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Archivi dell'autore: mattia

Pfizer e la pena di morte

pfizer

Apprendiamo dai Media che il colosso farmaceutico statunitense Pfizer ha deciso di negare l’utilizzo dei suoi prodotti nelle esecuzioni capitali, causando la sospensione di diverse condanne in attesa di nuovi fornitori.
La decisione segue a ruota quella di almeno altre venti case farmaceutiche europee e americane, che negli ultimi anni hanno rivisto i loro macabri contratti commerciali con gli istituti penitenziari che praticano le iniezioni letali. Questa situazione ha gettato nel caos le esecuzioni delle condanne costringendo le carceri a ricorrere a mix di farmaci che hanno causato sofferenze fisiche a decine di condannati.
La macchina di morte però non può essere fermata, a costo di ritornare all’uso di cappi, sedie elettriche o fucilazioni, e l’argomento “pena di morte” è determinante nei giochi politici del Potere. La carenza di fornitori ha così costretto alcuni Stati Nordamericani a ricorrere a farmaci esteri non approvati dal Federal Drug Administration, provocando problemi legali e doganali e contribuendo così al crollo delle esecuzioni capitali negli USA, al minimo da quarant’anni a questa parte.

Lettera di Maurizio Alfieri, inizio di marzo, dall’isolamento di Opera

Ciao, scrivo a te e tutti/e le compagne e i compagni, per pubblicare quanto è successo, avvisate Massimo che neanche il telex a loro mi hanno fatto partire, lo hanno bloccato con i soliti motivi di “ordine e sicurezza dell’istituto”.

Come saprete (ed era scontato) sono in isolamento per le solte ritorsioni per aver pubblicato abusi e pestaggi, di cui ne vado fiero e lo rifarei. Voglio ringraziare di cuore tutti i miei compagni di sezione A e C 4° Piano 1° Padiglione, per aver protestato quando mi hanno portato in isolamento, e che solo attraverso un mio scritto, dove li rassicuravo di star bene e di non protestare, hanno smesso: perché non volevano rientrare in cella (li adoro). Questo mi ha commosso tanto, dopo tanti anni di lotte per qualsiasi mio compagno senza distinzioni di etnie e culture, aver saputo che tutti si sono mobilitati, mi sento di mandare un caro e fraterno abbraccio ad ognuno di loro per dirgli che gli voglio bene, e di continuare ad essere uniti e soprattutto a scrivere agli indirizzi che hanno avuto per pubblicare ogni abuso.

Io sono stato portato in isolamento; ieri ho scoperto di trovarmi qua per minacce ad un agente! Con offese per il direttore (falso). Ho detto al direttore che se l’avessi offeso lo confermavo, comunque ho dato a lui il mio scritto sul rifiuto a presenziare al consiglio di disciplina, anche se poi sono andato per dirgli che sono disgustato delle cose che accadono qui dentro, soprattutto dei pestaggi verso gli ammalati. Subito mi ha risposto un dottore lì presente, dicendo che: al Centro Clinico c’è un detenuto sulla carrozzina (un bestione di 2 mt) così ha detto (“bestione” = a animale) che ogni giorno prende per il collo gli agenti e nessuno lo tocca!!! Logicamente è di parte e deve conservare il suo posto di lavoro. Hanno minacciato due detenuti che lavoravano al Centro Clinico, perché vogliono farla pagare a chiunque diffonda notizie su quello che fanno. Lottiamo uniti.

Alla fine di tutto ciò ho detto di aprirmi il blindato perché sono solo io ad averlo chiuso, e lui, ridendo, ha detto: muratelo vivo… poi mi ha detto che se vuole mi fa applicare il 14bis; e io gli ho risposto che cosa aspetta a farlo? Tanto non ho paura di niente e al mio fianco ci sono tutte/i i/le compagne/i che sostengono le mie/nostre lotte e che non mi lasceranno mai solo, ovunque mi trasferiscano e che sono pronti a protestare sotto il D.A.P.

Compagni/e sappiate che abbraccio tutte/i che in strada, nelle piazze, nelle vali, nelle radio, riviste, ecc., daranno voce a me contro questi aguzzini che stanno cercando di isolarmi da tutte e tutti voi; e non mi arriva più posta da ottobre 2014. Scrivete sempre anche raccomandate, io nelle sofferenze ho il vostro amore e affetto che mi rende felice e vi amo e vi adoro a tutte/i.

