Già questa formulazione statal-ministerial-telematica
("pacchetto sicurezza") è disgustosa. Sa di supermercato.
Pretende di confezionare cose serie che riguardano la vita
pubblica come un prodotto scaduto da sponsorizzare.
Questo giornale ha già scritto e spiegato bene come il senso di
insicurezza che circola abbia cause un po' diverse dallo 0,24 per
cento dei detenuti recidivi e come questa psicosi sia alimentata
ad arte. Per distrarre la pubblica opinione da altre faccende ci
vuole sempre un bersaglio: gli ebrei sono storicamente quello
preferito, poi vengono i negri o simili, quindi i delinquenti
lombrosiani (omosessuali per il papa romano).
Ma non è di questo che voglio parlare né di come l'attuale
governo indulge a questa incultura. Anche a me, in sintonia con
la copertina e i commenti del giornale di ieri, pacchetto
sicurezza fa subito pensare ai morti quotidiani sul lavoro e
sulle strade. Nell'ultimo incidente in Sicilia questi due generi
di omicidi bianchi hanno coinciso. Quattro bare tra lamiere
distorte e una scarpa dimenticata sul selciato.
Nessun pacchetto da parte dei ministri competenti. Noi abbiamo
sospeso e disatteso la normativa europea per la sicurezza sul
lavoro come facciamo ora per il bergamotto calabrese. Quanto al
traffico, ho letto che sarà innalzato il limite di velocità per
non perdere alle elezioni regionali i voti di Schumacher e degli
inquinatori per vocazione.
Mi viene spontaneo rivolgere una domanda ai presentatori
televisivi, per quanto incolpevoli. Come fanno? Come fanno a
recitare impassibili qualsiasi copione? Perché dicono pacchetto
sicurezza? Perché subiscono una gerarchia delle notizie che
sperabilmente non corrisponde alla loro educazione civica e
sensibilità giornalistica? Certo il loro ruolo non gli permette
di parteggiare in nessun senso, ma tra la partigianeria e la
robotica dovrebbe esserci una differenza, come tra la
professionalità e l'alienazione.
Suppongo che il loro lavoro sia gratificante perché ne ricavano
un'immagine pubblica e una remunerazione adeguata. Ma dovrebbero
pretendere un'indennità speciale, quella che gli operai di linea
non hanno mai ottenuto. Oppure pretendere di aver voce in
capitolo, come accadde nel vilipeso '68 in alcune redazioni della
carta stampata. Si chiamava contestazione del ruolo.
Dico seriamente che, siccome la centralità operaia ha ceduto il
posto alla centralità informatica, telematica, elettronica e
cibernetica, forse dovremmo prendere esempio dagli hacker e
applicare a questa materialità immateriale le intelligenze che
abbiamo dedicato per un secolo allo studio della dialettica
hegeliana. Forse i nuovi Bettini del sistema dominante,
manipolatore dei nostri cervelli, stanno acquattati tra i due
miliardi di utenti televisivi.
Mi piacerebbe una quinta Internazionale di hacker, una giovane
generazione di eversori (incruenti) dell'ordine costituito, che
invadano però non solo internet ma tutto il cyberspazio e la
noopolitik. Un telemarxismo che attacca e sconcerta
l'avversario sul suo terreno. Non è bello che Clinton debba
stornare due miliardi di dollari dal bilancio della cyberwar per
fronteggiare i pirati invisibili dei mari virtuali? Non sarebbe
bello oscurare il ministro Bianco su un telegiornale? Ecco un
campo d'azione sterminato, fantasioso e beffardo, per le nuove
generazioni che si annoiano.