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Maurizio Alfieri picchiato nel carcere di Opera

APPELLO URGENTE ALLA SOLIDARIETÀ

Il detenuto in lotta Maurizio Alfieri è riuscito a farci sapere che dal 4 novembre si trova, per l’ennesima volta, in isolamento.

In seguito alle sue proteste per il trattamento riservato ad altri detenuti, un agente lo ha colpito a tradimento. Il compagno ha reagito; poi è stato immobilizzato e aggredito da una decina di secondini, che lo hanno portato in una cella liscia. Maurizio ha rotto la telecamera di sorveglianza, quindi è stato trasferito in isolamento per dieci giorni di punizione, a cui se ne aggiungerebbero altri 120 già bell’e pronti nel cassetto.

I suoi compagni di sezione hanno subito dato vita a una sorta di presidio interno. Convocati in una saletta dal comandante, questi ha detto loro che Maurizio salirà in sezione tra una settimana; mentre a Maurizio è stato minacciato il trasferimento con l’ennesimo 14 bis (isolamento punitivo).

Gonfio e pieno di lividi, Maurizio dice: “Piuttosto che piegarmi mi faccio ammazzare”.
Maurizio è uomo di parola.

Per lui e per tutti i detenuti in lotta, che la solidarietà non ci rimanga in tasca.

Maurizio Alfieri
Via Camporgnago 40
20090 Opera (Milano)

Doc: “Uno sguardo sulla privatizzazione delle carceri in Italia”

“Uno sguardo sulla privatizzazione delle carceri in Italia” è un documento dalla rete che analizza in modo esatto il tema della privatizzazione delle carceri.

 

Introduzione

 

La privatizzazione delle carceri è un fenomeno oramai diffuso su tutti i continenti. Si è scritto e indagato tanto sulle sue origini, la sua storia e sui mostruosi effetti che si verificano nei contesti in cui si sviluppa. In paesi come gli Stati Uniti, l’Australia o la Gran Bretagna le prigioni private rappresentano da più di trent’anni una triste normalità e le grandi corporation che vi operano, hanno modellato i penitenziari statali secondo l’ottica liberista, riuscendo a capitalizzare, con precisione e a fondo, ogni aspetto della vita carceraria. Un processo che, mettendo a profitto la funzione base del carcere, quella detentiva e repressiva e sfruttando il lavoro, coatto o meno, dei detenuti è andato insomma ben oltre la semplice esternalizzazione del servizio lavanderia.

In molti luoghi, infatti, le carceri, in questo caso sia pubbliche che private, riforniscono una fetta non indifferente del mercato del lavoro, attraverso la fornitura di migliaia di detenuti -lavoratori a salario ridotto, un esercito di uomini e donne impegnati nei diversi comparti della sottofiliera industriale e agricola; manodopera a bassissimo costo capace di produrre lauti profitti per le imprese coinvolte. Molte volte gli stessi impianti di lavorazione sono presenti addirittura all’interno dei penitenziari. Ciò che si va a creare è un arcipelago di carceri – fabbrica, disseminati sul territorio nazionale, connessi con i gangli commerciali principali di un territorio. La messa a valore dell’universo carcerario nel caso delle carceri private, però, non si riduce prettamente al profitto assorbito dal lavoro dei detenuti, infatti, l’elemento cardine di tale fenomeno è rappresentato proprio dalla reclusione stessa, dall’internamento come produttore di plusvalore.  In questo caso il carcere privato è definibile come una vera e propria  fabbrica della reclusione, dove la presenza effettiva del prigioniero è di per sé fonte di guadagno e dove, quindi, è interesse dell’impresa-  carceriere tenere costantemente piene le celle, assicurarsi, cioè, un flusso costante in entrata per  garantirsi tariffe giornaliere o rimborsi dei costi. E’ facile immaginare quali siano le conseguenze sociali di un sistema come questo, i cui principi animano, d’altronde, anche la gestione dei Centri d’identificazione ed espulsione in Italia.

L’intero processo di privatizzazione segue svariate vie, assume forme differenti e si sviluppa lungo fasi nello specifico anche molto diverse tra loro, il più delle volte però è sorretto da un discorso politico emergenziale simile,  correlato al secolare problema del sovraffollamento o giustificato dal sicuro risparmio per le casse dello Stato in un momento di recessione.

 

Cosa succede in Italia? Alla luce di quanto è in opera in altre parti del mondo, il sistema italiano, la cui privatizzazione è ancora agli albori, necessita di un approfondimento ulteriore, allo scopo di comprendere meglio le sue possibili evoluzioni ed essere in grado di sviluppare prospettive di lotta adatte a questo contesto in piena trasformazione.

Questo testo, cercherà di offrire un piccolo scorcio, breve e limitato al contesto nostrano, su alcuni aspetti particolari del fenomeno sopra citato.

 

Un processo lungo un ventennio

Negli anni ’90, sulla lunga scia delle politiche in atto in Gran Bretagna e Stati Uniti, venne avviato un programma generale di modernizzazione della pubblica amministrazione in un’ottica di razionalizzazione e trasformazione di tutti i suoi comparti e settori. Venne coniato così il termine di  “New public management”, dottrina imposta allo scopo di rendere più efficiente il sistema pubblico, riducendone i costi e aumentandone i profitti, utilizzando modalità e metodologie proprie del settore privato.

In quel momento presero il via le prime esternalizzazioni del settore pubblico italiano, carceri comprese, e si decretò il cosiddetto “arretramento dello Stato”, in linea con le richieste generali d’imponenti istituzioni sovranazionali come FM, BM e Ocse.

Tale processo si inserì per di più nella cornice dei vincoli dettati dal trattato di Maastricht. Sebbene già dalla fine degli anni ’80 alcune aziende fossero entrate nel settore pubblico, ivi compresi i penitenziari, offrendo alcuni servizi come la pulizia delle strutture, solo dagli anni ’90 il fenomeno iniziò a diventare una procedura regolare nella fornitura di prestazioni delle più svariate.

