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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Certi aspetti pure di contenuto del socialcomunismo erano ormai fuori luogo per una doppia e contrapposta serie di ragioni soggettive, messe sul piatto sia da una nuova generazione di piccolo-borghesi e borghesi, sia dalle stesse giovani-forze operaie. Si apriva un grosso nodo di contraddizioni; da un lato il consumismo e l'edonismo, che coinvolgeva anche i servizi pubblici riproduttivi e certi aspetti del welfare clientelare; dall'altro i costi umani, sociali, culturali, ambientali e soggettivi, etici in fondo, del consumismo di massa; moltissimi giovani studenti occidentali non solo non volevano più pagarli, ma chiedevano che la società ormai capitalistica (e non più solo borghese) cambiasse strada rispetto a tutto questo! Ciò fu capito da una parte degli operaisti alla sinistra del PCI solo dopo il '77 bolognese, e dagli altri mai! Ciò fu capito ben presto dal padrone collettivo che cominciò a spostare qui sopra la sua combinazione del bastone con la carota: la carota dell'edonismo operaio e poi iperproletario, ed il bastone dello sfruttamento nella nuova precarietà, anche soggettiva: rivolgendo qui sopra anche le nuove tecnologie e modelli organizzativi.
Di questo conversavo e litigavo con Franconi, il meno distante e più aperto, Dalmaviva, Magnaghi, e la Bressan, la Baba (Rosalba Serini) e parecchi altri neo-operaisti, ecc., cercando di farli desistere dalla proiezione del marxismo\leninismo storico su quel movimento; ma loro malgrado tutto non mi davano retta. Questi poi furono fra i fondatori di La Classe e poi del Potere Operaio nazionale, dopo la loro "fuga ai cancelli di Mirafiori": cancelli mitizzati, simbolizzati, ma dai quali restavano fuori! Fuori non solo in senso fisico. Magari con la pretesa di dirigere politicamente quelli che si muovevano dentro! Ma questa è un'altra storia, che però a sua volta andò pure a toccare dopo qualche anno l'importantissima questione del "proletariato giovanile", nei primi anni '70.
Già a Genova, in piazza nel '60, "le magliette a strisce" non erano certo tutti giovani borghesi... e neppure in Piazza Statuto: giovani di diversa estrazione sociale si mischiavano in piazza. D'altronde fin dal '60-'61 avevo parlato di "giovani forze operaie", e di non piccole minoranze di giovani operai disponibili ad una "nuova" proposta comunista. Certo: gli addetti macchina taylorizzati e alle linee erano quasi tutti immigrati giovani; ma anche perfino fra i giovani ex-allievi FIAT di seconda categoria e pure di prima, e torinesi, la conricerca mostrava un generale disincanto e movimenti e mobilitazioni, anche soggettive: risoggettivazioni e inizi di rivolta. I meridionali addetti-linea scolarizzati: questi furono l'"operaio massa" come la nuova avanguardia di massa in ricomposizione coi vecchi militanti che per una decina d'anni trascinò ed assimilò altri! Orbene malgrado le differenze, che però bisogna ri-stabilire attentamente, non c'era qualche scambio e comunanza almeno con una certa parte di quegli studenti in rivolta, di nuova generazione? E perfino certe parole d'ordine della contestazione studentesca (contro la gerarchizzazione, l'autoritarismo, la razionalizzazione capitalistiche pure sociali ecc.) non avevano un analogo significato nell'organizzazione tayloristica del lavoro? Ed alcune non partivano magari proprio da certe rivolte operaie? Solo equivoci? Assonanze esteriori? A mio parere, malgrado le sensibili differenze interne, era in corso una grande rivolta giovanile internazionale non tutta destinata, almeno nell'intenzionalità di non piccole avanguardie-collettive, alla modernizzazione del capitalismo. In Italia questi ribelli furono rifiutati e denigrati dai partiti sedicenti "operai", con Amendola in testa, ma gli altri a ruota...


Quindi, tu ti distinguesti dagli altri ex-operaisti perché non fosti favorevole al fatto (probabilmente iniziatosi proprio a Torino) dell'uscita degli studenti, in specie universitari, dai luoghi dove era nata la loro rivolta, per proiettarsi idealmente od effettivamente sugli stabilimenti dove erano più o meno in loro lotta gli operai.

Si. Mi contrapposi ai vari residui ed eredi dell'operaismo-politico che volevano portare il movimento studentesco ai cancelli di certi stabilimenti abbandonando la lotta sul terreno della scuola e soprattutto dell'università. E questa loro fuga avvenne proprio per il fatto che, non solo i leader di quel movimento prima erano stati quasi tutti con questo nostro operaismo, ed in una maniera piuttosto ideologica, religiosa direi, ma perché comunque gli operaisti pure in quattro gatti in certi luoghi erano stati una cassa di risonanza notevole delle lotte operaie e diffusori efficienti pure di mitologia operaista. Gli "studenti" avevano preso da noi pure la capacità comunicativa. Ed io ero sfavorevole anche al recupero dogmatico, acritico, del marxismo-leninismo storico proprio da parte dei giovani. Per loro meglio Marcuse, e anche Reich... Ma il movimento studentesco passò come una meteora e nell'Università non conquistò nulla!

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