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Archivi dell'autore: mattia

Letture: “Un passo alla volta – La vita oltre le dipendenze”

A Piticchio, in provincia di Ancona, fra le colline e il mare, dal 2012 è attivo il Centro Recupero Dipendenze San Nicola, eccellenza della sanità marchigiana conosciuta anche all’estero.
Vincenzo Aliotta, ideatore e fondatore del Centro, da oltre cinquant’anni è in prima linea per offrire la migliore cura a chi si ammala del “mal di denti dell’anima”, convinto che “se oggi hai una dipendenza, fra due mesi puoi tornare a vivere”. A differenza di molte esperienze comunitarie, il programma terapeutico del Centro San Nicola è breve e intenso e rappresenta un’opportunità unica nel panorama italiano, basato su un approccio interdisciplinare e ispirato al metodo dei 12 Passi degli Alcolisti Anonimi.
La storia di Vincenzo Aliotta è anche la storia di un progetto al tempo stesso sanitario e culturale, realizzato con il contributo di tante voci diverse, per costruire un tessuto umano capace di accogliere le fragilità di chi non riesce a reggere la frenesia della società contemporanea e ha bisogno di fare un passo alla volta, e farlo bene.

 

https://www.giunti.it/catalogo/un-passo-alla-volta-9788809973725

Ungheria: attaccare i nazisti è giusto!

Solidarietà agli antifascisti e alle antifasciste arrestati/e in Ungheria

Ogni anno a Budapest, intorno alla data dell’11 febbraio, si commemora il cosiddetto “giorno dell’onore” con uno dei maggiori raduni neonazisti in Europa. La commemorazione ricorda il sanguinoso assedio da parte dell’Armata rossa alla città di Budapest, difesa dalla Wehrmacht tedesca appoggiata dagli alleati ungheresi. L’11 febbraio 1945 venne dato alle truppe tedesche ordine di uscire dalla città e rompere l’accerchiamento nemico: fu una carneficina. Meno del 2 per cento dei soldati che presero parte all’azione riuscì a raggiungere le vicine linee tedesche.
A partire dagli anni Novanta, questo evento storico acquisisce un particolare valore tra i gruppi neonazisti e neofascisti e i soldati tedeschi coinvolti nell’assedio iniziano a essere celebrati come eroici difensori dell’Europa bianca dall’avanzata del Comunismo.
L’evento della durata di più giorni, all’interno dei quali si susseguono una grande marcia commemorativa, concerti “nazi-rock” e altre iniziative, richiama nella capitale ungherese migliaia di neonazisti da tutta Europa e dal mondo. Gruppi paramilitari, organizzazioni di estrema destra, delegazioni di partiti neofascisti e neonazisti che hanno in questa commemorazione occasione di incontro.
Quest’anno, in concomitanza del raduno, proprio nei giorni in cui migliaia di nazi passeggiavano sfrontatamente per Budapest, alcuni di loro hanno ricevuto il comitato di benvenuto che si meritavano: diversi militanti di estrema destra giunti in città sono stati infatti riconosciuti come neonazisti e picchiati da diversi gruppi di persone, uscendone decisamente malconci.
In seguito a questi attacchi, sabato 11 febbraio, la polizia ungherese ha arrestato nella capitale 6 persone ritenute dalle autorità coinvolte in questi fatti e quindi sottoposte ad indagini. 4 di queste sono state rilasciate dopo pochi giorni, mentre una compagna italiana di Milano, un compagno tedesco e una compagna ungherese, arrestata in un secondo momento, si trovano ancora in carcere a Budapest in attesa di sviluppi nelle indagini. Il reato di cui sono accusati è “aggressione a un membro della comunità”, accusa piuttosto grave nell’ordinamento ungherese che prevede condanne fino a otto anni di detenzione. I tre compagni si trovano ora rinchiusi in custodia cautelare per un periodo di 30 giorni che potrà essere prorogato ulteriormente.
L’ ideologia che le “vittime” di questi attacchi e i loro camerati portano avanti è carica d’odio nei confronti delle minoranze e si è sempre espressa nella pratica come braccio armato del padronato a difesa degli interessi capitalisti. Questi gruppi, più o meno organizzati, agiscono una sistematica violenza nei confronti di quelle comunità già marginalizzate e vessate dal resto della società. Sono centinaia le aggressioni e gli omicidi ai danni di migranti, membri della comunità Lgbtqia+ e militanti politici di sinistra ad opera dei neonazisti in tutta Europa negli ultimi decenni.
Pensiamo che fino a quando esisteranno gruppi e individui come quelli che si ritrovano a Budapest ogni anno intorno all’11 Febbraio, fino a quando questi infami neonazisti cammineranno a testa alta nelle nostre strade sfoggiando svastiche e tatuaggi, difenderci da loro e contrattaccarli sarà tanto giusto quanto necessario. Non crediamo al falso ritornello della non-violenza o all’idiota comparazione tra fascisti e antifascisti. I militanti di estrema destra che si organizzano nelle nostre città sono pericolosi e vanno affrontati come nemici. Arginare la loro diffusione e combatterli non significa ricercare uno scontro “corretto” e sportivo. Non si tratta di un gioco.
Non esiste nessuno “scontro tra gang” o “agguato a cittadini innocenti” (come recitano i giornali) ma soltanto la messa in pratica di quell’antifascismo militante che rimane per noi una necessità primaria.
Una necessità che va esercitata nei luoghi dove i camerati si riuniscono e si fortificano così come nei luoghi dove viviamo, che ogni giorno attraversiamo e che devono quindi rimanere liberi dalla presenza fascista e nazista.
È sotto gli occhi di tutti come negli ultimi decenni gruppi neofascisti e formazioni di estrema destra abbiano continuato a proliferare e ad agire, spesso violentemente, in molte città europee e nel nostro paese.
Questi gruppi approfittano dell’ascesa di vari governi nazionali di estrema destra (come nei casi dell’Ungheria, guidata dal fascista Victor Orban, e della recente vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni nazionali in Italia) per ritrovare agibilità politica e una copertura istituzionale ancora più marcata. Ne sono un esempio i fatti accaduti in questi giorni a Firenze, dove all’ingresso di un liceo alcuni militanti di Azione Studentesca (movimento giovanile di estrema destra che fa riferimento a Fratelli d’Italia) hanno aggredito degli studenti del collettivo scolastico che cercavano di opporsi al loro volantinaggio.
Questi fatti non fanno altro che confermare la necessità di organizzarsi concretamente per contrastare i fascisti ad ogni latitudine.
Siamo solidali con le compagne e i compagni inquisiti per le azioni in Ungheria.
Esprimiamo forza e vicinanza alle compagne e al compagno che si trovano tutt’ora reclusi a Budapest.
Dalle poche informazioni che abbiamo non è possibile inviare loro telegrammi e lettere. Sarà necessario sostenere le spese legali che sono già molto alte.

