I giornali dell’area dell’autonomia


Ancor prima che si determinasse nel nostro paese un’area dell’autonomia operaia organizzata e di massa, il concetto di «autonomia operaia» aveva investito il dibattito degli studiosi e dei teorici extra partitici degli anni Sessanta.
Dai «Quaderni rossi» alla crisi di Potere operaio, uno dei nodi del dibattito consisteva nel rapporto tra «autonomo comportamento della classe» e direzione della «forma partito» o della «forma sindacato».
Anche la diversificazione e delle scelte politiche successive nasceva dalla diversa valutazione da dare al ruolo dei partiti storici della classe operaia in rapporto alla maturità rivoluzionaria del «corpo centrale della classe», e cioè del ciclo industriale della grande fabbrica.
Dentro la cultura operaista, quindi, l’aspetto unificante consisteva nel considerare l’operaio massa, la centralità operaia, il fulcro portante, il motore dello sviluppo delle lotte e della trasformazione, nel mentre le analisi si diversificavano fino a diventare inconciliabili sul problema e sullo sbocco da dare alle lotte e sul modello organizzativo da adottare.
Di conseguenza, alla fine degli anni Sessanta alcuni teorici provenienti da «Classe operaia» (Tronti, Asor Rosa, Accornero, Cacciari ecc.) rientrano definitivamente nel Pci e altri (come Negri, Bologna, ecc.) daranno vita a Potere operaio.
La discriminante maggiore, oltre a quanto già detto tra le due componenti, consisteva nella diversificazione di opinioni e teorie sul problema dell’«ideologia del lavoro».
Nei partiti storici della classe, infatti, l’ideologia del lavoro era stata sempre considerata l’asse portante della trasformazione della società e, invece, Potere operaio farà del «rifiuto del lavoro» la tematica centrale della sua battaglia politica. Una impostazione di questo tipo prevede da parte della classe l’uso sistematico e antagonista della categoria della «conflittualità», e in effetti in quella fase storica il corpo centrale della classe si caratterizzava per un costante ciclo di lotte che passerà alla storia con la definizione di «conflittualità permanente».
Ma questo metodo di lotta non è solamente una forma matura che la classe esprime per riappropriarsi di ricchezza e per distruggere il sistema dello sfruttamento, è anche l’espressione della mutata qualità e quantità dei bisogni soggettivi e collettivi che lo steso sviluppo capitalistico ha contribuito a determinare, e che ora non può più soddisfare ma al contrario tende a reprimere.
In questo scenario, lo stesso vertice sindacale, dopo essere stato costretto dalle lotte autonome degli operai all’unità, cerca di corrispondere alle aspettative della base attraverso la costituzione del «sindacato dei Consigli» che, perlomeno al suo nascere, può essere considerato il più alto tentativo che la classe si è dato per dotarsi di una propria «costituzione materiale» e di democrazia diretta.
Tra le fine di Potere operaio, la nascita dei Consigli e la crisi dei gruppi politici organizzati, si costituiscono nelle fabbriche le prime Assemblee autonome.
La spinta maggiore alla loro nascita viene data, oltre che da una complessa serie di quadri politici formatisi nelle lotte, dalle grandi lotte alla Fiat nel ’72 e nel ’73, da quel complesso quadro politici operaio che verrà definito «il partito di Mirafiori».
L’attività delle Assemblee autonome operaie (che pubblicheranno giornali come «Senza padroni» all’Alfa Romeo, «Lavoro Zero» a Porto Marghera, «Mirafiori Rossa» a Torino ecc.) si collega ai nascenti Cps (Collettivi politici studenteschi) e Collettivi autonomi che nascono in molti quartieri proletari metropolitani, dando vita a una vasta e informale rete di conflittualità nel sociale, nella scuola, nella fabbrica, che per caratteristiche di obiettivi e di contenuti può definirsi la nascita dell’area dell’Autonomia.
Confluiscono in questa area molte componenti.
Nel territorio milanese dalla crisi di Potere operaio e del Gruppo Gramsci nasce la rivista «Rosso», in cui confluiscono componenti da altre organizzazioni e collettivi in crisi.
Sempre a Milano l’uscita da Lotta continua della «Corrente operaia» e della «Frazione» porterà alla nascita di «Senza tregua» e più tardi, in un complesso interscambio di esperienze, ai Comitati Comunisti Rivoluzionari.
Nel veneto le aeree autonome si raccoglieranno intorno ai Collettivi e al giornale «Potere operaio per il comunismo» che, dopo il ’77, prenderà il nome di «Autonomia».
A Roma, dalla deriva del Manifesto, si origina «Rivolta di classe» che dal ’78 diventerà «I Volsci», costituendo una delle aree più importanti dell’Autonomia nel centro-sud.
Sempre a Roma, dalla complesse vicende della scomposizione di Potere operaio e di altri organismi, nasceranno nel ’79 «Metropoli» e «Pre-print».
Caratteristica politica di fondo dell’area dell’Autonomia è la profonda opposizione nei confronti della tradizione storica dei partiti e del sindacato e, in generale, di qualsiasi forma di mediazione politica con la controparte capitalistica.
L’Autonomia regge la propria azione su di uno schema di continua conflittualità contro qualsiasi processo di valorizzazione del capitale. Contrappone al piano capitalistico la riduzione dei ritmi di fabbrica, l’assenteismo, la lotta per la riduzione d’orario, l’autoriduzione delle spese nel sociale (affitti, bollette Sip e Enel, autotrasporti), il diritto alla casa (e il conseguente movimento delle occupazioni).
Sostanzialmente tende ad affermare il criterio del «salario come variabile indipendente dalla produzione» attraverso un costante processo di «autovalorizzazione» della propria forza lavoro e dei propri bisogni, dentro un modello di «autodeterminazione proletaria» in cui le forme dello scontro del conflitto sono anche la realizzazione soggettiva e collettiva del processo verso il comunismo.
Il «movimento ’77» è il punto più alto della diffusione di massa dei comportamenti autonomi che producono decine di giornali ispirati ad «A/traverso» che, nato nel ’75, raggiungerà nel ’77 le ventimila copie vendute.
Il movimento del ’77 si caratterizza per la comparsa sul mercato del lavoro di un soggetto proletario ad alta intensità di conoscenze con buon livello di studio che si differenzia dall’operaio-massa perché rifiuta l’inserimento coatto nella fabbrica e delinea una specie di «operaio sociale» teorizzato precedentemente da alcune aeree dell’autonomia.

(da: Gli anni affollati)