "miglioramento", l'"innovazione" è qualcosa che per sua natura si proponeva al padrone, che spesso introduceva lui il cambiamento: il padrone arretrato costretto, quello avanzato magari di buon grado... Entro certi livelli e dentro certe compatibilità. E questo era anche il senso dello slogan "prima la classe operaia"... Nel senso che essa si mobilitava per prima e il padrone arrivava dopo, davanti alla forza doveva accettare di introdurre trasformazioni: che partendo dal basso potevano salire. Magari. E che però in un secondo tempo servivano più a lui! E' la questione dell'uovo e della gallina?: ma intanto spostare l'accento su questo "prima"! Questo era il versante in cui più chiaro era il ricorso alla scienza ed alla scientificità e alla critica delle ideologie.
Ma c'erano trasformazioni interne al movimento che la classe stessa, ovvero il proletariato, per crescere anche contro se stessa "doveva" realizzare "autonomamente", in specie trasformazioni soggettive, di soggettività anche collettiva, che in parte nel movimento delle lotte già avvenivano! Risoggettivazioni. Del tutto spontanee? Endogene? Certo, si sottolineava la portata formativa del crescere del movimento di lotta stesso. E qui sia l'uso della scienza che la critica delle ideologie a mio parere poteva e doveva combinarsi con l'ideologia\religione: per mobilitare in specie, per avere la forza: non solo la forza-invenzione, ma la forza-trasformazione!

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.