Invitiamo chi può a contribuire
Alice Zaffaroni e Martina Franchi

IBAN: LT523250062922492633
BIC: REVOLT21
CAUSALE: BENEFITBU

LIBERTÀ PER LE\GLI ANTIFASCISTE\I
LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE
alcuni e alcune antifascisti\e milanesi

ATTACKING THE NAZIS IS RIGHT!
SOLIDARITY WITH ANTI-FASCISTS ARRESTED IN HUNGARY

Every year in Budapest, around February 11th, the so-called “Day of honour” is commemorated with one of the greatest neo-Nazi rallies in Europe. The commemoration recalls the bloody siege of Budapest by the Red Army, city which was defended by the german Wehrmacht, supported by the Hungarian allies. On February 11th 1945, German troops were ordered to leave the city and break the enemy encirclement: it was a carnage. Less than 2 percent of the soldiers who took part in the action managed to reach the german lines nearby.

Since the Nineties this historical event acquired a particular value among neo-Nazi and neo-fascist group: the german soldiers involved in the siege began to be celebrated as heroic defenders of a white Europe, opposing the advance of Communism. The multi-day event, comprehends a great memorial march, “nazi-rock” concerts and other initiatives, draws in the Hungarian capital thousands of neo-Nazis from all over Europe and from all over the world. Paramilitary groups, far-right organisations, neo-fascist and neo-Nazi parties delegations see this commemoration as an opportunity to meet.

