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Archivio per il tag: carcere

Aggiornamento dei morti in carcere

In cella si continua a morire. Troppo lunga la lista dei decessi e dei suicidi avvenuti questa estate negli istituti di pena italiani.
17 suicidi da metà giugno a fine settembre, 6 morti per malattia e un caso ancora da accertare. Siamo a Bologna. Il 19 giugno si impicca in cella un detenuto di 59 anni accusato di aver commesso un omicidio nel 1999, delitto per molto tempo rimasto irrisolto seguito da indagini complesse ancora da definire. L’11 di luglio: stavolta è un detenuto del carcere di Ferrara a togliersi la vita impiccandosi. Il 16 settembre un detenuto di 20’anni si toglie la vita nell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Grotto. Il 14 muore annodandosi un lenzuolo al collo un detenuto 29’enne, nonostante i tentativi di rianimazione fatti dai suoi compagni di cella. Era da un mese in carcere per rapina impropria e stalking. I prigionieri dell’istituto ravennate decidono uno sciopero della fame in rispetto del ragazzo deceduto. Mistero invece sulla morte di un ragazzo iracheno di 21 anni il 15 sempre di settembre, trovato esanime da altri detenuti nel carcere del Coroneo a Trieste. Il ragazzo era in isolamento. I risultati delle prime indagini escludono una morte violenta. Si ipotizza un’overdose di farmaci, forse tranquillanti. A fine agosto un altro detenuto in isolamento si toglie la vita stavolta nel carcere di Perugia. Si tratta di un tunisino di 37 anni arrestato per tentata rapina, avrebbe visto la fine della pena nel 2020. In seguito a questo tragico fatto inizia la protesta di alcuni prigionieri che hanno appiccato il fuoco ai materassi e hanno fatto la battitura.

Torture nel carcere di San Gimignano (SI)

15 agenti di custodia indagati con l’accusa di tortura, è il primo caso in Italia contestato a personale in divisa dall’entrata in vigore nel 2017 della nuova legge. Siamo nel carcere senese di massima sicurezza di San Gimignano. I fatti risalgono all’11 ottobre 2018 quando un detenuto viene prelevato dalle guardie e, credendo di andare a fare la doccia, prende con sé accappatoio e ciabatte. La realtà è ahimè diversa. Una volta lì viene accerchiato da 15 agenti e pestato fino a perdere conoscenza. Il fatto è stato ripreso anche dalle telecamere dell’istituto, in parte schermate volutamente dai corpi degli stessi agenti. L’accaduto è emerso solo ora dopo che le varie testimonianze degli altri prigionieri sono arrivate alle orecchie, troppo frequentemente con gravi problemi di udito, della magistratura. Nessun arresto: in 4 sono sospesi dal servizio e in tutto 15 sono gli indagati per lesioni e minacce, falso ideologico e, appunto, tortura.

Ma-la sanità nel Carcere di Monza?

Il passaggio dalla gestione della Medicina Penitenziaria al Servizio
Sanitario Nazionale, venduto come miglioramento per i detenuti e per la
loro salute, si è rivelato fallimentare oltre che creatore di divari tra
le differenti regioni, province e comuni, aumentando gli squilibri tra
territori.
Il numero dei problemi sanitari è aumentato e i medici sono diminuiti,
si parla di presenze di poche ore al giorno da parte di specialisti.
La privatizzazione della sanità colpisce sia dentro che fuori le mura.
Se già per un “libero” cittadino i tempi di attesa sono lunghissimi,
figuriamoci per una persona reclusa, e questo quando c’è un medico che
possa seguirti, dato che uno dei problemi maggiori è anche la carenza di
personale specializzato all’interno delle sezioni.
Attese estenuanti per patologie sia gravi che non, si traducono in un
aumento di disagi fisici e psicologici che rischiano di protrarsi anche
quando il detenuto viene liberato, oltre che i casi delle cosiddette
“morti da accertare” della quale le responsabilità maggiori sono da
attribuire alla malasanità penitenziaria.
I media locali danno solo spazio ai piagnistei delle guardie e dei loro
sindacati mentre il detenuto non ha voce in capitolo, se si eccettuano
rari tentativi malriusciti.