Hanno creduto (e pensato) di gestirmi attraverso abusi, false promesse, sparizione della posta, negazione della ludoteca a un mio pronipote di soli 2 anni con seri problemi di salute, ora che stanno per trasferirmi saranno felici ed io dico a costoro di ‘farsi fottere’ perché sono felice di lottare contro i loro crimini e tra 2 anni uscirò a mi unirò ad ogni presidio furi dai carceri, soprattutto a Opera.

Ho scritto una lettera al D.A.P. che vi spedisco, da pubblicare (non è mai probabilmente partita, di sicuro mai arrivata! nota ns), dove li informavo che anche se venivo trasferito non avrei smesso di lottare, dato che la colpa di tutto è della direzione di Opera. Vediamo dove mi mandano. E poi tutti/e i/le compagne/i di cuore e coraggio, sapranno come sviluppare la loro solidarietà che scalderà il mio cuore.

 

Materassi strappati, passeggio senza tettoia e sporco di pipì. Aria impossibile, una sola doccia funzionante, sbobba per animali, psicofarmaci a quantità, due ragazzi diventati robot (poverini) vittime di questo sporco sistema che vige a Opera… malati psichici al Centro Clinico chiusi 24 ore al giorno (raccontato da tutti i lavoranti).  Ed ora, dopo lo scandalo sul Centro Clinico per quello che abbiamo pubblicato, la direzione si è affrettata a passare degli opuscoli dove (essi) si vogliono impegnare a dislocare i malati nelle sezioni per vincere l’inerzia e l’apatia (ipocriti).

Scriverò una lettera aperta al ministro Orlando, dove tutti/e potranno leggerla e trarne le conclusioni. Così tutti coloro che parlano di legalità e giustizia dovranno chiedersi perché i detenuti che pubblicano crimini vengono sottoposti a rappresaglie-abusi-isolamenti e continui trasferimenti? Questa è legge? Siamo in uno stato totalitario? Fascista? E’ legale torturare e picchiare gli ammalati?

Avrò tante domande da porre, dove in tanti anni di lotte non ho mai avuto risposte ma solo anni e anni e anni di isolamenti e trasferimenti, e 4 ani di censura (per imbavagliarmi) fallito. Questo sistema va cambiato, combattuto. Io continuerò a farlo anche se da una cella di isolamento (ma sempre a testa alta).

Un abbraccio fraterno a tutti/e e/i compagn/e e a coloro che rivolgeranno un loro pensiero di solidarietà e vicinanza al mio isolamento.

Abbraccio Valerio a Terni , Davide D., Davide R., tutti/e i detenuti/e in lotta, inviategli indirizzi dove pubblicare abusi, perché grazie ai social network, gli aguzzini non possono più nascondere i crimini che per molti  anni (troppi) hanno ucciso e torturato i detenuti/e.

Si vis pacem parabellum

Chi lotta potrà perdere, chi non lotta ha già perso. Il rispetto della propria dignità e dei diritti non può toglierceli e calpestarli nessuno, neanche queste sporche mura.

A testa alta solidale e ribelle Maurizio.

Equitalia pignora la diaria ai detenuti

Riportiamo dalla rete l’episodio di un detenuto del carcere di Monteacuto, ad Ancona, condannato per contrabbando di sigarette a cui Equitalia vuole pignorare l’intera diaria giornaliera di 20 euro, guadagnata facendo lavori di giardinaggio all’interno del penitenziario per scopi riabilitativi.

Facendo i conti al centesimo il debito gli è stato calcolato in 12.256 euro: considerando una paga percepita di 500/600 euro mensili, il detenuto dovrebbe lavorare circa due anni gratis.
Si potrebbe quindi parlare di “lavori forzati” direttamente inflitti non da un tribunale ma da Equitalia.
I burocrati dell’ente riscossore non si limiteranno ovviamente a questo singolo caso, ma prevedono di entrare in possesso di tutte le somme percepite dai detenuti in debito col fisco, guadagnati col loro lavoro fuori o dentro le strutture carcerarie.
Si parla di una montagna di soldi, estorti nel modo più vile, che fanno gola ad Equitalia che vedrà così ingrassare i suoi affari.

“Il giorno più bello della mia vita io non c’ero” di Simone Bargiotti

il giorno più bello

Questo libro non è un romanzo. È la storia di una psicoterapia, ed è dedicata a tutti i medici e professori – alcuni con tanto di cattedra universitaria – che si credono Dio e non hanno capito nulla di quello che è successo. Perché un ragazzo di ventiquattro anni a un certo punto sta male? Cosa è davvero successo nella sua vita? Quanto c’è di vero? Nulla, hanno fatto presto a sentenziare questi signori, liquidando il tutto come “non vero”. E invece un fondo di verità esiste. Un perché. Una causa.