This year, when the gathering was and just in the days when thousands of nazis brazenly strolled around Budapest, some of them received the welcome committee they deserved: several far-right political activists were recognized as neo-nazis and beaten by groups of people: they ended up being pretty battered.

Following these attacks, on Saturday, February 11th, the Hungarian police arrested in the capital six people believed by the authorities to be involved in the beatings, and therefore they subjected them to investigations . Four of then were released after a few days, but an italian comrade from Milan, a German comrade and a Hungarian comrade arrested at a later time, are still in prison in Budapest, awaiting developments in the investigation. The crime they are accused of is “assault on a member of the community”, a rather serious charge in the Hungarian legal system: the sentence can be up to eight years. The three comrades are now imprisoned and in pre-trial detention for a period of 30 days, which can be further extended.

The idea that the “victims” of these attacks and their friends support is full of hatred against minorities and in practice it becomes the armed wing of capitalism. These groups, whether they are well or badly organized, use systematic violence against those communities already marginalized and oppressed by the rest of society. In the last decades there have been hundreds of attacks and murders against migrants, members of the LGBTQIA+ community and left-wing political activists made by neo-Nazis across Europe.

We think that as long as groups and individuals such as those who gather in Budapest every year around February 11th exist, as long as these infamous neo-nazis walk tall in our streets showing off swastikas and tattoos, defending ourselves against them and fighting them back will be as good as necessary.  We don’t believe in the false refrain of non-violence or in the idiotic comparison between fascists and anti-fascists. The far-right activists in our cities are dangerous and they must be faced as enemies.

Curbing their spread and fighting them does not mean seeking a “correct” and sporting match. This is not a game. There is no “clash between gangs” or “innocent citizens ambushed” (as the newspapers say), just anti-fascism being put into practice, a primary necessity for us. A necessity that must be exercised in the places where fascists gather and fortify themselves as well as in the places where we live, where we walk every day, therefore places that must remain free from fascist and nazi presence.

It is clear for everyone that in the last few decades neo-fascist groups and far-right organisations have continued to proliferate and to act, often violently, in many European cities and in our country. These groups take advantage of the rise of various far-right national governments (as in the cases of Hungary, led by the fascist Viktor Orban, and Italy, where Giorgia Meloni recently won the national elections) to gain political feasibility and even more institutional coverage. An example can be what occurred some days ago in Florence, where in front of a high school entrance some Azione Studentesca (an extreme right-wing youth movement that refers to the Brothers of Italy) activists attacked some students from the school political group who were trying to oppose their leafleting.

These facts do nothing but confirm the need to organize concretely to oppose the fascists at everywhere. We stand in solidarity with the comrades under investigation for the actions in Hungary.
We express strength and closeness to the comrades who are still imprisoned in Budapest.
 AGAINST ALL KINDS OF FASCISM
  FREEDOM FOR THE ANTI-FASCISTS
  FREEDOM FOR EVERYONE
some milanese anti-fascists

DONATE TO COVER LEGAL EXPENSES

From the little information we have about the comrades arrested in Budapest, we learnt that is not possible to send them telegrams and letters. It will be necessary to cover the legal expenses which are already very high.
We invite those who can to contribute

Alice Zaffaroni e Martina Franchi

IBAN: LT523250062922492633
BIC: REVOLT21

CAUSALE: BENEFITBU
Martina.demichela@gmail.com

Warsan Shire: “Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa”

Nata in Kenya da famiglia somala fuggita dalla guerra civile, quando aveva appena un anno Warsan Shire e la sua famiglia si trasferiscono a Londra.

Il suo primo libro di poesie, del 2011, Teaching My Mother How to Give Birth (Insegnando a mia madre come partorire) colpisce l’interesse della cantante e attrice Beyoncé, che le chiede di scrivere alcune poesie per il suo videoclip Lemonade.

Da allora la carriera di Warsan Shire, che vive a Los Angeles, è in continua ascesa. Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa raccoglie i versi degli ultimi dieci anni di vita dell’autrice, in cui le sue elettrizzanti poesie hanno la risonanza dei classici.

Ispirata dalla sua vita e dalle sue origini, come anche dalla cultura pop e dall’attualità, Shire canta la dignità, riscattandola, delle vite di immigrati, madri e figlie, donne nere e ragazze adolescenti.

