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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Quello che conta di questa vicenda è che nei dintorni di quelle riviste come da un lato non riuscii mai a fare davvero passare in quei contesti "operaisti" proprio fra i capi la questione della "soggettività operaia", non trovai nemmeno la conoscenza e la sensibilità necessaria a discutere e trattare nemmeno della "cultura esplicita", e poi inoltre ad attaccare a fondo l'arretratezza culturale degli intellettuali di sinistra italiani! Cominciando da quelli che ci sostenevano senza capire quasi niente! La questione era però importante e non solo tattica: e rimase aperta! E forse sta ancora lì.
Non si trattava soltanto di superare la contrapposizione pure crociana e gramsciana e storicista fra la cultura umanistica e la scienza sociale e la cultura tecno-scientifica, come anche altri pure fra noi (lo stesso Panzieri) voleva. Ma si trattava di combinarle con un taglio trasversale entrambe, però in una maniera peculiare, e questo contava anche per il nostro metodo! Bisognava portare molto più a fondo lo studio, la ricerca, l'esplorazione di questa peculiarità. E lasciar perdere tutto il resto! Ma per la grandissima maggioranza dell'intellettualità sinistra, ed anche estrema, ciò non avvenne proprio! E fu davvero male!
Il discorso e lavoro culturale, secondo me, doveva essere soprattutto questo. Dovevamo dedicarci a scavare nei fondamenti metodologici ed anche epistemologici della scienza sociale e della sociologia? Certo, al minimo! Partire da lì. Vedremo dopo qualcos'altro.
Alcuni di noi, in quanto proletaroidi, campavano con la ricerca sociologica: questa era considerata dai più nell'operaismo politico degli anni '60 una questione privata. Però alcuni di noi volevano che se ne discutesse anche in termini "pubblici": ci sembrava che l'argomento già meritasse osservazione, ricerca, studio e riflessione, anche "politica", verso l'uscita dal labirinto del feticismo del capitale. Ma nella ricerca e conricerca che facevamo come gruppi che si richiamavano criticamente anche alla classe operaia ed alla tradizione storica del comunismo che si era detto e si diceva scientifico in maniera abbastanza oggettivistica e che nel '900 non mise più in questione la scienza-galileiana (cercando magari il difficile incrocio con eventuali altre concezioni della scientificità) noi non eravamo certo degli scienziati sociali tipici, professionisti tipici. Infatti lì in questo impegno militante collettivo a parole eravamo quasi tutti abbastanza d'accordo di tagliare trasversalmente la scienza sociale galileiana per "soggettivizzarla" anche in senso politico, nei metodi e nei contenuti, tenendo conto della ricomposizione e risoggettivazione di classe di quegli anni, oltreché delle nuove determinazioni della società specifica in rinnovamento verso l'integrale attuazione della società-fabbrica occidentale; e così almeno quella ritardataria nostrana. Ciò esigeva un "discorso culturale" ben più profondo e radicale non solo di quel che potevano capire i picisti di allora, ma gli stessi fiancheggiatori ed anche alcuni redattori dei Q.R. e di Classe Operaia! Infatti non capivano. Questo è il fatto!
Usare la scienza guardando ad esempio pure alle critiche di Nietzsche ed ai fenomenologi ed agli esistenzialisti, e ai cosiddetti scienziati dello spirito, ed a Freud e poi più sotto a Jung, ad esempio. E poi pure cercando un vaglio critico di vari altri interessanti pastrocchioni che (come Morin) proponevano ambigue ma interessanti insalate, e guardando molto fra alcuni scienziati\filosofi, compresi certi politologi... Ripeto, per cercare anche di uscire dal labirinto della teoria marxiana del feticismo capitalistico, ecc. Chi davvero almeno tentò di farlo? Non proprio i "barbari incolti"? Era questo il "discorso culturale" sul quale avremmo dovuto concentrarci tutti quanti. Ed essendo molto in pochi, lasciar un po' perdere nel lavoro di ricerca politica la storia dell'arte, della letteratura, della musica e della stessa filosofia.
In altri termini, questa diventava la questione della teoria e della pratica politica "di parte operaia" da tenere distinte ma mai separate, e dell'eventuale riproposta critica oppure no, ieri, di un nuovo tipo d'intellettuale organico, e dello scambio coi militanti operai ed i militanti politici operai e della formazione reciproca di entrambi e della posizione decisiva del metodo, la questione di un'élite magari interna alla classe, ecc.; nel contesto capitalistico in trasformazione ed innovazione in quella tardiva reindustrializzazione e dei movimenti, verso la lotta e la lotta della classe operaia.

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