Etnografia dei saperi medici e psichiatrici nell’arcipelago carcerario
di Luca Sterchele – Meltemi editore 2021
La recente chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ha sconvolto le preesistenti geografie del sistema penale, producendo effetti di rilievo anche nel campo penitenziario. Negli ultimi anni, sembra infatti che il carcere abbia visto l’esplosione di una nuova “questione psichiatrica”, con l’ingresso di un numero crescente di detenuti affetti da disturbi psichici come diretta conseguenza del superamento delle precedenti istituzioni manicomiali. Il testo si propone di decostruire tale retorica attraverso uno studio etnografico condotto in tre istituti penitenziari del Nord Italia.
Facendo riferimento agli approcci teorici della criminologia critica e della psichiatria radicale, la ricerca evidenzia la natura complessa e sfaccettata del fenomeno, indaga i saperi e le pratiche messe in atto dagli operatori sanitari e ne analizza l’interazione con il campo morale e simbolico del penitenziario.
Luca Sterchele è assegnista di ricerca in Sociologia all’Università degli Studi di Padova, dove si occupa prevalentemente di salute mentale e saperi medici nel campo penitenziario. Ha svolto ricerche in istituti penitenziari maschili e femminili, oltre che nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. Collabora con il Master interateneo in Criminologia Critica e Sicurezza Sociale dell’Università degli Studi di Padova e dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. È inoltre membro della redazione online di “Studi sulla Questione Criminale”.
L’ istituzione reietta. Spazi e dinamiche del carcere in Italia
di Valeria Verdolini
Carocci editore, 2022
Negli ultimi anni il carcere è stato spesso protagonista delle cronache per vari motivi: l’abnorme sovraffollamento che nel 2013 ha portato a una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo; le rivolte avvenute nei primi mesi della pandemia di COVID-19; e, più in generale, la costante sofferenza che accompagna la privazione della libertà. Queste condizioni hanno inciso profondamente sulla vita quotidiana delle persone detenute, rendendo necessaria tanto una ricerca sul campo, quanto una riflessione teorica. Che tipo di istituzione è il carcere? Quali funzioni svolge? Come si caratterizzano i suoi spazi? Come si compone la popolazione che lo abita e quella che lo gestisce? Quali dinamiche si attivano tra questi gruppi? Quali declinazioni specifiche ha assunto in Italia? Attraverso un’analisi dei dati (serie storiche e note osservative) e l’individuazione dei fattori più significativi che caratterizzano il carcere in Italia oggi (migrazioni, crisi economica, pandemia, conflittualità interna), il volume intende rispondere a queste domande, provando a comprendere se possa ancora dirsi istituzione totale o, in alternativa, quali siano gli aggettivi e le funzioni che meglio lo descrivono.
L’evasione è un termine che si utilizza per indicare una temporanea fuga da una condizione di vita opprimente, sia di fatto che attraverso l’immaginazione. La voglia di evadere si manifesta anche in occasione di un viaggio. E il viaggio, sia esso reale o immaginario è espressione di uno stato della mente, una ricerca di assoluta libertà. Il viaggio di Giovanna Maria Boscani e Joe Perrino, attraversa i luoghi dove l’evasione è concessa solo se immaginaria: i luoghi di detenzione.
Cosa si prova a salvare vite nel Mediterraneo? Per capirlo puoi solo salire a bordo.
«Nel Mediterraneo la vita la cerchi, la perdi o la trovi, e questa riduzione all’essenziale è potentissima. Senza orpelli, senza scappatoie, ti lascia a nudo confronto con una nuda alternativa, ti spoglia come l’acqua. Ma la chiave per capirlo non è il sentimento della morte. È il sentimento della vita».