E se le sue poesie spesso sono forti – affrontando temi come la nostalgia dei rifugiati, la violenza della guerra e la mutilazione dei genitali femminili –, la sua scrittura resta incredibilmente seducente.

In versi esplosivi, pieni di dolore e sofferenza, ma anche di grande vitalità, Shire ci parla di cosa vuol dire abitare un corpo di donna, di disturbi dell’alimentazione, di ossessioni compulsive, e tensioni irrisolte con la fede di appartenenza.

“La poesia”, dice senza giri di parole Shire, “mi ha salvato la vita”, e la dote più significativa del suo libro è quella di generare empatia, qualcosa che sembra mancare nel nostro tempo.

 

https://www.fandangolibri.it/prodotto/benedici-la-figlia-cresciuta-da-una-voce-nella-testa/

“Dove non batte il sole”: il nuovo libro di Carmelo Sardo

Carmelo Sardo, uno degli autori più acuti del fenomeno mafioso, torna con un romanzo di forte impatto emotivo in cui emergono le storture di una giustizia con le sue lacune e le sue incongruenze.

 

Rammusa, una cittadina della Sicilia barocca dove la mafia non spara e non ammazza più da anni, vengono assassinati marito e moglie nella loro gioielleria. Si pensa a una rapina finita male, ma il magistrato che indaga sospetta del figlio della coppia, Stefano Macrì, studente universitario di 27 anni.
Per il giovane comincia un atroce calvario. Confidava nello Stato per avere giustizia per i suoi genitori, invece è costretto a liberarsi di un’accusa infamante. Per farlo, Stefano è tentato di cedere a logiche e dinamiche che ha sempre eticamente respinto. Sa che anche nella Sicilia dei giorni nostri, ci sono uomini potenti che contano ancora, che non fanno più la guerra allo Stato ma vogliono che niente e nessuno possa insidiare la tranquillità raggiunta. Don Tano Culella è uno di questi. Al boss quello che è accaduto non è piaciuto e anche lui vuole capire chi abbia osato fare una cosa simile nel suo paese. Quando viene a sapere che il principale sospettato è Stefano, capisce che qualcosa non quadra. Conosce quel ragazzo da quando era un bambino, abitano nello stesso palazzo. Fatalmente, i destini di don Tano e di Stefano si incroceranno, perché hanno lo stesso obiettivo: la ricerca della verità.

Un romanzo civile e di impegno sociale che affronta ed elabora temi di scottante attualità del sistema penale italiano che contempla il fine pena mai: una pena di morte in vita.

 

https://www.bibliotheka.it/Dove_non_batte_il_sole_IT

Letture: “Il ragazzo smarrito. Una storia vera” di Ornella Giordano

Il ragazzo smarrito è la storia di una caduta e di una redenzione. Un ragazzo che compie terribili crimini prima dei vent’anni, ma negli anni del carcere si ravvede, con grande forza di volontà e tenace impegno, risale l’abisso, ritrova se stesso e ricomincia.
Ornella Giordano trova una prospettiva diversa da cui osservare la condanna all’ergastolo. Lascia la mano libera di scrivere, infilandosi nelle pieghe di una storia drammatica, ma intrisa anche di rapporti personali ricchi e intensi. Scopre che il bene e l’affetto uniti alla fiducia di non essere abbandonati, rappresentano una preziosa risorsa per salvarsi e tornare nuovamente liberi di amare la vita come non mai.
Perché la libertà è come la vita, nessuno può condannare a perderla per sempre.

 

http://www.arabafenicelibri.it/scheda-libro/ornella-giordano/il-ragazzo-smarrito-9788866179149-727030.html

Letture: “Morti in una città silente. La strage dell’8 marzo 2020 nel carcere Sant’Anna di Modena” di Sara Manzoli

Chouchane Hafedh, Methnani Bilel, Agrebi Slim, Rouan Abdellah, Hadidi Ghazi, Iuzu Artur, Bakili Ali, Ben Mesmia Lofti e Salvatore Cuono Piscitelli detto Sasà.

Nomi che è stato difficile persino reperire, che sono cambiati talvolta nel corso dei giorni, nei pochissimi articoli di stampa in cui è stata data notizia della loro morte.