“Vogliono seppellirci vivi, impediamoglielo!”

 

Risarcimento ai familiari del detenuto suicida

La Corte di Cassazione con sentenza n.30985 del 30/11/2018, ha stabilito che ai familiari del detenuto suicida che aveva manifestato il proprio intento, qualora l’amministrazione penitenziaria non abbia posto in essere tutte le misure idonee a prevenire l’evento, spetta un risarcimento. E’ il caso di un uomo detenuto per presunta violenza sessuale che si è tolto la vita impiccandosi quando già aveva palesato l’intenzione del suo gesto e che, nonostante questo, non era stato sottoposto a regime di vigilanza più stretto. Ai suoi familiari, che si sono rivolti al Tribunale di Catanzaro, spetterebbero quasi 200.000 euro. La Corte di Cassazione, ribaltando l’esito dell’udienza d’appello, ha riconosciuto la responsabilità dell’amministrazione penitenziaria dal momento che non si era mossa per stabilire lo stato psichico del detenuto dal momento che, all’ingresso in carcere, non erano presenti né l’educatore, né lo psicologo. Inoltre l’isolamento in cella, contrario alle disposizioni del PM, ne avrebbe favorito il suicidio. La presenza di altri detenuti avrebbe certamente impedito o almeno reso più arduo il compimento di tale gesto.

Ecco il nuovo decreto “sicurezza”

Un sorriso a 36 denti sfoggia Salvini. A 72 se si considera anche quello del premier Conte quando assieme presentano il frutto della loro politica forcaiola e razzista: il nuovo decreto sicurezza. Un poco diverso ma non troppo da quella linea tracciata dall’allora primo ministro Minniti: “dagli al migrante e a chi gli è solidale”. Non a caso è stato proprio Minniti a iniziare questa pratica inedita mai vista prima in Italia, cioè perseguire con ogni mezzo le organizzazioni che soccorrono i migranti in mare tanto che, e la dice lunga su quali siano oggi i valori in questa Europa Unita, una nave di soccorso con un carico di profughi a bordo deve farsi un bel po’ di miglia nautiche prima di trovare un porto disposto ad accoglierli. E a quelli che ne sono scesi con i loro carichi di esperienze drammatiche cosa mai gli si potrà dire? Tanti di loro sono partiti dai luoghi di origine poco più che ragazzi e a caro prezzo sono diventati troppo presto adulti. A quelle ragazze segregate in Libia per mesi e per otto mesi rinchiuse senza vedere la luce del giorno, otto lunghissimi mesi, cosa le diremo? Le diremo che noi non siamo molto diversi da chi le ha torturate, da chi ha rinchiuso quei corpi in lager nel deserto alla mercede di aguzzini senza scrupoli, siamo della stessa amalgama di odio e indifferenza, siamo vigliacchi che si avventano sugli ultimi. Nemmeno il corpo di un bambino che galleggia accanto a quello della madre ci scuote. Non vediamo niente. Non sentiamo niente. Solo le menzogne e le cattiverie di ci governa e che ci riportano ad un passato ormai troppo presente. Peccato che chi ci governa lo abbiamo scelto noi.
Può essere abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, dice il decreto. E’ più selettivo il rilascio ed affida a sei permessi speciali la tutela del richiedente asilo che deve essere vittima di grave sfruttamento, o per motivi di salute, violenza domestica, calamità nel paese di origine, cure mediche o atti di particolare valore civile. Possibilità di revoca della protezione internazionale a fronte di una condanna di primo grado. Possibilità di revoca anche della cittadinanza per le condanne in definitivo per reati di terrorismo. Modifica del sistema di accoglienza con i centri per l’integrazione e l’inclusione sociale destinati ai soli minori non accompagnati e ai titolari di protezione internazionale. Per tutti gli altri la discarica dei centri per i rimpatri in cui raddoppia la permanenza massima da tre a sei mesi. Aumento dei fondi per l’applicazione delle espulsioni. Ai condannati per terrorismo in via definitiva divieto di partecipare a eventi sportivi, con “daspo urbano” anche per le aree come presidi sanitari, fiere, mercati, luoghi pubblici. Taser in dotazione anche alla polizia municipale in comuni con più di cento mila abitanti. Vengono inasprite le sanzioni rispetto le occupazioni abusive con pena fino a quattro anni per chi le organizza e le promuove.

