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I 4 morti di Modena esigono verità

I 4 morti di Modena esigono verità

L’eco delle proteste e delle rivolte nella primavera del 2020 nelle carceri italiane non si arresta e prosegue nelle carte delle Procure, per i pestaggi avvenuti durante i post-rivolta e per ricostruire i fatti sui nove decessi che pesano come un macigno. Tra questi, 4 detenuti sono usciti vivi dal carcere di Modena e sono morti pochi giorni dopo il trasferimento in altri istituti. Se per 5 di loro i risultati dell’autopsia hanno confermato il decesso per overdose da metadone, per questi ultimi 4 si stanno accavallando ipotesi tra pestaggi e carenze mediche. Cosa sia avvenuto nello spazio temporale tra l’irruzione degli agenti nelle sezioni occupate, la sedazione delle rivolte, il trasferimento in altri istituti e la morte dei prigionieri, se non sarà un’indagine dei tribunali a restituirci verità (cosa per cui siamo già abituati), ce la possiamo comunque immaginare. Diverse testimonianze, ora sotto l’occhio della Procura di Modena, parlano di pestaggi e torture inflitti ai detenuti nel carcere modenese di Sant’Anna.

Sappiamo come troppo spesso “sfugga la mano” al personale in divisa quando vuole riportare sotto il proprio controllo la situazione durante proteste e rivolte, incitati all’abuso dalle istituzioni quando si sentono minacciate o derise, esaltati dall’addestramento vigliacco dove diversi agenti armati picchiano un detenuto inerme e denudato.
Troppo spesso i mass media e “l’orgoglio nazionale”, inoculato dal teatrino istituzionale, vogliono farci apparire l’Italia come una repubblica moderna e civilizzata. Nulla di più diverso dalla realtà: quella di uno Stato di Polizia, di una “democrazia di frontiera”, non diversa dalla Turchia di Erdogan o dal Messico.

La vera immagine del nostro paese sono quegli agenti che, mentre torturano i prigionieri, indossano il passamontagna.

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