Nove morti nel carcere di Modena, il giorno 8 marzo 2020, a ridosso dell’inizio del confinamento per la pandemia di Covid-19. Le rivolte scoppiano in cinquanta carceri italiane come reazione al decreto che ordina la sospensione dei colloqui, dei permessi, e di tutte le attività che prevedono l’ingresso in carcere del personale non appartenente all’amministrazione penitenziaria.

Alla fine di quei giorni di protesta, sedata con la violenza dei manganelli, dei pestaggi e dei trasferimenti, alla conta dei morti si aggiungeranno i nomi di Kedri Haitem, Marco Boattini, Carlo Samir Perez Alvarez e Ante Culic, deceduti nelle carceri di Bologna e di Rieti.

A corpi ancora caldi queste morti verranno tutte attribuite a overdose di metadone e benzodiazepine, ipotesi che verrà confermata senza un dibattimento processuale quindici mesi dopo, per quanto riguarda otto dei morti di Modena. Morti i cui corpi freddi parlano di violenze subite, morti di cui non parlerà quasi nessuno, morti in un contesto sociale totalmente indifferente al destino dei migranti, in mare come in carcere.

Le diverse nazionalità di undici di loro li hanno resi più fragili e vulnerabili in vita, hanno reso facile la cancellazione della loro morte. Dirà il Garante dei detenuti che nei primi giorni l’amministrazione penitenziaria non gli aveva comunicato i nomi, ma soltanto che “erano stranieri”.  I due soli nati in Italia erano categorizzati come tossicodipendenti. Migranti e “delinquenti”, persone dunque spogliate della loro appartenenza alla specie umana.

A questa cancellazione si ribellano alcuni cittadini modenesi, che decidono di non tacere e danno vita al Comitato Verità e Giustizia per i morti del Sant’Anna, che fin dai primi momenti s’impegnerà a tenere alta l’attenzione su questa tragica pagina di storia cittadina e nazionale. Tra loro Sara Manzoli, che questo libro ha scritto sentendo queste morti come qualcosa che la riguarda e che non può essere taciuto.


SARA MANZOLI attivista nell’Associazione Idee in circolo e nel Comitato Verità e Giustizia per i morti del Sant’Anna. Per queste edizioni ha pubblicato, nel 2020, Mi devi credere! Cantiere di socioanalisi narrativa svolto con un gruppo di badanti; nel 2021, Il potere della parola. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell’istituzione psichiatrica.

 

https://www.sensibiliallefoglie.it/morti-in-una-citta-silente-la-strage-dell8-marzo-2020-nel-carcere-santanna-di-modena/

Letture: “Pestaggio di Stato” di Nello Trocchia

Quello che è successo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere è la prova del fallimento della struttura sociale ed istituzionale del nostro paese. L’abdicazione del sistema Giustizia. Questo libro va letto. Sconsigliato a coloro che hanno parlato di ripristino della legalità dopo i terribili fatti che vengono qui riportati.
Ilaria Cucchi

«La storia è pesante, ti aiuto a trovare testimoni e riscontri. Vieni a Napoli». È così che comincia l’inchiesta che scoperchia i fatti accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020. Quel pomeriggio 283 agenti della polizia penitenziaria muniti di caschi e manganelli, alcuni a volto coperto, entrano nel reparto Nilo del carcere Francesco Uccella. Irrompono nelle celle e prendono a calci, pugni, schiaffi i detenuti. Alcuni vengono rasati a forza. Il pestaggio dura ore, prosegue nei corridoi, lungo le scale. È una mattanza. Nei giorni successivi i fatti vengono denunciati, ma il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria respinge le accuse. Con ritmo serrato, Nello Trocchia ricostruisce l’inchiesta che ha reso pubblici i video delle violenze riprese dalle telecamere di sicurezza, la testimonianza e le storie delle vittime e dei carnefici, il depistaggio operato dalla catena di comando, la noncuranza della politica. Perché tutto questo è potuto accadere? E perché si può ripetere ancora? Un libro che racconta, anche attraverso la voce di chi la vive, la realtà materiale e psicologica del carcere in Italia, ma anche il potere e le sue menzogne.