Statistiche aggiornate a settembre 2018

Facciamo il punto della situazione al 30 settembre 2018 e spulciamo i dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia. Ad oggi abbiamo 59.275 persone detenute negli istituti italiani, un terzo (cioè 20.098) sono stranieri. Le donne sono 2.556. Prima per presenze si colloca la Lombardia con 8.439 reclusi, seguita dalla Campania con 7.515, dalla Sicilia con 6.413, poi in ordine dal Lazio, dal Piemonte e dalla Puglia. Settima troviamo la nostra regione con 3.584 prigionieri, al quarto posto per presenza femminile con 166 recluse ma tra i primi posti per percentuale di popolazione detenuta straniera rispetto il totale. Infatti più del doppio dei detenuti non è italiano.
Ma vediamo in dettaglio la nostra regione: nella C.C. di Bologna vi sono 806 prigionieri a fronte di una capienza regolamentare di 500. 82 sono le donne e 449 gli stranieri, cioè il 55% circa. Segue Parma con 580 detenuti rispetto i 467 consentiti ma “solo” il 35% non è italiano anche dovuto al fatto che vi si trova la sezione a regime di 41bis, dove la maggior parte dei detenuti è di nazionalità italiana. Terze con 477 prigionieri sono Modena e Piacenza che vantano però il primato regionale di presenza straniera con ben il 65% della popolazione. La scolarizzazione dei detenuti emiliano-romagnoli è in linea con il resto del Paese: la stragrande maggioranza si è fermato alla terza media, seguito da chi non è andato oltre la quinta elementare e al terzo posto troviamo invece chi ha conseguito un diploma.
Rispetto un anno fa il trend è di una popolazione carceraria in crescita: ad oggi 59.275 persone rispetto le 57.994 di fine ottobre 2017.
Nel 2018 i reati commessi sono stati per la maggior parte contro il patrimonio (il 25% dei detenuti), contro la persona (il 17%) e inerenti la legge sulle droghe (il 15%). Bè, un quadro nei dettagli già atteso e ripetitivo rispetto gli anni passati, se non per il numero di popolazione detenuta che può variare secondo decreti “svuota-carceri” emessi piuttosto che giri di vite più repressivi relativi a sicurezza, immigrazione o pene alternative al carcere.
Ultima e forse più triste statistica, i bambini detenuti assieme le madri quest’anno sono 62 a cui vanno tolti la piccola Faith di 7 mesi e suo fratello Divine di 19 mesi, uccisi il 18 settembre dalla madre detenuta nel carcere romano di Rebibbia.
La lettura dei dati statistici forniti dal ministero è importante poiché ci aiuta a conoscere un fenomeno sociale così vasto e complesso come l’universo carcerario e ci dà modo di fare delle previsioni per i tempi che seguiranno. Per ulteriori approfondimenti potete informarvi direttamente sul sito del Ministero.