Nel 2001 l’allora guardasigilli Fassino, nell’intento di proseguire verso la direzione di privatizzazione oramai avviata, dispose la dismissione di 21 carceri e l’individuazione di un modello inedito di prigione di media sicurezza e a trattamento penitenziario qualificato. Vennero create imprese apposite con l’intento di riconvertire le carceri considerate vetuste e, attraverso il coinvolgimento dei privati, individuare nuove aree edificabili per nuovi e moderni penitenziari.  Benché i primi passi in tale direzione risultarono allora macchinosi e infine poco produttivi, le intenzioni rimasero comunque in piedi, addirittura rafforzandosi sotto la guida di Castelli.

Proprio in quegli anni, sotto la spinta di una politica repressiva senza precedenti nei confronti dell’utilizzo di sostanze stupefacenti, vide la luce quello che molti definirono il primo carcere privato in Italia.  Il 21 Marzo 2005, dopo quattro anni dalla presentazione del progetto, nacque, infatti, a Castelfranco Emilia in provincia di Modena, la cosiddetta “Comunità agricola”, un comunità terapeutica di stato per la reclusione e il recupero di 140 detenuti tossicodipendenti. La gestione della struttura andò in mano, senza gara d’appalto, alla famigerata Comunità di San Patrignano. Al di là delle proteste che scaturirono per la scelta dell’associazione di Muccioli, famosa per le pratiche terapeutiche a dir poco ributtanti e violente, e al di là delle critiche per le politiche repressive che l’allora governo stava attuando, l’attenzione si concentrò, in parte, sulle modalità gestionali stesse, che mai avevano visto dei precedenti in Italia. Un ente privato, nello specifico un’associazione, prese in gestione tutte le mansioni e prestazioni, salvo quelle più schiettamente repressive e custodiali, di un vero e proprio carcere per detenuti tossicodipendenti. In questo caso non si parlò, infatti, di semplice esternalizzazione di uno o più servizi nell’ottica di un protocollo d’intesa, ma di una perfetta partnership pubblico-privato.

 

A piccoli passi

Nel 2012 sotto il Governo Monti venne emanato il Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n. 1,  meglio conosciuto con il nome di “Decreto Liberalizzazioni”.  Uno degli elementi più rilevanti di tale testo è contenuto nel Titolo II Capo 1, art. 43, in cui si affrontano importanti novità riguardanti l’edilizia carceraria.  Intese come disposizioni urgenti per “fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento delle carceri” si introdusse, questa volta in modo più concreto di quanto avesse fatto il governo di Centro-sinistra nel 2001, lo strumento del Project financing applicato al business della reclusione.

Ebbene che cos’è questo strumento? Il Project Financing è un dispositivo economico, già in uso in Francia e Gran Bretagna da molto tempo, che permette la partecipazione di grosse aziende, imprese private o Banche (quest’ultime solo se finanziano almeno il 20% del costo d’investimento) alla progettazione, costruzione e infine gestione di nuovi penitenziari. Infatti, lo Stato che partecipa con una percentuale al finanziamento, permette all’azienda che ha progettato e costruito il penitenziario di gestire la struttura in tutti i suoi servizi e mansioni, escluso quello custodiale, per 20 anni, ricavandone tutti gli utili e i profitti del caso. Allo scadere del ventennio la gestione ripassa, debiti compresi, allo Stato.

Una volta iniettata la riforma, il processo non tardò certo ad avviarsi.

Ai giorni nostri, qualcuno, come meravigliarsi d’altronde, ha colto la palla al balzo.

 

Il carcere di Bolzano

L’inaugurazione del nuovo carcere di Bolzano si sarebbe dovuta tenere nel giugno 2016, ma a causa di alcuni ritardi nei lavori, è slittata a giugno 2018. Questa struttura, voluta fortemente dalla provincia autonoma di Bolzano – Alto Adige, è definibile a tutti gli effetti come un vero e proprio penitenziario privato, il primo di questo genere in Italia. Il carcere – progettato per 220 detenuti e comprendente una sezione di 20 posti per semiliberi, una caserma per 30 agenti e moduli abitativi esterni per un centinaio di famiglie di secondini – è il primo esempio in Italia di partnership pubblico-privato applicata alla reclusione ed il primo caso di project financing riferito all’edilizia carceraria. Sarà una “rivoluzione trattamentale” secondo le parole dell’Avv. Massimo Ricchi, professore alla LUISS e consulente PPP per la provincia di Bolzano, in grado di andare incontro ad un sistema penitenziario che “come tutti i processi produttivi, (…) crea delle diseconomie e delle esternalità”. I punti forti del Project Financing sono la velocità nei tempi di attuazione, risparmi nella spesa per lo stato, possibilità di negoziazione con l’affidatario scelto per il progetto; elementi che creano un modello giuridico, tecnico ed economico- finanziario ripetibile.

È interessante notare come la possibilità di realizzazione di questa struttura sia stata permessa dapprincipio da una normativa emergenziale, decretata nel 2010 a causa del sovraffollamento carcerario, che ha consentito al Capo del DAP di ricoprire anche il ruolo di Commissario governativo per l’emergenza carceraria e quindi di essere al tempo stesso anche Commissario delegato con poteri emergenziali di protezione civile. Tale situazione, nel caso d’Intesa tra Governatore della regione o della provincia autonoma e il capo del Dap, ha permesso la concentrazione in un unico atto di tutti i punti della localizzazione, rendendo così il procedimento più veloce e derogando alle norme del codice civile e al codice dei Contratti.  Quindi un contesto emergenziale che una volta annunciato, come spesso accade, permette al legislatore stravolgimenti giuridici e burocratici difficili da far passare in una situazione normale.