 

https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858142462

Letture: “Una storia sbagliata” di Giancarlo Visitilli

Giancarlo Visitilli semina in questa storia gli alberi della compassione e
dell’empatia. Non fanno frutti immediati, ma col tempo crescono e sotto le
loro fronde ci si ripara dal male. Fanno frutto nel futuro lontano, dove agli
uomini conviene davvero guardare.

Mario Desiati

Saverio ha sedici anni, una vita familiare difficile e una rapina finita male alle spalle. Anche Anna ha sedici anni, frequenta il liceo classico e proviene da una famiglia benestante di Bari. Il destino che li unisce sarà lo stesso che li dividerà, uno in carcere, l’altra fuori ad aspettarlo e a cercare notizie sul suo conto. Fra loro la scuola, gli assistenti sociali e i familiari ma anche il teatro, la letteratura, il cinema e la musica come ancora di salvezza, tentativi di sfuggire a un destino.

Giancarlo Visitilli nel suo romanzo d’esordio ci accompagna in una Bari dicotomica, fatta di case borghesi e periferie degradate che fanno da sfondo a Una storia sbagliata come tante, in cui si fronteggiano amore e violenza e che si muove in una geografia fatta di spazi umani, rette parallele senza punti fissi, dove l’unica speranza che resta è nello sguardo degli adolescenti.
Una storia senza redenzione, in cui lo spazio e il tempo rimangono categorie adatte solo per il volo, per andare via senza previsione di ritorno.

 

https://www.liberaria.it/catalogo/una-storia-sbagliata/

IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

“Una buona salute mentale consente alle persone di lavorare in modo produttivo e di realizzare appieno il proprio potenziale. Al contrario, una cattiva salute mentale interferisce con la capacità di lavorare, studiare e apprendere nuove competenze. Essa ostacola i risultati scolastici dei bambini e può avere un impatto sulle prospettive occupazionali future.
I ricercatori stimano che solo a causa della depressione e dell’ansia si perdono ogni anno 12 miliardi di giorni lavorativi produttivi, per un costo di quasi 1.000 miliardi di dollari. Questo dato comprende i giorni persi per assenteismo, presenzialismo (quando si va al lavoro ma non si lavora) e turnover del personale.” (World mental Health report. Tranforming mental health for all; Cap. 4.3.2 Economic Benefits; OMS 2022).
Il 13 e 14 ottobre 2022 si terrà a Roma l’incontro internazionale promosso dall’OMS (Organizzazone Mondiale della Sanità) in cui si presenterà il World Mental Health Report. È in questa occasione che nasce la chiamata a scendere in piazza a Roma Giovedì 13 Ottobre.

OCCUPARSI DELLE CAUSE NON GENERA PROFITTO

La gestione sanitaria dell’emergenza pandemica ha evidenziato una totale assenza di interventi diretti ad approfondire le cause che l’hanno determinata, occupandosi esclusivamente dei sintomi. Focalizzare l’attenzione sulla ricerca delle cause avrebbe significato inevitabilmente attuare una radicale trasformazione delle politiche sociali, economiche, ambientali, sanitarie, relazionali.
Troppo costoso e quindi, poco produttivo. La psichiatria funziona con le stesse modalità: al presentarsi di una crisi non vengono prese in considerazione le cause che l’hanno determinata, la persona viene espropriata della possibilità di esprimere i propri significati e di autodeterminarsi attraverso un potere del tutto arbitrario il cui interesse non é affatto quello dichiarato della cura, ma piuttosto la progressiva medicalizzazione e cronicizzazione della crisi.
Lo Stato in questi due anni si è comportato allo stesso modo: in nome di una presunta irresponsabilità collettiva ha imposto le sue direttive dall’alto imponendosi come organo iper-razionale, una mente che ‘decide’ e sovradetermina il ‘corpo’ sociale, che in quanto ‘corpo’ è ad esso subordinato secondo un dualismo riduzionista para-psichiatrico appunto. Lo Stato e i suoi tecnici hanno valutato lo ‘stato di necessità’ secondo le leggi dell’economia, e gestito l’emergenza/crisi con la contenzione – l’esproprio della salute – esattamente come avviene in psichiatria. Allo stesso modo si è imposto un trattamento farmacologico col ricatto, impedendo alle persone di esprimere il proprio consenso, assicurando l’immediato introito per Big Pharma e lasciando solo chi ha subito le conseguenze sulla propria salute degli effetti collaterali del vaccino.

