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Archivio per il tag: Stefano Cucchi

Da non perdere il libro “Il coraggio e l’amore” di Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo

Giustizia per Stefano: la nostra battaglia per arrivare alla verità

Ci sono voluti dieci anni per scoprire la verità sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009 mentre era in stato di arresto per detenzione di stupefacenti. Stefano aveva 31 anni, era un ragazzo sano e frequentava la palestra: nulla poteva far pensare che fosse in pericolo di vita.Il suo decesso fu comunicato alla madre con inqualificabile insensibilità chiedendole di firmare l’autorizzazione all’autopsia. Da quel momento, alla famiglia disperata che esigeva una spiegazione furono date risposte inaccettabili: una caduta dalle scale, la conseguenza di un precedente stato di malattia…La sorella Ilaria non si è mai rassegnata a queste versioni di comodo e, sempre affiancata dall’avvocato Fabio Anselmo, ha intrapreso una battaglia giudiziaria che è già Storia d’Italia. Il coraggio e l’amore documenta ufficialmente questa battaglia, ponendosi come una pietra miliare. Ilaria e Fabio, compagni di lotta e oggi anche di vita, raccontano con le loro vive voci ogni singolo momento del durissimo percorso in cui si sono dovuti districare tra menzogne e depistaggi, trappole e ingiurie. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, rievocano i fatti con estrema lucidità e rigore, ma allo stesso tempo restituendo al lettore tutte le emozioni dirompenti che hanno vissuto nella formidabile prova di tenacia e coraggio affrontata in questi lunghi anni. Solo l’incrollabile amore per Stefano, e per la Verità, hanno dato loro la forza per arrivare fino in fondo, rendendo l’Italia un Paese migliore e dimostrando che la Giustizia è davvero uguale per tutti. Grazie a Ilaria Cucchi – vera eroina del nostro tempo, così come l’ha raffigurata Jorit nel murale in copertina, con il volto segnato dal dolore eppure luminoso e fiero – possiamo sentirci più sicuri, e anche orgogliosi del nostro Stato.

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“Sulla mia pelle”

La grande assente nella discussione sul film di Cucchi è la legge sulle droghe, non di certo unica responsabile della morte di Stefano, ma sicuramente la principale. Stefano stava fumando una canna in macchina con un amico quando è stato identificato e, successivamente, arrestato.

Un pretesto, certo, la pubblica insicurezza può identificare chiunque e senza doverne giustificare il motivo, ma è indubbio che farsi beccare a fumar una canna può essere causa di piccoli o grossi guai, se non di vere e proprie tragedie come in questo caso, ma anche tanti altri meno noti alle cronache o già finiti nel dimenticatoio, tipo quel ragazzino di 16 anni che si è lanciato dal balcone di casa sua durante una perquisizione per droga sollecitata da sua madre.
Possiamo addebitare alle leggi sulle droghe pure la colpa del recentissimo fatto di cronaca, quello di una donna tossicodipendente, arrestata per uso e spaccio, che ingabbiata a Rebibbia con i suoi due bambini piccoli, li ha lanciati entrambi dalle scale. Posto che né Rebibbia né altri carceri sono adatti ad ospitare nessuno tanto meno due giovani vite, posto che esiste una legge che dovrebbe facilitare i domiciliari per le madri di figli sotto i tre anni, tranne in casi estremi di pericolosità, mi chiedo: cosa potrà mai fare il carcere per coloro che soffrono di problemi di dipendenza da droga o alcol? Cosa potrà mai fare se non dargli il colpo di grazia? se non ucciderli o suicidarli? Ovviamente, si tratta di una domanda retorica, poiché ormai è evidente che il carcere è mero strumento punitivo e mezzo di sterminio della classe povera e/o lavoratrice. Nelle sezioni dei comuni,  la stragrande maggioranza dei reclusi è finita  dentro per reati connessi all’uso di droghe. Un vero e proprio inferno dove sono tutti dei signor nessuno e dove tutti possono fare la fine di Cucchi senza nemmeno l’onore delle cronache o sparire dai giornali nel giro di due trafiletti a fondo pagina fra chi è caduto dalle scale, chi ha avuto un malore, chi aveva certamente usato un mix letale di droga e via dicendo. Titoli e storie tremendamente simili l’uno all’altra. Altro che farci un film! Tuttavia, a mio parere, il film merita di essere visto. Merita perché non mostra e non si sofferma sulla violenza fisica subita da Stefano Cucchi, a differenza del film truculento “Diaz, non lavate questo sangue”, mostra la violenza più silenziosa, una violenza drammaticamente invisibile ai più. La violenza delle domandine inoltrate ripetutamente e sistematicamente ignorate. La violenza di un giudice che a stento alza gli occhi dal fascicolo per guardarti e se lo fa non ti vede e se ti vede se ne fotte se stai male e perché. La violenza dell’avvocato d’ufficio per cui sei l’ennesimo cliente non pagante e magari pure cagacazzo che presenta 30.000 richieste, la violenza del personale sanitario per cui tu sei l’ennesimo tossico o fuori di testa che s’attacca al campanello pure durante il turno notturno. La violenza che manda a destra e a sinistra, su e giù, fra un ufficio e l’altro, fra permessi e carte bollate, i familiari dei detenuti mettendoli in balia di una burocrazia priva di qualsiasi senso logico se non quello di addomesticare, intimorire e punire anche loro, come se fossero in qualche modo corresponsabili del presunto reato commesso dal proprio caro.
Insomma, questo film mostra la violenza più letale: quella della normale quotidianità dell’intero sistema giuridico penale. Quella violenza che molti ignorano totalmente, altri se ne sono assuefatti ed alcuni la scoprono solo quando si tratta della pelle del proprio familiare, mentre, fino a ieri, la giustizia era uguale per tutti e i carabinieri ci difendevano dai cattivi. Ecco perché, secondo me, il film va visto, perché mentre tutti (o quasi) sanno chi sono gli esecutori materiali di questi omicidi, soprusi e violenze, in molti non hanno ancora capito cosa e chi sono i veri mandanti e dove ricercare le responsabilità iniziali. Quelle che stanno a monte, insomma. Certo, bisogna avere la capacità di andare oltre il “povero Stefano” o “verità e giustizia” e iniziare a pensare che per una canna puoi fare una brutta fine o puoi piangere un tuo caro.

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