In linea generale, l’appalto ideato prevede la concessione di lavori pubblici in primo luogo per la progettazione e la costruzione della nuova prigione che, secondo lo studio di fattibilità, ammontano a circa 72 ml di euro, e in seconda battuta riguarda la gestione dello stesso per i vent’anni successivi. Più precisamente, da un lato, all’impresa vincitrice del bando spetta una parte del finanziamento della struttura, della sua progettazione definitiva ed esecutiva, secondo le linee guida progettuali, della sua costruzione, della fornitura di arredi, apparecchiature, attrezzature e suppellettili, dall’altro lato, secondo un profilo prettamente gestionale, l’impresa privata si farà carico della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile e degli impianti, della gestione delle utenze, del servizio lavanderia, della mensa collettiva e dello spaccio alimentare, del bar interno, della pulizia dell’edificio e della gestione delle attività sportive e di quelle formativo- ricreative. Questo carcere si presenta come un esempio innovativo, un modello di carcerazione al passo coi tempi, moderno nei metodi e nelle strutture, nell’utilizzo della sorveglianza dinamica e nella creazione della prima mensa collettiva in un penitenziario italiano.

All’ente in questione spetta il 67% dei costi di progettazione e costruzione, mentre il restante 33% grava sulle casse dello Stato. Per la gestione di tutti i servizi sopracitati, invece, l’impresa scelta incasserà un canone annuo di 2,4 ml di euro nella cornice di un possibile canone di disponibilità annuo di 5,8 ml.  Quest’ultimo indica la somma stanziata dallo Stato al soggetto privato nel caso in cui tutto il procedimento gestionale vada a buon fine, ovvero senza intoppi, ritardi e vizi di forma che comportino il non effettivo funzionamento e la mancata disponibilità, anche temporanea e parziale, della struttura.

Ma che significato ha il termine “disponibilità” se traslato dal vocabolario dell’economia all’interno della semantica dell’universo carcerario? Innanzitutto significa certezza che i servizi offerti ai reclusi siano presenti e funzionino bene, che le strutture siano agibili, pulite e integre ma, cosa forse più importante e tremendamente banale, che all’interno del carcere ci siano costantemente uomini e donne internati. Insomma, l’utilizzo dello strumento della “tariffa giornaliera fissa”, attraverso la quale lo stato paga all’azienda una somma relativa al numero di detenuti effettivi all’interno della struttura,  utilizzato d’altronde nelle carceri private statunitensi o nei Cie italiani,  ha una sua origine, un suo modello evolutivo le cui prime fasi sono rintracciabili proprio nel concetto di “disponibilità” sopracitato.

L’appalto per la costruzione del carcere di Bolzano se l’è aggiudicato l’impresa INSO – sistemi per infrastrutture sociali, un’azienda multinazionale, con sede legale a Roma, presente in diverse zone d’Europa e del mondo. L’impresa si occupa soprattutto di progetti di costruzione e fornitura di tecnologie nei settori della sanità, dell’industria e del terziario. Essa è inserita in una rete di aziende e imprese subordinate a Ferfina spa, meglio conosciuta come Condotte per l’acqua spa, leader italiano e mondiale nel settore delle costruzioni civili, autore di diverse opere devastanti in giro per il mondo come la Centrale Elettronucleare Montalto di Castro e quella di Trino Vercellese, l’alta velocità Torino – Milano e Roma – Napoli, il progetto Mose a Venezia e quello del ponte sullo stretto di Messina, solo per citarne alcune delle tantissime presenti sul territorio italiano. I terreni su cui sorgerà il penitenziario, invece, 18 mila metri quadri d’estensione, sono stati acquistati, a scopo speculativo dal Gruppo Podini e Rauch di Bolzano, anche grazie ai compensi della Provincia Autonoma.

La costruzione di un nuovo carcere è sempre un evento molto grave, in questo caso, però, assume un significato ben più profondo. Esso è il precedente che spianerà la strada ad una privatizzazione più ampia del sistema carcerario italiano con le conseguenze e gli effetti che tutti conosciamo.

Il processo in atto, tuttavia, non si conclude certo con la costruzione di un solo carcere “modello” al nord Italia; esso è una piccola espressione di un movimento più ampio dove gravitano altri fattori e dinamiche. Il carcere di Bolzano, insomma, non è l’unico indicatore di tale evoluzione, elementi diversi possono essere scovati anche altrove.

 

Gepsa in Italia

Da qualche anno a questa parte si è inserito all’interno del mercato della gestione degli immigrati in Italia, un nuovo ente gestore, dinamico e intraprendente, dotato di una storia e di un profilo molto significativi, l’azienda francese Gepsa, branca di Cofely, parte a sua volta di Gdf-Suez (Engie). Essa ha pervaso diversi ambiti del business legato ai flussi migratori, proponendosi come gestore di strutture differenti tra loro, dalle carceri per immigrati senza documenti fino ai Centri per richiedenti asilo. Attualmente l’azienda, coadiuvata dall’associazione siciliana Acuarinto, gestisce due dei Cie più grandi d’Italia, quello di Torino e Roma, un Cara a Milano (nei pressi dell’ex Cie di via Corelli) ed è presente in quasi tutte le gare d’appalto per la gestione degli altri Cie o centri per richiedenti asilo sparsi sul territorio nazionale. L’azienda, insomma, in pochi anni è riuscita con successo a penetrare sul territorio nostrano, imponendosi, grazie alle sue qualità, come leader nella gestione di strutture concentrazionarie. La storia della multinazionale francese e le competenze che ha sviluppato negli anni la dicono lunga su quanto essa possa rappresentare un modello aziendale ripetibile e, soprattutto, su quali scenari possa aprire la sua entrata nel panorama italiano.

Gepsa, infatti, è un’azienda nata nel 1987, a seguito di un mastodontico piano carceri in Francia. Attualmente gestisce oltralpe ben 13 penitenziari e 8 Centri d’identificazione ed espulsione, ed è impegnata nel project financing di 4 nuove prigioni, oltre ad essere amministratrice del lavoro di migliaia di detenuti.