PER LA LIBERTÀ DI SCELTA CONTRO L’OBBLIGO DI CURA

L’attuale prassi nelle istituzioni psichiatriche prevede l’assunzione obbligatoria di psicofarmaci che a lungo termine risultano il più delle volte essere dannosi e invalidanti. La progressiva cronicizzazione della sofferenza è funzionale da un lato alla presa in carico a vita dall’altro al profitto delle multinazionali del farmaco.
La parola della persona non viene presa in considerazione o addirittura giudicata come sintomo della malattia, mentre vivere in una società fondata sulla prestazione e l’individualismo, la solitudine e l’assenza di una dimensione comunitaria sembra cosa del tutto normale. Si interviene sui sintomi categorizzandoli come espressione di “malattia mentale” ricorrendo ai TSO, alla contenzione fisica, meccanica e farmacologica. Nei CIM i colloqui sono troppo brevi e non c’è nessuna possibilità di essere ascoltatз o di esprimere dubbi e difficoltà.
Crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e ad autodeterminarsi significhi anche riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, della sofferenza e della molteplicità di modi per affrontarla. Siamo convintз che ci siano persone, tra coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie, che si rifiutano di essere complici di questo sistema di oppressione e che preferiscono slegare piuttosto che contenere, ascoltare piuttosto che mettere a tacere con i farmaci, essere solidali con chi si sottrae alle logiche di competizione. Sono loro che vorremmo al nostro fianco.

TECNOLOGIE E DIGITALIZZAZIONE: LA RELAZIONE NEGATA

Si parla di “salute mentale digitale”, un processo che strumentalizza le retoriche dell’innovazione, dell’accessibilità e dell’inclusione, introducendo invece forme sempre più specializzate di controllo, disciplinamento ed esclusione. Una “salute” sempre più delegata al dispositivo tecnico, costruita intorno alle esigenze del mercato dell’industria tecnologica e all’inesorabile sottrazione di reali spazi di soggettivazione, autodeterminazione e solidarietà dal basso.

CONTRO IL PROIBIZIONISMO PER LA RIDUZIONE DEL DANNO

C’è un’evidente contraddizione nei proclami dell’OMS, da un lato si promuove il consumo di sostanze “psicotrope” legali con effetti disastrosi, dall’altro si criminalizza l’autoconsumo di sostanze psicoattive. Al mondo un detenuto su cinque è in carcere per violazioni delle leggi sulle droghe. In Italia circa un terzo della popolazione detenuta è in carcere per questo motivo. Il proibizionismo non solo ha fallito, ma è esclusivamente funzionale al controllo sociale e a finanziare narco-mafie e narco-stati utili al riciclo e alla riproduzione del Capitale. E’ fondamentale dare voce allз consumatorз, attivando politiche dal basso improntate alla riduzione del danno e al consumo consapevole.

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE E DELL’ELETTROSHOCK

Nonostante le belle parole dell’OMS nei reparti psichiatrici si continua a morire legati nei letti di contenzione. Continuano ad essere praticati dispositivi manicomiali e coercitivi come l’uso dell’elettroshock, l’obbligo di cura, la contenzione farmacologica, le porte chiuse, le grate alle finestre, le limitazioni e il controllo della libertà personale.
Non c’è salute nei CPR, nelle carceri, negli SPDC, luoghi di tortura e annientamento delle persone. Non c’è salute dove c’è violenza e discriminazione di genere, senza diritto effettivo all’aborto e supporto alla genitorialità. Non c’è salute nelle politiche economiche che finanziano armamenti e guerre, sottraendo risorse alla collettività e ai bisogni delle persone.
La salute che vogliamo si basa su percorsi di solidarietà, autogestione e mutualismo dal basso. E’ il frutto dell’interdipendenza tra corpi, condizioni sociali e ambientali.
Non si può garantire salute per tuttз, senza lavoro, scuola e università, spazi comuni e di socialità liberati dalle logiche del profitto neoliberista. Crediamo che non ci sia bisogno di uno Stato né di un’organizzazione Mondiale che si proponga di riorganizzare e che sovradetermini la nostra salute e le nostre vite. Siamo convintз che ritrovarsi, ricostruire delle relazioni e delle comunità, riprendersi strade e spazi, possa essere un primo passo per aprire un orizzonte nel quale dar vita a luoghi liberi dalle dinamiche individualistiche, di sfruttamento e mercificazione.