In questi anni, le navi delle Ong che soccorrono i migranti sono state al centro di polemiche e narrazioni ostili. Ma pochi conoscono quello che succede davvero a bordo. Caterina Bonvicini e il fotoreporter Valerio Nicolosi sulle navi umanitarie ci sono saliti, navigando per settimane e settimane, gomito a gomito con l’equipaggio. Sono stati ore a scrutare l’orizzonte, con l’ansia che conosce solo chi ha paura di scambiare un’onda per un gommone. Sono scesi a pelo d’acqua sul rhib e hanno partecipato ai salvataggi. Hanno sentito quanto valgono il sorriso di un bambino e l’abbraccio di una donna quando si rendono conto di essere finalmente in salvo. E in queste pagine ci raccontano, con parole e immagini, le storie di chi ha deciso di inventarsi un’altra Storia, diversa da quella che ci vuole tutti cinici e indifferenti. Soccorritrici e soccorritori, spesso giovanissimi, che hanno scelto di trovare la propria ragione di vita in un mare sterminato.
Come onde del mare. Diario di bordo di un’esperienza umanitaria
Una missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo a bordo di una nave Open Arms vissuta e raccontata in prima persona da un’operatrice umanitaria e il suo resoconto delle situazioni di emergenza sociale a Roma. Con lo sguardo competente di chi lavora con le istituzioni ogni giorno per aiutare persone emarginate a trovare un varco in una società che le respinge, Valentina Brinis racconta le vicende della drammatica migrazione in corso da un punto di vista spesso lasciato in ombra, quello dei soccorritori e degli operatori sociali che entrano in azione a terra. I professionisti, i giovani volontari, i marinai esperti che dedicano il proprio tempo al salvataggio e all’accoglienza combattono la loro battaglia con l’indifferenza a volte senza l’appoggio dello Stato, spesso a dispetto di decisioni disumane, ostacolati dal cinismo, ma anche sostenuti dalla generosità della gente comune. Un viaggio personalissimo e universale in una piega buia della nostra contemporaneità guidati da chi mette le proprie capacità al servizio della comunità allargata degli esseri umani.
VALENTINA BRINIS
Laureata in Sociologia, si occupa di immigrazione e nello specifico di richiedenti asilo e rifugiati. È stata coordinatrice dello sportello legale di “A Buon Diritto Onlus”, collaboratrice della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza. Fino alla fine del 2018 è stata integration expert presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati; attualmente è advocacy officer e project manager presso la Ong Open Arms. È autrice, insieme a Luigi Manconi, di Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati (Il Saggiatore, 2013) e di altri saggi e articoli sul fenomeno delle migrazioni.
UN FILM CHE PARLA AL CUORE E ALLA MENTE DI CHI HA VOGLIA DI INTERROGARSI SULLA PENA DI MORTE.
Recensione di Giancarlo Zappoli sul sito di Mymovies.it
Heshmat è un buon padre e un buon marito attento ai bisogni della famiglia. Ogni mattino si alza presto per andare al lavoro. Quale lavoro? Pouya non se la sente di essere colui che legalmente dovrà sopprimere una vita umana. Cosa dovrà fare per evitare questo compito? Javad non sa che insieme alla sua ufficiale dichiarazione d’amore in occasione del compleanno della fidanzata dovrà confrontarsi con un evento che l’ha scossa profondamente. Bahram è un medico che esercita in una località sperduta e che ha deciso di incontrare per la prima volta la nipote, che vive in Germania, per rivelarle un segreto.
Forse non tutti sanno che di “Bella ciao” non esiste solo l’universalmente nota versione partigiana ma anche una legata al lavoro delle mondine. Alcuni dei suoi versi recitano:
Il capo in piedi col suo bastone
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar.
(…) Ma verrà un giorno che tutte quante
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà.
È nella versione cantata da Milva che essi risuonano nel film di Mohammad Rasoulof a sottolineare il bisogno di liberarsi da un particolare lavoro in uno Stato che prevede ancora la pena di morte. Il cinema iraniano, anche quello di grande valore artistico e tematico, è rimasto quasi sempre legato a situazioni e condizioni locali. Solo l’emigrazione ha permesso ad alcuni registi (ad esempio Asgar Farhadi) di allargare i propri orizzonti.