Una presenza, la sua, che, come spesso accade, non si limita al semplice intervento nei bandi di gara, ma si concretizza in una vera e propria attività di lobbying nei confronti delle diverse istituzioni, una prassi il cui fine non è esclusivamente l’accaparramento degli appalti, ma la concreta modifica della legislazione vigente. Per un’azienda come Gepsa il mercato italiano della carcerazione, ancora sottoposto ad un modello chiuso economicamente e in pratica ristretto dalle grinfie del controllo statale, necessita di una profonda rivoluzione giuridica, un cambiamento che lo avvicini ai modelli liberali anglosassoni o perlomeno al modello misto francese, in cui Gepsa opera da anni.

Si è scritto tanto sulle pressioni che alcuni colossi della carcerazione operano nei confronti di istituzioni e partiti ed, infatti, non fanno notizia i milioni di dollari elargiti durante le campagne elettorali inglesi, australiane o nordamericane. Tuttavia, in Italia, di tale prassi si sa ben poco. A tal proposito, le notizie in circolazione su queste aziende sono limitate e non si riesce a capire quasi nulla dei loro movimenti sotterranei. Attività che indubbiamente esiste e risulta fondamentale ai fini dell’investimento. Nel maggio 2013, ad esempio, si è svolto presso la Casa circondariale di Saluzzo un seminario di approfondimento sul tema del Partenariato Pubblico Privato nella gestione dei servizi ausiliari penitenziari. All’incontro erano presenti varie autorità, personalità del Dap affiancate da alti rappresentanti sia di Gepsa che di Cofely. Al di là delle spiegazioni su cosa è e come potrebbe essere gestito il PPP, risulta chiaro che lo scopo di un seminario come questo e di altri incontri, sicuramente organizzati, sia ben altro rispetto ad un banale confronto.

 

Conclusioni

Che peso e che significato ha la presenza di un colosso della carcerazione come Gepsa in Italia e la sua partecipazione all’affare immigrazione? E soprattutto come legare questa figura a quanto detto finora, cioè ai lenti cambiamenti giuridici, alla comunità di Muccioli e al carcere di Bolzano?

La penetrazione dei privati all’interno del sistema carcerario penale non avviene dall’oggi al domani. Come ampiamente documentato, perché verificatosi in altri contesti, tale fenomeno pervade dapprima settori subalterni alla carcerazione. Un esempio classico è, come visto, la banale fornitura di servizi ai detenuti, un canale d’accesso che si può definire privilegiato, diretto e semplice. Ma ciò che rappresenta un vero e proprio banco di prova per le aziende è la gestione di strutture totali diverse dalle carceri, ma in qualche modo ad esse prossime e somiglianti.

In alcuni contesti, infatti, queste strutture hanno preso la forma dei centri di recupero per tossicodipendenti o delle case di riabilitazione, in altri luoghi, si sono invece palesati soprattutto nel settore, ambiguo e complesso sotto il profilo giuridico e legislativo, della detenzione amministrativa per immigrati irregolari.

Così, le aziende private, attraverso la gestione di comunità terapeutiche e Cie, hanno accumulato esperienza in questi settori, captato consenso e accettazione sociale e, una volta assicuratasi un’aurea di normalità, se non di umanitarismo in alcuni casi, hanno permeato il mercato carcerario più ampio. Questo è probabilmente il cammino percorribile in Italia da cooperative, associazioni e aziende, vecchie o nuove, nostrane o transalpine, il cui passaggio da una struttura detentiva per immigrati ad un carcere penale diventerebbe all’oggi molto più agile. Al momento molti di questi enti non dispongono del capitale necessario per la gestione di un penitenziario, ma qualcosa indubbiamente si sta muovendo.

Per questo motivo la presenza di Gepsa nella gestione dei Cie dovrebbe destare una forte attenzione.

Essa rappresenta uno dei punti nevralgici di una mappatura più ampia, una topografia del “campo” che collega il Cie di Roma al carcere di Bolzano, il Cara di Milano alla Comunità di Castelfranco, un universo concentrazionario privato in piena ed energica espansione.

Abusi nel carcere di Opera

Riportiamo questa lettera-denuncia pubblicata sull’opuscolo 115 di OLGa, scaricabile dal sito http://www.autprol.org/olga/

Lettera collettiva dal carcere di opera

“Carissimi amici e compagni, siamo un gruppo di detenuti 4° piano 1° padiglione che vogliamo raccontare cosa è successo a salazar (un bravissimo ragazzo filippino che non poteva nuocere ad una mosca) e che quando c’è stata la manifestazione di antigone lui, per questo, aveva bruciato il materasso. Questo dopo che chiedeva da 4 giorni di andare in isolamento, perché ha tre bambini piccolissimi, e non gli danno il lavoro.

Così, dopo l’intervento degli agenti è stato picchiato dal 4° piano fino al 2° piano, un agente gli ha sferrato un pugno, ma salazar si è abbassato, essendo piccolissimo (pesa 40 kg), all’agente si è girato il ginocchio ed è caduto, battendo la fronte sui gradini delle scale. Questi aguzzini non hanno perso tempo a fare pubblicare sul giornale su una pagina intera che “un agente è stato aggredito selvaggiamente da un detenuto”, invece di dire che (il detenuto) è stato picchiato da decine e decine di agenti, perché loro vogliono sempre passare per vittime, invece di dare il lavoro ad un uomo con tre bambini piccoli (uomo mite e sempre sorridente) che noi sappiamo come sono i filippini quando lavorano – anima e corpo. Questa è la verità di quello che è successo e non di quello che hanno scritto i giornalisti in concomitanza con quello che la direzione vuole coprire per giustificare eventuali pestaggi.

Un abbraccio da tutti noi detenuti 1°padiglione 4°piano in solidarietà con salazar vittima di questo sporco e infame sistema.

