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(pag. 14)
INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Fu allora che diventasti anche tu professore universitario, sebbene atipico...


Negli ultimi anni '60 e primi anni '70, poiché per diventare professore universitario non era indispensabile la laurea, avrei potuto diventare professore facilmente, e fare anche carriera. Ma questo proprio non mi venne neppure in mente. Fu solo dopo l'ingresso di questi studenti lavoratori in iperproletarizzazione lì dentro che comincia ad esplorare gli atenei... Cominciai a Trento, nel '71, dove con lo stimolo di Massimo Egidi entrai nel "laboratorio" di Vittorio Capecchi per seguire alcune lauree di ricerca di certi studenti-lavoratori (i "geometroni") in seminari serali, soprattutto decentrati a Verona. Fu una maniera di avviare una specie di conricerca o ricerca per "ricercatori scalzi" proprio su questo nascente iperproletariato, da una lato, ed il suo muoversi nell'università dall'altro. Nel frattempo a Torino, a Scienze politiche, dove mi stavo laureando in economia, incontrai il professore di sociologia industriale, il socialista, mezzo lombardiano mezzo gauscista, Enzo Bartocci che mi chiese di fare qualcosa di simile. Bartocci stava per trasferirsi a Roma, così riuscii a subentrargli nel '73: era preside Bobbio.
Certo, la mia posizione nell'università non è stata confrontabile con quella di un grande barone come Toni Negri. Io fui prima un incaricato precario e poi un associato, non volli mai fare davvero un concorso per diventare ordinario per evitare certi condizionamenti soprattutto da parte di una certa sinistra istituzionale... Comunque non avevo ad esempio il potere per magari trasformare neppure la mia cattedra in una base per la lotta di classe operaia, come fece Toni negli anni '60-'70 col suo istituto (e poi i suoi colleghi gliela faranno pagare al tempo dell'istruttoria di Calogero). Ma il fatto importante è che fin dal '70 quando entrai a Trento e poi subito a Torino non fui d'accordo proprio su questo farne una base per proiettarsi altrove, limitandosi a questo uso differente e tardo-operaista (non arrivava nemmeno davvero all'operaio sociale) e paleo-comunista di questo vertice della formazione scolastica, ormai di massa. Il fatto era già che l'università proprio come vertice della formazione era già essa stessa baricentrale e strategicamente per il presente ed il futuro dell'arretrata società italiana e mondiale: era ormai anch'essa e di più potenziale "fabbrica del soggetto", e non solo dell'attore; ormai anche più di moltissimi stabilimenti taylorizzati\fordizzati dell'industria della fase classica, in via di conclusione. Il terreno della formazione non solo professionale, anzi; ma della capacità lavorativa ed attiva più in generale, e della personalità, dell'identità, e della soggettività che avevano luogo anche nella scuola pubblica. Doveva ormai essere un terreno baricentrale di ricerca, d'elaborazione ed anche di scontro. E poi fra l'altro le caratteristiche qualitative del movimento studentesco, come ho già detto prima, nel passaggio dall'università d'élite a quella di massa, le componenti di quella "contestazione globale", magari sono state più vistose a Trento e in quel mondo di tradizioni cattoliche (ormai anche d'operaismo cattolico...): lo slogan dell'"uomo nuovo" venne da lì. I primi universitari avevano già ulteriormente sottolineato talune grosse carenze strategiche dell'operaismo politico e di tutta quanta la tradizione socialcomunista anche nel senso di certi contenuti del leninismo (di cui si era considerato quasi solo l'aspetto organizzativo). Ma poi tutti gli altri studenti seguirono.
Ma anche come professore universitario a Torino da un lato ho cercato di fare capire, con scarsissimo successo, a docenti e ricercatori di questa Facoltà (che è stata a lungo di "sinistra") l'occasione che certi settori del nuovo proletariato intellettuale offrivano per una lotta nuova e differente sul terreno dell'università cui partecipassero anche loro. Dall'altro mi sono proposto subito come il piccolo centro di una diffusa rete di conricerchine di ricercatori scalzi (soprattutto insegnanti\militanti di scuola media in proletarizzazione, e così talora in lotta per conto loro, per lo più simpatizzanti o militanti locali di Lotta Continua, più che di Potere Operaio: questi ultimi erano più chiusi e rigidi); ed operatori di "servizi pubblici" a loro volta sempre più importanti, e spesso ex-operai e militanti di fabbrica (magari del PCI) diventati così impiegati di nuova estrazione e qualità soggettiva, in specie dal '75, quando le sinistre si trovarono in mano il governo locale.

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