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.page

Il carcere è blindato

Sono state approvate le modifiche all’ordinamento penitenziario in consiglio dei ministri giovedì 27 settembre e, come annunciato anche dagli stessi relatori, si va in una direzione decisamente opposta rispetto le linee tracciate dal precedente guardasigilli Orlando. Da una parte si vuole migliorare (almeno a parole) la situazione della salute in carcere, sia sotto l’aspetto medico che sotto l’aspetto di più spazi e maggiori ore d’aria. Questo in odore dei richiami della corte europea in materia dei diritti dei detenuti e per arginare la valanga di azioni legali intraprese da ex-prigionieri che denunciano un trattamento inumano subito in cella. Dall’altra parte si vuole sprangare i portoni degli istituti di pena rendendo sempre più arduo uscirne ottenendo benefici e misure alternative al carcere, rendendo più difficile il lavoro di volontari e associazioni, abbandonando il dibattito sul diritto all’affettività, alle misure alternative finalizzate alla tutela del rapporto tra detenute e figli minori. Insomma per tutta quella fetta di società che vive la quotidianità del carcere, ciascuno con le sue problematiche ed esigenze, sembra dunque un arretramento di tutta una serie di dispositivi e automatismi che dovrebbero altre sì garantire un minimo di speranza e reinserimento della popolazione detenuta.
Si parla della possibilità di ricevere trattamenti sanitari a proprie spese, addirittura interventi chirurgici in reparti interni agli istituti. Si parla di maggiori garanzie verso la popolazione straniera con l’inserimento di diete rispettose dei diversi credi religiosi e la presenza di mediatori ed interpreti. Si parla di maggiori tutele per coloro che sono più esposti per il loro orientamento sessuale a soprusi e maltrattamenti. Si parla di maggiori attenzione alle richieste di trasferimento in carceri più vicini alle famiglie dei reclusi. Si parla di aumento del minimo di ore che i prigionieri possono passare all’aperto. Si parla di lavoro e si autorizzano le amministrazioni degli istituti a stipulare direttamente accordi con le aziende esterne. A questo ovviamente sono esclusi i condannati per reati legati all’articolo 4 bis.
Si parla insomma di un carcere nuovo, più moderno, più attento ai diritti di chi è rinchiuso (e soprattutto ai richiami della corte europea) ma che comunque, da lì, è sempre più difficile uscirne. C’è il dubbio che rimanga tutto, come accade sempre in Italia in tema diritti, soltanto sulla carta.

Detenuto pestato a S.Vittore

Sono 11, tra agenti di polizia penitenziaria e ispettori del carcere meneghino di S. Vittore, per cui la Procura di Milano ha chiuso le indagini in odore di richiesta di rinvio a giudizio per accuse gravissime. I fatti risalgono al 2016 e al 2017. Ismail Ltaief è un detenuto tunisino che, a quanto emerge dall’inchiesta, ha subito minacce e pestaggi per aver denunciato alcuni agenti per furti alla mensa del carcere e per percosse, avvenuti nel 2011 quando era detenuto nel carcere di Velletri. Pestaggi che avrebbero avuto anche l’intento di impedire la sua testimonianza in aula al processo bis, sempre per quei fatti.
Le accuse fanno tremare i muri: intralcio alla giustizia, lesioni, falso e sequestro di persona. Nell’inchiesta compare anche un secondino arrestato perché avrebbe intimorito un compagno di cella di Ltaief, un sudamericano chiamato a testimoniare davanti al giudice e che ora è parte offesa nel fascicolo.
Aspettiamo con ansia gli sviluppi di questa inchiesta.

Disordini nel carcere di Pisa dopo il suicidio di un detenuto

Apprendiamo la notizia di disordini avvenuti nel carcere Don Bosco di Pisa la notte del 30 agosto, a seguito del suicidio di un detenuto tunisino di 21 anni. La rabbia dei reclusi, che lamentano oltre il ritardo nei soccorsi anche la difficile situazione carceraria, si è sfogata su suppellettili lanciati nei corridoi e lenzuola e materassi a cui è stato appiccato il fuoco. E’ il drammatico rituale a cui siamo soliti ad assistere, dove all’esigenza di più giustizia sociale e libertà vengono opposte repressione e burocrazia ignorante e assassina.

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