Grazie di tutto, ciao!”

fine luglio 2016

Lettera-denuncia dal carcere di Opera (MI)

 

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“Ciao,

di operatori in questa sezione ce ne sono quattro, ma sono qui solo per guidarci nel progetto, per tutto il resto non hanno voce in capitolo; però c’è da dire che per tutte le nostre lamentele loro ci sono e fanno da portavoce, purtroppo inutilmente.

Il ragazzo marocchino, salvato da uno di noi dalla morte, dopo il suo gesto estremo è stato portato in isolamento a cella liscia, senza tv, lenzuola e tutto il resto, praticamente 14bis. Il paradosso è che dopo il suo gesto hanno iniziato a dargli le giuste cure per il suo dolore ai testicoli ed ora sta bene. Mi domando, uno che sta male per essere curato deve arrivare a tanto? Boh. Secondo le guardie, soprattutto i loro capi, è tutta simulazione. Ma, mi domando, se non gli veniva tolto il cappio dal ragazzo che l’ha trovato impiccato, sarebbe morto: chi morirebbe par una simulazione? Non c’è dubbio che il suo male, dolore è stato trascurato da medici e guardie, come spesso accade qui. Al ragazzo che l’ha salvato non hanno detto parola, però quando c’è da fare rapporti e buttare i detenuti in isolamento lo fanno subito.

Dei ragazzi che hanno subito punizioni per la raccolta di firme su richieste di mettere fine a tante schifoserie, ti posso dire che stanno tutti bene e che sono in sezione, alcuni devono ancora pagare il periodo di isolamento. Si vedrà.

Passare l’estate qui a Milano so che non è bello, da libero è capitato anche a me, comunque grazie a questo sporco sistema retto da indegni politici mangia soldi, tante persone si trovano in una situazione di disagio senza lavoro e soldi. Ti giuro darei fuoco alla Camera e al Senato, puzzano tutti di marcio, ma in galera non ci finiscono mai, a differenza dei poveri disgraziati come me che, per far mangiare i propri figli vanno a fare reati.

Saluta tutti/e i/le compagni/e sempre a pugno chiuso e a testa alta”.

Settembre 2016

Eddi Karim

Lettera dal carcere di Belluno

[…] Insieme alle, agli altr* compagn* dispersi in tutta Italia e nel mondo, con i volantini, presidi, manifesti, opuscoli ci siete d’aiuto enorme a tutt* noi; tutt* insieme riusciamo a superare tanti ostacoli.
Parlo per esperienza personale da quando ero a Opera o a Vicenza nel 2015 dove ho rischiato di essere ucciso varie volte e poi ce l’ho fatta a essere trasferito vivo in un altro carcere, ce l’ho fatta anche questa volta a essere trasferito dal lager di Verona in tempo.
Ed ora sono a Belluno, sono ancora di nuovo qua, e quello che ho notato è che c’è tanta differenza tra qua e Verona. E sempre carcere è, ma dal comportamento dell’operatore, delle guardie noti che sono più umane, so che è presto per dirlo, ma con la mia lunga esperienza purtroppo so distinguere il meno peggio dal peggio.
Ora qua sono un po’ tranquillo e vedremo se si muoverà la procura di Verona per la denuncia che ho spedito, speriamo che non venga archiviata, nonostante la lunga lista di testimoni, vedremo. Questo grazie ai compagni di Verona, che ho sempre avuto il loro sostegno, sia con presidi che nel contattare l’avvocato, con la corrispondenza ecc. ecc.
Gli sono molto grato, non smetterò mai di ringraziarli, mi sono stati molto vicini e solidali; fatto che vale lo stesso per i vecchi compagni di Venezia che hanno tutta la mia solidarietà per lo sgombero dell’ospizio e per i compagn* di Torino per lo sgombero dell’Asilo. Prego tutt* di non mollare e occupare altri edifici, magari mettendo la bandiera russa (ah! ah!), così Salvini e i suoi cani non li prenderanno di mira…
Approfitto di salutare tutt* compagn* in lotta e un abbraccio forte a Davide Delogu che gli hanno riattivato il visto di controllo a Rossano Calabro, sperando che gli fanno ricevere questa mia ultima lettera che gli ho inviato oggi e un abbraccio forte a Maurizio Alfieri che di sicuro segue le nostre battaglie da fuori (libero) che deve godere la libertà e a tutt* voi un saluto a pugno chiuso.

3 ottobre 2019

Lettera dal carcere di Trieste

Carissim* compagn*, sono Eddi Karim vi scrivo dal lager di Trieste dove sono stato trasferito dal carcere di Vicenza; lì hanno tentato di farmi fuori con dei complotti diabolici. Sanno che sono asmatico ed hanno fatto portare (era l’8 luglio) dei detenuti (bisognosi di cure) che avevano bruciato le celle in altre sezioni, nella sezione punitiva dove c’ero io. Proprio il detenuto che hanno messo davanti alla cella dove ero io, chiama la guardia perché stava male, le guardie non rispondevano, ma se la ridevano. La sera verso le 22 il detenuto, che avevano messo davanti a ne, ha incendiato il cuscino, dei giornali, buttandoli nel corridoio, proprio davanti a me… che, per salvarmi, ho dovuto chiudere il blindo e spruzzarmi in viso lo spray Ventolin – Salva Vita. Nessuno è intervenuto per spegnere il fuoco, per diminuire il fumo!

La sera successiva un altro detenuto portato lì ha compiuto gli stessi gesti, la sezione si riempie di fumo, ma stavolta tutti i detenuti gridano per uscire all’aria perché stiamo soffocando. L’ultima cosa che ricordo prima di svenire. Dopo, i detenuti mi hanno raccontato, è accaduto hanno aperto a tutti la cella, saltando la mia e quella di un altro fatto di psicofarmaci, che dormiva. Mezzora dopo quel caos due detenuti rumeni si sono accorti della mia senza ed hanno cominciato ad urlare il mio nome insieme al resto dei detenuti ch’erano nelle scale. A sto punto non è rimasto niente alle guardie che venire a tirarmi fuori (magari con la speranza di trovarmi morto). Invece mi hanno trovato svenuto per terra con lo spray in mano. Mi hanno trascinato all’ascensore, davanti ai detenuti sulle scale che urlavano “l’avete ucciso siete contenti?”