Edizione “I libri di Emil”

“Voglio sentire l’urlo del tuo respiro” di Simone Bargiotti

voglio sentire l'urlo

Notti brave in cui l’amore carnale e le esperienze estreme si fondono in una corsa folle alla scoperta di se stessi… La riviera romagnola e la sua frenetica vita notturna fanno da sfondo ai racconti di giovane uomo le cui conquiste e delusioni si alternano in un vortice che lascia senza fiato…

 L’autore:
Simone Bargiotti è nato a Bologna il 17 febbraio 1978, venerdì per i superstiziosi, Acquario ascendente Scorpione per gli amanti dell’astrologia. Ha vent’anni alla fine degli anni ‘90, il periodo d’oro della disco. Collabora e lavora come pierre al Cellophane, all’Ecu, all’Altro Mondo Studios e all’Embassy. Voglio sentire l’urlo del tuo respiro è liberamente ispirato alla sua vicenda.

Documentario “87 ore” di Costanza Quatriglio

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Film-documentario “87 ore” di Costanza Quatriglio (2015 – 75 minuti)

Francesco Mastrogiovanni – insegnante elementare, 58enne originario di Castelnuovo Cilento (SA) – muore nel reparto psichiatrico dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania il 4 agosto 2009. La mattina del 31 luglio l’uomo era stato sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Le immagini del sistema di videosorveglianza, presente nel reparto psichiatrico, documentano l’intero ricovero del maestro e la sua agonia. Francesco Mastrogiovanni, due ore dopo l’ingresso nel reparto, è legato mani e piedi al letto dell’ospedale. Viene liberato dalla fasce di contenzione solo dopo alcune ore dal decesso.

Una produzione Doclab, in collaborazione con Rai Tre e con il sostegno del MiBACT.

Musiche Marco Messina, Sacha Ricci, 99 Posse
Disegno di Simone Massi

Per ulteriori approfondimenti: http://www.giustiziaperfranco.it/

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=Qvlq-M9WGms

 

“Fratture di una vita” di Charlie Bauer

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Charlie Bauer 1943-2011
marsigliese, teppista, ladro, rapinatore, detenuto, speleologo urbano all’occorrenza, ribelle per vocazione.
“Voglio smentire questa logica. Nutro la sana convinzione di riuscire ad evadere ogni domani! Tutte le argomentazioni dotate di quella “logica” che spinge verso la resa, non portano a nulla. In me, al contrario, provocano un sussulto di energia, di rabbia, di fierezza verso ciò che io ritengo un dovere, un principio. Rido spesso, di un riso amaro e critico, vedendo molti altri detenuti adagiarsi ai facili “confort” della sottomissione. Non pensano più, non sognano più, non si battono mai, si adattano solamente. Mai troppo, al loro avviso. Molto, secondo me. Il sistema penitenziario non sarebbe così altrimenti. Gli scacchi, le bocce, i tarocchi, il ping pong…con il flacone di sonniferi-tranquillanti-rilassanti per dormire meglio la sera, il gioco è fatto!
A questo gioco si perde sempre, compagni.
Senza aiuto esterno qui, l’evasione è perfettamente evasiva. Studiando la struttura potrei forse trovarvi una falla. E con questa prospettiva il tempo passa. Ho raccolto qualche informazione, ma non ancora sufficiente per farmi un’idea precisa. Non posso assolutamente strombazzare ai quattro venti le mie richiesta di informazioni. Nei film e nei romanzi tutto è molto più semplice”.
Indice:
-Premessa
-L’estaque
-Fine di giovinezza
-L’esclusione
-La bella e la bestia
-Lotta fino alla morte
-Ribellioni
-Quartier de haute sécurité
-Libertà condizionata
-Jacques
-Il nemico pubblico
-Ritorno
-Processi
-Ancora processi
-Fino alla fine
Pagine 336
Edizione autoprodotta da: “Cassa antirepressione delle Alpi occidentali“,”El Paso” occupato, Centro di documentazione “Porfido“, edizioni “El Rùsac“, “NED P.S.M.” – Il ricavato dalla vendita del libro andrà a sostegno della cassa antirepressione delle Alpi occidentali.