In questa occasione Rasoulof, restando forzatamente in patria in seguito a una sentenza che lo considera “propagandista contro il governo islamico”, realizza un film che andrebbe acquisito dalle distribuzioni di tutto il mondo e, in particolare, da quelle dei Paesi che conservano nella loro legislazione la pena di morte.
Perché le quattro vicende che mette in scena in capitoli separati, aventi un loro titolo specifico, affrontano tutte il tema seppur da prospettive diverse e con grande efficacia narrativa. Rasoulof dice che un giorno ha visto casualmente in strada uno dei suoi persecutori del passato e si è messo a seguirlo con l’intenzione di affrontarlo verbalmente in modo molto duro. Ma, prima di farlo, si è accorto dai comportamenti dell’uomo che non era un mostro ma che lo Stato repressivo lo aveva indirizzato in modo tale che il suo lavoro ne garantisse la continuità illiberale.
I dilemmi morali che attraversano (o non attraversano) i personaggi sono universali e sanno parlare al cuore e alla mente di chi ha voglia di interrogarsi sul diritto (o meno) di sopprimere vite umane in base alle direttive di uno Stato che fa della repressione della libertà di pensiero di uomini e donne il proprio vessillo.
A proposito di donne: si noti come nel film non solo si faccia dire a una donna che portare il velo costantemente non è divertente, ma si fa anche vedere una tintura dei capelli e un dialogo in cui nessuna delle due protagoniste indossa il velo. Anche questa, non piccola, trasgressione ai dettami del regime si rivela come molto significativa. Se, come molto probabilmente accadrà, in Iran il film verrà bandito, il resto del mondo dovrebbe manifestare concretamente il proprio interesse. Il cinema non è fatto di soli Dead Man Walking.
Confine tra Bulgaria e Turchia: Kamal è un giovane iracheno che sta cercando di entrare in Europa a piedi, attraverso la “rotta balcanica”. È braccato dalla polizia bulgara e dai “Cacciatori di Migranti”. Kamal ha nello zaino un passaporto, alcune foto di famiglia, dei fogli con degli appunti e dei numeri di telefono per quando arriverà in Europa. Sperando che questo accada. Selezionato a Cannes nella Quinzaine des Realisateurs 2021, il racconto straordinario di una strenua lotta per la libertà e la vita.
Un uomo cammina. Forse è un artista che insegue la sua vocazione. O forse è solo alla ricerca di storie, mentre è incalzato dai suoi pensieri e assalito da improvvise apparizioni.
L’opera “CIÒ CHE RESTA – appunti dalla polvere” è il frutto del percorso teatrale realizzato tra il 2019 e il 2020 con 25 detenuti della casa circondariale della Spezia nell’ambito della seconda annualità del progetto “Per Aspera ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza”.
Promosso da Acri e sostenuto da 10 Fondazioni di origine bancaria – tra cui Fondazione Carispezia – “Per Aspera ad Astra” coinvolge su tutto il territorio nazionale 12 istituti penitenziari e vede come capofila la Compagnia della Fortezza di Volterra.
La forma cinematografica scelta raccoglie “ciò che resta” del lavorìo creativo dei detenuti partecipanti ai vari laboratori (recitazione, drammaturgia, scenografia, scenotecnica, fonica) realizzati tra il 2019 e il 2020 dall’Associazione Gli Scarti, che gestisce e cura il progetto alla Spezia.
Con loro, a causa del blocco dovuto alla pandemia del marzo 2020, non è stato possibile portare a compimento la naturale e originaria forma teatrale. Si è scommesso così sulla scelta di un linguaggio cinematografico e della sua grammatica per non cancellare il lavoro e il valore umano dell’impegno dei partecipanti al progetto. Per non disperdere tutti i granelli di polvere che la vita e l’arte depositano su tutte le cose.