Alle 24,40 mi sono svegliato in infermeria con il medico di turno, che mi ha raccontato che mi hanno portato in extremis. Un’ora dopo mi sentivo un poco meglio e ho deciso di tornare in cella. Le guardie mi hanno detto che mi hanno dimenticato per colpa del caos; gli ho risposto che l’hanno fatto apposta, che hanno provocato il detenuto.

Il giorno dopo al telegiornale regionale Rai3 (sempre a Vicenza) hanno parlato di questo fatto raccontando che quattro guardie sono rimaste intossicate e basta. A quel punto ho scritto a compagn* a Venezia, alla Garante regionale dei diritti dei detenuti, che il 23 luglio è venuta a trovarmi. Il giorno dopo sono stato trasferito a Trieste.

Qui il primo ostacolo, ancora non risolto, è quelle delle telefonate famigliari, che nonostante siano autorizzate dal tribunale di Venezia, loro non me le danno perché dicono che ora sono ricorrente, che perciò non sono più sotto il tribunale. Secondo me è solo un abuso di potere, per vendicarsi. In più mi hanno messo in una sezione, dove ci sono solo stranieri, piena di cimici piccole, succhiano il sangue. Ai detenuti italiani invece hanno cambiato brande, materassi, hanno disinfettato le celle.

Il direttore è assente, l’ufficio comando esiste solo per gli italiani, il dirigente sanitario non esiste, i medici sono inesperti ecc. Per dirla corta sono scappato dal lager di Vicenza e sono inceppato in un pozzo buio senza scintille di luce, in compagnia di cimici di cui sono allergico; cioè Trieste, che fortuna!

Prima di salutarvi voglio esprimere la mia totale solidarietà al mio caro amico Maurizio Alfieri e al compagno Davide Delogu, raccomandandogli di non mollare. Un abbraccio a voi e ai compagni di Venezia, Vicenza e a tutti quelli in lotta. Karim

8 agosto 2016

Saccheggi nel carcere di Livorno

Lettera-denuncia dal carcere di Livorno circolata in rete:

“Ciao ragazzi,

sono arrivati i libri, sono bellissimi, specialmente Charlie Bauer. Non immaginate quanto tempo mi sono impegnato a leggerli; mi è passato più veloce il tempo, mentre leggevo con la testa evasa da queste mura. Quei libri mi hanno aiutato tanto distraendomi un po’ e facendo passare prima le lunghe giornate di noia che ci sono. I libri cambiano in meglio le nostre giornate.

Il caldo è insopportabile, si soffoca, siamo pieni di zanzare e scarafaggi in cella, per non parlare dei topi grandi come gatti che girano intorno al carcere. Le zanzare ci mangiano, compriamo tutti gli zampironi. Ci siamo inventati una trappola per dare la caccia alle zanzare. In pratica è una bottiglia di plastica capovolta con infilato nel foro del tappo il manico della scopa; la bottiglia viene bagnata di olio, il bastone lo si lega alla branda innalzandolo verso l’alto, nel volare le zanzare prima o poi si posano sulla bottiglia e ci rimangono attaccate, muoiono. Quasi tutti ne abbiamo costruita una, ci arrangiamo come si può.

Le guardie della spesa per la cucina dei detenuti prendono da questa tutto quello che gli serve a casa per cucinare e mangiare; gli oggetti che ci vendono nel sopravvitto i prezzi sono da insulto, inoltre tutto quello che avanza se lo prendono le guardie addette. E’ tutto un mangia mangia che va contro di noi, che subiamo; qualcuno diventa lecchino, viene insomma messo a tacere dai regali delle guardie. Pochi riescono a sottrarsi a questi traffici.

Anche leggendo questi libri si vede chiaramente com’è cambiato il detenuto. L’unione e le rivolte di un tempo sono sempre più rare, l’unione tra detenuti non è più comune come prima. Ogni problema che si ha con la polizia penitenziaria è solo tuo, e combatti da solo contro loro. E queste cose sono all’ordine del giorno. Una volta non era così.

Ciao ragazzi vi auguro una buona estate”

(luglio 2016)

Lettera di Maurizio Alfieri da Opera

Il 21 luglio ricorre l’anniversario dell’assassinio di Stefano Frapporti (5 anni) e Stefano è sempre in tutte le nostre lotte, vive con noi! Ciao fratello!

Carissime/i compagne/i,
dopo la fine del 14bis ho preso una forte contrazione alla schiena e un’allergia che ancora oggi mi chiude le narici … Questa è la (Macumba) che mi hanno fatto a Opera per il mancato trasferimento e soli 3 mesi di 14 bis (4 mesi e g. 5) passati sempre attivamente con ginnastica e contestazioni quando ce n’era bisogno, ma tutti erano educati. Adesso mi hanno fatto l’ennesima proroga della censura. Ma quello che mi tiene nervoso è l’isolamento dato ai miei compagni (cioè a cinque ragazzi che, dopo la rituale settimana di punizione imposta a Maurizio, chiedevano ai capi delle guardie perché non faceva ritorno…). Al direttore ho detto che è stato un abuso perché gli hanno dato “mancato rientro in cella”, quando chiedevano di parlare con un responsabile, dalle 16,30 alle 18,30, orario in cui hanno parlato con l’ispettore, mentre la chiusura delle celle avviene alle 19,30. E’ evidente l’abuso di potere fatto per stroncare la solidarietà.

