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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Cominciai presto ad odiare il sistema sociale ed i suoi governanti ed i potenti locali ed universali: anche per un certo ostracismo (che subivo pure dalle ragazze ricche mie compagne di scuola; salvo vere eccezioni: indimenticabili). Sono stato pure abbastanza cattolico fino a circa 14\15 anni. Nel '50, anno santo, vinsi una specie di campionato provinciale di catechismo e fui inviato a Roma ad incontrare Pio XII. Malgrado questo, la mia fede era ormai debolissima. A Roma incontrai un cugino di mio padre che era il grande capo dell'ordine (ex eretico) dei Frati minori francescani, il quale secondo i miei parenti avrebbe potuto trovarmi facilmente un lavoro. Costui mi deluse talmente che persi la mia fede residua, e tornai a Cremona miscredente e quantomai ribelle: ma dopo aver visitato per più di un mese più volte tutte le principali chiese e musei e rovine romane mi sentii abitante di quella città com'era allora in buona parte la sua gente. I primi anni '50 furono importanti. Segnarono una svolta, preparata poco a poco. Ci furono alcuni incontri: anni prima un primo balordo (Elio Uccelli, ex ufficiale di Marina), poi diventato sociologo e professore di sociologia a Roma, amico di Ferrarotti, mi aveva già incuriosito alquanto sulla sociologia e la scienza sociale: ricordo che mi fece leggere "Il suicidio" di Durkheim. Nel '53 il moroso di mia sorella, che era una persona davvero straordinaria perché era un ricco imprenditore agrario e tuttavia molto colto e "marxista" (Pino Quaini) mi fece leggere vari libri socialcomunisti del marxismo classico: mi regalò un basco scarlatto in cui aveva scritto con la biro "La ragione non ha fretta", K. Marx. Morì poco dopo in un incidente d'auto nel quale anche mia sorella si fracassò tutta e poi non fu più la stessa. Dunque, mostrai subito una notevole ambivalenza: cultura scientifica e cultura umanistica originalmente insieme.
Comunque frequentai il liceo classico. Capitai con una galleria di insegnanti uno più deficiente dell'altro, finché cominciai presto a farmi una cultura mia parallela a quella, e poi sempre più contrapposta; contro il loro modo meschino di interpretare la Grecia classica cominciai a studiare ad esempio le religioni misteriche, a studiare molta letteratura all'indice, e storia dell'arte andando anche in giro in autostop; e attraverso Pavese approdai a Frazer, ed attraverso il "Ramo d'oro" alla storia delle religioni antiche ed all'etnografia ed antropologia culturale, al mondo dei primitivi e dell'animismo, e alla religiosità agraria mediterranea e ai primi interessi per la storia degli eretici...; e feci studi irregolari di filosofia direttamente sui grandi libri: in sempre più aperta contrapposizione a quegli insegnanti. Nel '54, alla vigilia della maturità classica, fui costretto a lasciare la scuola.
Nel '55, Paolo Caruso, mio amico d'infanzia, m'introdusse per qualche mese fra i giovani socialisti, dove lui si era inserito come leader per motivi pratici, ma del socialismo non gliene fregava (quasi) niente; e lì poi io ebbi le prime curiosità sul sindacato. Paolo è stato decisivo per tutta la mia vita successiva. Se non fosse rimasto mio amico anche nell'adolescenza, dai tempi della sua maturità al collegio S. Giuseppe di Torino, io oggi non sarei quel che sono. Era a suo modo molto generoso, quasi paterno... Lui si iscrisse a Milano a Filosofia ed io cominciai ad istruirmi tramite lui. Mi stimolò a fare anche i primi viaggi all'estero in autostop, però io ero apolide perché nato in Croazia e fino al '57 non ho avuto il passaporto. Intorno al '52\'53 incontrai il poliedrico Felice Abitanti e tutto il giro di pittori di professione e storici dell'arte cremonesi, e divenni un giovane intellettuale "umanistico" un poco bohemien con un'insaziabile fame di conoscenza. Cominciai a dipingere, un poco segretamente, ma seriamente, anch'io. Andavamo a fondo in molti nodi dell'arte storica e di quella contemporanea; mi ricordo la prima grande personale di Picasso a Milano, a Palazzo reale... Poi in un primo soggiorno milanese di due o tre mesi (Via Kramer...) vendetti a madame della "Famiglia artistica" milanese in Piazza Cavour anche qualche dipinto, guadagnando bene, e capii che avrei potuto vivere dipingendo. Ma alla fine di quell'anno ('55?) decisi di non dipingere più. Conservo ancora l'ultimo mio olio, molto ironico sulla mia pittura! Si concluse allora la mia vita d'intellettuale "umanista". Decisi allora di darmi alla politica nella "prospettiva del comunismo".
In quell'anno conobbi anche Pierre Carniti, uno strano democristiano, il quale mi trascinò nello studio dell'economia e dell'economia agricola cremonese, ecc.. E nelle questioni sindacali, sebbene io fossi "ideologicamente" lontano da lui: fummo molto amici per un paio d'anni. Però avevo da poco incontrato Montaldi (tramite il Club Ulisse) e poi Renato Rozzi, che diventerà un paziente e sapiente mio fratello maggiore, e poi Giovanni Bottaioli, vecchio militante politico operaio internazionalista: furono incontri decisivi. Ed avevo cominciato a frequentare le minoranze storiche antistaliniste alla sinistra del PCI, prima del "rapporto Kruscev". Ciò sancì la seconda svolta nella mia vita: mi ri-formai. A quel punto avevo scelto "Che fare"...! E l'ho fatto per molti anni.

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