Nell’indagine artistica fonte di ispirazione è stata l’opera di Alberto Giacometti, il quale scriveva che «bisogna caricare di vita ogni particella di materia» per «dare permanenza a ciò che passa».
Un uomo cammina. Forse è un artista che insegue la sua vocazione. O forse è solo alla ricerca di storie. È incalzato dai suoi pensieri, assalito da improvvise apparizioni: frammenti di conoscenza, come parole, immagini o melodie, che inaspettatamente giungono fino a lui.
Incede attraverso luoghi a lui ignoti. Forse in nessun tempo reale. Il suo è un ambiguo oscillare tra realtà e finzione. È accompagnato da visioni discontinue di esseri umani… volti, segni, frasi, melodie, musiche e rumori, versi poetici e brandelli di prose inutilmente filosofeggianti.
La realtà, spogliata del superfluo e del quotidiano, diventa incerta e sfuggevole, misteriosa e insondabile: restano solo i pochi tratti necessari a coglierla per un attimo.
Che cosa c’è di più lieve e sottile della polvere?
Donne delinquenti. Storie di streghe, eretiche, ribelli, bandite, tarantolate
Streghe, eretiche, delinquenti: dove sono andate a finire le antiche femmine ribelli delle Alpi e delle foreste d’Europa? Bruciate sui roghi, naturalmente; fatte a pezzi sui patiboli, in mezzo alla gente di città curiosa ed eccitata; ridicolizzate dagli intellettuali; e dimenticate, soprattutto. La foresta, liberata dal suo incantesimo, poté essere sfruttata secondo la tecnologia moderna: la solcarono le strade, e i rettifili disboscati penetrarono fin nel più fitto degli alberi. La distruzione dell’ambiente ebbe inizio, e il “popolo dei boschi” perse l’unica risorsa di cui disponeva: il rifugio in cui ritirarsi dall’influenza dei “civili”.
E perse Dio. O, meglio, la Dea.
Attraverso l’esame di miti e leggende, di racconti e modi di dire, dell’iconografia sacra e profana, questo libro ricostruisce la storia delle matriarche, delle streghe e delle donne “contro”, – eretiche, bandite, ribelli, – verificando quali tracce hanno lasciato nella memoria. Perché il loro ricordo è ancora vivo nella cultura popolare, e ha creato le basi dell’immaginario collettivo che, represso dal potere, ritorna nel desiderio.
Donne delinquenti Michela Zucca Tabor, Valsusa – IN USCITA – fine maggio 2021 15 x 21 cm 368 (con illustrazioni) 16.00 978-88-944788-1-5
Regia: Vanessa Redgrave Con: Vanessa Redgrave, Alfred Dubs, Ralph Fiennes, Emma Thompson, Martin Sherman, Simon Coates, Daisy Bevan, Juliet Stevenson, Don Benedetto Serafini Fotografia: Andrew Dearden Montaggio: Folasade Oyeleye Suono: Sophia Hardman, Max Walsh, Martin Clarke – (presa diretta), Ariel Sultan – (presa diretta)
Sinossi
Interviste, testimonianze e filmati di repertorio fanno luce sulle condizioni degli immigrati e dei rifugiati in Europa nel corso del XX e XXI secolo. Dai barconi sovraffollati che sfidano il mare ai centri di raccolta allestiti sulle sponde europee scorrono i racconti di ultimi e perseguitati, verso i quali l’attrice Vanessa Redgrave ha manifestato sempre grande attenzione. Alle immagini fanno eco la recita di alcuni brani di Shakespeare legati al tema dell’immigrazione e dell’accoglienza dello straniero recitati dagli attori Emma Thompson, Ralph Fiennes e Simon Coates.
Debutto alla regia di Vanessa Redgrave, vuole rappresentare una elaborazione molto personale sull’odierna situazione di crisi che vivono i rifugiati. Gli occhi sono quelli degli attivisti e dei rifugiati che raccontano il loro passato e il loro presente in un documentario toccante che ci porta a riflettere sull’importanza dei diritti umani.