A me il direttore ha detto che ho altri 150 giorni di isolamento, che li ha sospesi; mentre sugli altri miei compagni di sezione sono sospesi ’18 rapporti’ con richiesta di 14bis. Io, se portano un mio compagno alle celle sono pronto a prendermi 18+18+18 rapporti e il 14bis. Dato che un mag. di sorv. (Cossa) ieri ha dato torto ad un compagno dimostrando l’ignobile e infame sistema della giustizia che copre crimini e abusi, invito tutti/i compagne/i e solidali ad una forte protesta al trib. di sorv. Appena saprete che io sono in isolamento per solidarietà a tutti i miei compagni. Metterò in atto ogni tipo di protesta perché per colpire me non dovevano fare questo abuso.

Sono cambiate molte cose in meglio. L’ispettore che al 2° padiglione picchiava i ragazzini e si faceva chiamare (Beautiful, camorrista) è stato tolto dopo l’ultimo pestaggio ad un ragazzino per uno spinello. L’ispettore che c’era qua (Trainito), un essere ignobile, a lui è dovuto il mio 14bis, inquisito per pestaggi e impiccati (sospetti), è stato tolto dal 1° padiglione e il rapporto con i nuovi responsabili è umano e rispettoso. Per cui comandante e direttore hanno fatto una “depurazione”: celle imbiancate e agenti comprensibili, che non hanno la parola (rapporto) in bocca. Se capitano a me non ci metto un attimo a riempirli di parole, perché le minacce di quel tipo mi fanno imbestialire. Quando mi dicono: ‘ Alfieri essere anarchico le costerà tanto’, io rispondo a costoro (lecchini dei loro padroni), che ho sempre espropriato le banche, che sono ladri e assassini dei poveri) e in questi anni ho scoperto con gioia e felicità che i miei ideali di uomo libero e ribelle, vicino al popolo, ai poveri e bisognosi e a ogni anarchico/a compagne/i e solidali, fiero di tutto non un passo indietro. E se non vi sono bastati 10 anni di isolamenti (in 22 anni, totale), solo quando sarò morto si placherà la mia ribellione.

Il 17 novembre siete tutte/i invitate/i a Udine, all’inizio del processo di Tolmezzo; ci sarà il comandante del carcere (Barbieri) e l’agente (corrotto) sporco giochista (Sanfilippo). Invito tutte/i in questo dibattimento che ho scelta senza sconti di pena per dimostrare che i presidi e le notizie, uscite da Tolmezzo su abusi e pestaggi, hanno permesso a dei vigliacchi di architettare una trappola degna degli esseri infami più ignobili sulla faccia della terra. Il giudice, una donna, a detta dei miei avvocati è professionale e umanamente scrupolosa a cercare la verità; anche a me ha dato un’ottima immagine. Poi in aula dimostreremo cosa ha cercato di fare il pm Bonocore, ideatore e promotore di tutto e responsabile di tutti gli abusi che creano in carcere. Non sarò solo, tutti/e noi guarderemo in faccia gli aguzzini, sempre a testa alta, perché, se condanneranno me sarà una rappresaglia contro le nostre lotte. Non avrei patteggiato neanche un anno, anche se ora ne rischio cinque. Patteggiare significava occultare pestaggi-abusi- e torture, scendere a compromesso.

Tutto questo non ci appartiene. I compagni Sacco e Vanzetti furono giustiziati innocenti in America nel 1922, oggi tanti/e compagne/i, dopo quasi un secolo, vengono incarcerati in paesi come la Grecia, l’Italia, l’America Latina ecc. Tante/i sono uccise/i, torturate/i solo perché hanno il sogno (della libertà) e di un mondo senza schiavi e padroni, proprio per quel sogno che loro vogliono soffocare attraverso il codice Rocco (fascista), rappresaglie processuali, 14bis che a me regalano ogni anno, come quest’ultimo che, dopo l’infamia di scrivere che facevo prepotenze ai miei compagni-amici- e fratelli in sezione.

Oggi sono ancora insieme a tutti loro. Se la direzione vuole ripristinare la legalità devono sospendere l’isolamento che hanno erogato, se no siamo pronti a scrivere molto altro e l’isolamento non ci fermerà.

Resto fiducioso che prevalga il buon senso.
Un abbraccio anarchico e No Tav – Liberi/e tutte/i.
(Non ricevo posta, sappiatelo … vvb Maurizio)

7 luglio 2016

Maurizio Alfieri, via Camporgnago 40 – 20090 Opera (Milano)

Lettera dal carcere di Opera di luglio 2016

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… Questa mattina è accaduto un fatto brutto: in diversi detenuti siamo riusciti a salvare un giovane marocchino che si era impiccato, abbiamo fatto in tempo ad alzarlo. Dopo una sosta in infermeria l’hanno portato purtroppo in isolamento ‘per motivi di sicurezza’. Spero al più presto lo riportino qui.

Tutto questo è accaduto per lo smisurato menefreghismo di Opera. La sua situazione, che a dir poco è sconvolgente. Praticamente più di un anno fa questo ragazzo ha preso un colpo ai testicoli. Da quel momento ha patito un dolore allucinante. Ha passato un anno sempre lamentando il dolore, ha fatto un paio di visite e qualche controllo; tutti privi di esiti su cosa gli provocasse il dolore.

Così, come accade sempre, è stato messo nel dimenticatoio di Opera. Lo vedevo quanto soffriva, non riusciva a sedersi, a camminare e non dormiva. Parlava con tutti, si sfogava, diceva sempre che non sopportava più quel dolore. L’altra sera gli hanno fatto un’iniezione; prima lo curavano con le bustine antinfiammatorie. Quella puntura gli ha provocato una reazione allergica. Fortunatamente non è andato in shock anafilattico (grave reazione allergica a rapida comparsa e che può causare la morte), comunque, il forte dolore e questo menefreghismo l’hanno portato a commettere l’estremo gesto. Per fortuna o per puro caso, ringrazio il destino che l’ha salvato.