“Urla a bassa voce” di Francesca de Carolis

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a cura di Francesca De Carolis
URLA A BASSA VOCE
Dal buio del 41 bis e del fine pena mai – Prefazione di don Luigi Ciotti

A trent’anni dall’introduzione del reato di associazione mafiosa e dopo 20 anni dall’inasprimento delle leggi per combattere la criminalità organizzata, tra cui il 41 bis, questa è la prima testimonianza collettiva di ergastolani, condannati per reati legati alla criminalità organizzata, che hanno scelto di non essere collaboratori di giustizia. In un momento in cui con sempre maggiore drammaticità si pone il problema dell’affollamento delle carceri italiane e delle condizioni di chi vi è detenuto, i loro racconti aprono una riflessione sulla condizione fisica e morale di chi è condannato a morire in carcere. Una riflessione sul senso della pena e sulla necessità del rispetto dei diritti che la nostra Costituzione garantisce per tutti, indipendentemente dalla configurazione dei reati commessi.

“Tutta la verità – Totu sa beridadi” di Francesca de Carolis

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Mario Trudu
TUTTA LA VERITA’ – TOTU SA BERIDADI
Storia di un sequestro

Storia di Mario Trudu, due condanne per sequestro di persona. Del primo mi dichiaro innocente. Ma ritengo che le vittime di questa faccenda non siano soltanto i sequestrati. Pure io e i miei familiari siamo vittime di un stato che dovrebbe fare giustizia e non vendetta. Da trentacinque anni anche io sequestrato e senza alcuna prospettiva di uscirne vivo, vi racconto la mia tremenda storia.

Io Mario Trudu, nato ad Arzana (Nuoro) l’11 marzo 1950, sono stato arrestato il 12 maggio 1979 in territorio di Sinnai (Cagliari) con l’accusa di sequestro di persona a scopo di estorsione. In quella zona svolgevo il lavoro di allevatore. Provengo da una famiglia di contadini senza nessuna ricchezza materiale, ma i miei genitori mi hanno lasciato in eredità dei beni insostituibili: i loro insegnamenti, buoni sentimenti e il rispetto verso gli altri, insieme a un altro tesoro, tre meravigliose sorelle e un fratello. Anche se credo che per molti sentire me parlare di rispetto e di buoni sentimenti suonerà male, spero che leggendo il libro tutti si renderanno conto che questa è la verità. Loro mi hanno anche insegnato a non arrendermi dandomi quella straordinaria forza che mi ha permesso di superare tutti questi anni di indicibile orrore. Per decenni in una cella a sognare i luoghi conosciuti fin da ragazzo, posso dire di aver vissuto due vite, una con un destino crudele e una virtuale fatta di cose inesistenti. Quella che mi manca è una vita normale, che con una classe politica così… non potrò avere mai.

“…e tu slegalo subito” di Giovanna del Giudice

Il 22 giugno 2006 Giuseppe Casu muore nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Cagliari, legato al letto, braccia e gambe, per sette giorni di seguito fino alla morte. Quella morte non silenziata, non negata, non giustificata, ma indagata e assunta come limite invalicabile dell’agire psichiatrico diventa il punto di avvio di un tumultuoso quanto difficile cambiamento.

“Il libro, straziante e bellissimo, di Giovanna Del Giudice, percorso da una straordinaria passione della dignità umana, e da una sconvolgente descrizione di fatti che crudelmente la lacerano, si confronta con la questione radicale della contenzione in psichiatria nella quale è in gioco la dignità dei pazienti.
[…] Nell’area di una psichiatria indifferente ai valori della interiorità, e incentrata esclusivamente sulle terapie farmacologiche, rinasce nondimeno ogni volta la tentazione di utilizzare la contenzione senza farsi tante domande sulla sua frantumata fondazione etica.
[…] La contenzione frantuma ogni dimensione relazionale della cura, e fa ulteriormente soffrire esistenze lacerate dal dolore, e dall’isolamento; e la contenzione scende come lacerante ghigliottina sulla loro vita psichica: ricolma di sensibilità e di fragilità, di nostalgia della vita e della morte.”
(dall’introduzione di Eugenio Borgna)

 

Giovanna del Giudice:

medico psichiatra, nel dicembre 1971 inizia a lavorare nell’ospedale psichiatrico di Trieste, sotto la direzione di Franco Basaglia. Partecipa all’intero processo di deistituzionalizzazione e alla costruzione dei percorsi della salute mentale di comunità, con particolare attenzione alle questioni di genere. È stata direttrice del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Caserta 2 e di Cagliari e consulente per la salute mentale in altre regioni italiane.
Autrice di numerose pubblicazioni. Coordina progetti di cooperazione internazionale sui temi della salute mentale.
È presidente dell’associazione ConfBasaglia dal novembre 2013.

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