PRESIDIO COMUNICATIVO
Giovedì 13 ottobre alle ore 11.00 – Piazza del Risorgimento – Roma
INVITIAMO TUTT3 A PARTECIPARE!

Assemblea Antipsichiatrica

GENOVA 2001-PARIGI 2022

 

GENOVA 2001-PARIGI 2022

A PIÙ DI VENT’ANNI DAL G8 DI GENOVA 2001, SI DECIDONO A PARIGI  LE SORTI DI VINCENZO VECCHI

RICERCATO IN ITALIA PER AVER MANIFESTATO LA SUA OPPOSIZIONE AI GRANDI DELLA TERRA

CONDANNATO NEL 2012 AD UNA PENA TANTO PESANTE QUANTO ASSURDA, COME È STATO PER TUTTI I CONDANNATI PER GENOVA 2001

CATTURATO IN FRANCIA NELL’AGOSTO 2019 DOPO DIECI ANNI DI PROCESSI E QUASI ALTRETTANTI DI LATITANZA

VINCENZO SI TROVA ATTUALMENTE LIBERO GRAZIE ALLA MOBILITAZIONE SOLIDALE CRESCIUTA IN FRANCIA AL MOMENTO DEL SUO ARRESTO

DOPO ALCUNE SENTENZE POSITIVE DEI TRIBUNALI FRANCESI, CHE HANNO RIGETTATO IL REATO DI DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO UTILIZZATO DAI GIUDICI ITALIANI, UNA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA RISCHIA ORA DI RIBALTARE LA DECISIONE FRANCESE DI NON ESTRADARE VINCENZO

PER QUESTO LA SUA LIBERTÀ È DI NUOVO IN PERICOLO E  I COMITATI DI SOLIDARIETÀ SONO TORNATI PER LE STRADE

IL PROSSIMO 11 OTTOBRE LA CORTE DI CASSAZIONE DI PARIGI PRENDERÀ UNA DECISIONE CHE POTREBBE ESSERE QUELLA DEFINITIVA

COME FAMILIARI, AMICI E COMPAGNI DI VINCENZO INVITIAMO CHIUNQUE POSSA E VOGLIA FARLO A MOBILITARSI ANCHE IN ITALIA

DAL PROSSIMO 1º OTTOBRE

IN OGNI MANIERA, ANCHE SOLO CON UN PRESIDIO, UN VOLANTINAGGIO, UNO STRISCIONE, UN DISEGNO O UNA SCRITTA SU UN MURO
(se puoi, comunicaci quanto hai intenzione di fare e, se possibile, inviaci immagini da condividere con i comitati francesi, a questo contatto: info@sosteniamovincenzo.org)

IN VISTA DI UN CORTEO A MILANO SABATO 8 OTTOBRE
ORE 15,00 P.ta GENOVA

PER  SOSTENERE CHE LE RAGIONI DI CHI ALLORA SCESE PER LE STRADE DI GENOVA SONO OGGI ANCORA PIÙ GIUSTE ED URGENTI

PER RIBADIRE CHE I GOVERNANTI NON VANNO LASCIATI TRANQUILLI MENTRE DEVASTANO E SACCHEGGIANO IL PIANETA SU CUI VIVIAMO

PER PROTESTARE CONTRO UNA GIUSTIZIA EUROPEA OSTAGGIO DEGLI INTERESSI COMMERCIALI E MILITARI

PER RICORDARE CHE IL CARCERE NON È UNA SOLUZIONE MA UN PROBLEMA

NESSUNA ESTRADIZIONE, NESSUNA PRIGIONE!
VINCENZO LIBERO, LIBERI/E TUTTI/E!

Assemblea di sostegno a Vincenzo, 18 settembre, Milano (prossimi appuntamenti: www.sosteniamovincenzo.org)

APPELLO_MOBILITAZIONI

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