Un’altra angheria e prepotenza viene dagli educatori, in primis Pizzuto, la direzione. Qui continuano a mettere dei bandi per trasferimenti in altri istituti. Qui in ogni sezione siamo 50, ebbene in certe sezioni almeno 20 chiedono di essere trasferiti, di andare via. Qui si sono chiesti cosa c’è che non va, perché così tanti se ne vogliono andare.

Così è stata fatta una riunione con i richiedenti trasferimento. Molti hanno detto che era per avvicinamento colloqui, altri per lavoro, altri ancora hanno detto che è per il modo di operare di Opera, non sei seguito e aiutato da educatori e assistenti sociali. Non c’è una sanità decente. Non ci sono possibilità di lavoro. Insomma Opera ti porta a fine pena. Visto che è così allora vogliamo finire la pena in altri istituti dove non sei tutti i giorni torturato psicologicamente.

Ma alla fine tutte le richieste di trasferimento sono state bloccate. Ti rendi conto di che cosa è Opera; qui davvero se non hai un minimo di forza per lottare contro gli abusi e le torture, vieni assorbito da queste mura e dall’situazione sporca e capitalista, fino a commettere atti di autolesionismo. Questo perché Opera ti lesiona il cervello: parlando tra detenuti, a tutti ci viene la frase “Opera ti devasta psicologicamente”, assurdo davvero.

Qui tutti ringraziano che l’altra sera, nonostante il temporale, siete venuti a manifestare la vostra solidarietà, una cosa che accresce domande, interesse in tanti a capire meglio il senso della nostra lotta.

Un saluto a pugno chiuso a tutte/i le/i compagne/i, grazie per tutto, alla prossima, sempre a testa alta.

Lettera collettiva dal carcere di Opera

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Carissimi amici e compagni,

siamo un gruppo di detenuti 4° piano 1° padiglione che vogliamo raccontare cosa è successo a Salazar (un bravissimo ragazzo filippino che non poteva nuocere ad una mosca) e che quando c’è stata la manifestazione di Antigone lui, per questo, aveva bruciato il materasso. Questo dopo che chiedeva, da 4 giorni di andare in isolamento, perché ha tre bambini piccolissimi, e non gli danno il lavoro.

Così, dopo l’intervento degli agenti è stato picchiato dal 4° piano fino al 2° piano, un agente gli ha sferrato un pugno, ma Salazar si è abbassato, essendo piccolissimo (pesa 40 kg), all’agente si è girato il ginocchio ed è caduto, battendo la fronte sui gradini delle scale.

Questi aguzzini non hanno perso tempo a fare pubblicare sul giornale su una pagina intera che ‘un agente è stato aggredito selvaggiamente da un detenuto’, invece di dire che (il detenuto) è stato picchiato da decine e decine di agenti, perché loro vogliono sempre passare per vittime, invece di dare il lavoro ad un uomo con tre bambini piccoli (uomo mite e sempre sorridente) che noi sappiamo come sono i filippini quando lavorano – anima e corpo.
Questa è la verità di quello che è successo e non di quello che hanno scritto i giornalisti in concomitanza con quello che la direzione vuole coprire per giustificare eventuali pestaggi.

UN ABBRACCIO DA TUTTI NOI DETENUTI 1°PADIGLIONE 4°PIANO IN SOLIDARIETA’ CON SALAZAR VITTIMA

DI QUESTO SPORCO E INFAME SISTEMA. GRAZIE DI TUTTO CIAO!

(fine luglio 2016)

Divine arrestato a Bologna – trasferito in AS2 a Ferrara

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Informiamo che la sera di martedì 2 agosto, a seguito di una lite in casa, il nostro compagno Divine si è trovato alla porta la polizia. Immediatamente le merde entravano nell’abitazione effettuando una perquisizione ed allertando la digos. A seguito di questa perquisizione, come scritto dalla stampa di regime, venivano rinvenuti oggetti e sostanze di uso comune che se collegati tra loro con alchemica sapienza potevano generare un ordigno, oltre a svariato materiale cartaceo riconducibile agli ambienti anarchici. Come risaputo in casa di un anarchico, anche del minestrone andato a male può diventare un’arma.
Divine viene portato in questura dove viene trattenuto per più giorni in assenza di comunicazione con l’esterno e con gli avvocati. Il giorno dopo i giornali parlano di un soggetto che gravita intorno all’area anarchica trovato in casa con materiale potenzialmente esplosivo e immediatamente rilasciato con denuncia a piede libero. La notizia risulta falsa visto che, nonostante i tentativi, nessuno riesce a vedere Divine o ad avere notizie sicure sul suo rilascio.
Dopo 4 giorni infatti arriva la conferma che il compagno si trova rinchiuso nel carcere di Bologna con le stesse accuse già scritte sui giornali.

Da sottolineare il ruolo infame e di copertura svolto dagli scribacchini di regime che, dando una falsa notizia, hanno permesso il prolungato isolamento di Divine. Non ci stupisce l’accanimento dello stato verso i suoi nemici e non ci ferma un tentativo di isolamento dal continuare l’attacco verso l’esistente e i suoi attivi collaboratori.
Siamo vicini a Divine, come lo siamo a tutti i compagni che subiscono la repressione dello stato e determinati più che mai a proseguire per la nostra cattiva strada.

Alcun* anarchic*

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Aggiornamento:

Si era in attesa del pronunciamento del giudice ed è stata confermata la misura cautelare in carcere per Divine.

Per scrivergli lettere e telegrammi di solidarietà:

Divine Umoru
Via del Gomito 2, CAP 40127, Bologna

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Aggiornamento:

Divine è stato trasferito in AS2 nel carcere di Ferrara –> per scrivergli:

Divine Umoru

via Arginone, 327

44122 Ferrara

 

Per fare un saluto di solidarietà a Divine e agli altri prigionieri in AS2 a Ferrara:

x DIVO - ferrara - domenica 21 agosto

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