Il Corriere della Sera
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IL MOVIMENTO
Ma la guerra dei cyberpirati è cominciata con la battaglia di Seattle

di Goffredo Buccini
da Il Corriere della Sera del 10.02.00


DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Usano il mouse del computer con la stessa disinvoltura con cui i loro padri, 30 anni fa, usavano striscioni e tazebao. E hanno due vantaggi: sono invisibili, perché stavolta la piazza è virtuale, e sono più temibili, perché con un colpo ben assestato possono far traballare una multinazionale. Sono i ragazzi della «X generation», quelli che hanno scoperto la protesta attraverso Internet, paradossalmente lo stesso mezzo che è servito a costruire quel mondo globalizzato che loro vogliono abbattere: i nuovi ranghi di questa generazione hanno rimpinguato l’universo degli hacker, portato nuova linfa e nuovi miti ai vecchi corsari on line. Perché i ribelli del mouse hanno già un loro martire, un «cybermartire»: Kevin David Mitnick, rilasciato un mese fa dall’istituto correzionale di Lompoc dopo 5 anni di galera e dopo un processo in cui lo avevano caricato di 25 imputazioni, per possesso illegale di file di computer rubati a compagnie come Nokia, Motorola e Sun Mycrosystems. Hanno già una loro terra promessa: Seattle, culla del futuro tecnologico targato Microsoft e patria della storica contestazione dello scorso dicembre al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Hanno già un loro enfant prodige, Patrick Gregory, in arte Mosthated (il più odiato), scovato dall’Fbi dopo una lunga caccia, fondatore ad appena 17 anni di Global Hell, Inferno Globale: un gruppo che lo scorso anno ha fatto sudare freddo governo e federali, ed è riuscito a mandare in tilt perfino il sito della Casa Bianca.
Soprattutto hanno già un’ideologia: prepolitica rispetto agli schemi tradizionali; trasversale nei temi, che vanno dalla guerra dichiarata allo sfruttamento dei bambini fino alla lotta ai cibi transgenici e al neoambientalismo; romantica e perdente come romantiche e perdenti sono tutte le vere pulsioni rivoluzionarie. E’ presto per dire chi davvero ci sia dentro l’assalto ai siti Web di queste ore, ma non è impossibile forse intuire cosa c’è dietro.
Dietro c’è comunque un pezzo della nuova cultura americana che, rimasto finora sotterraneo, ha fatto di Kevin Mitnick una primula rossa leggendaria. Entrato in clandestinità nel 1992, dopo aver violato i termini della sua libertà vigilata che gli impedivano di usare il computer, Mitnick si nasconde per due anni e mezzo e, dal suo rifugio, fa strage dei segreti delle corporation, terrorizza i network delle grandi compagnie telefoniche, irrompe nei sistemi nazionali della Difesa e si fa beffe dei loro schermi di sicurezza. Lo prendono solo perché, girovagando in rete tra un saccheggio e l’altro, incontra un tizio perfino più sveglio di lui, Tsutomu Shimomura: quando Kevin gli si mette a passeggiare virtualmente sui microchip, il buon Tsutomu se la prende parecchio e aiuta l’Fbi a rintracciare l’intruso in un appartamento di Raleigh, in Norh Carolina. E’ il febbraio ’95.
Nei cinque anni che seguono, l’America si mette a correre nelle praterie telematiche. I tifosi di Kevin crescono più di quelli dei Knicks.
«I criminali li trattano meglio di lui: il suo solo crimine è la curiosità intellettuale, che in questo Paese si paga», dice Steve Gold, direttore di Secure Computing Magazine ed ex hacker. I ragazzi di Digital Resistance cominciano a mandare in rete messaggi del tipo: «Il nostro sito è dedicato a tutti gli hacker che usano il loro lavoro per combattere contro le ingiustizie, l’oppressione e il razzismo». Nel ’97, un gruppetto di 35 hacker lancia una clamorosa offensiva contro 36 network del Dipartimento della Difesa. John Kyl, presidente della commissione tecnologie del Senato, denuncia che due terzi dei computer governativi hanno buchi nella sicurezza. Ma è il ’99 l'anno della resa dei conti. Proprio mentre l’amministrazione Clinton annuncia un aumento del 40 per cento delle spese per garantire la sicurezza dei sistemi Web, gli attacchi in rete si moltiplicano. Nel mirino, le grandi compagnie e il governo. Richard Clark, esperto di terrorismo cibernetico a Washington, comincia a paventare i rischi di una «Pearl Harbor elettronica» che pieghi le ginocchia della nazione. L’idea che i pirati arrivino fino a scardinare le barriere del Pentagono, non sembra più la paura di qualche paranoico picchiatello: «E’ quello il Sacro Graal, per gli hacker», dicono i consiglieri del governo.
Intanto, i ragazzi crescono. E imparano in fretta. A maggio, quelli di Masters of Downloading irrompono nel sito del Senato. Ma il vero colpo è quello sul sito della Casa Bianca, travisato per qualche ora in Whore House (Casa della Prostituta). Per la prima volta compare la sigla di Global Hell e, in cima ai nomi che firmano l’impresa, c’è quello di Mosthated. L’Fbi reagisce, apre un’indagine nazionale che tocca 12 città, con decine di arresti. Gli hacker rispondono e invadono anche il sito dell’Fbi: «Questa è la nostra rappresaglia, ci piace bagnare il naso ai federali», scrivono. Alla lunga non possono spuntarla. Perfino Mostahated finisce in manette e fa abiura. Ma nel frattempo arrivano i giorni di Seattle, un appuntamento che i ragazzi hanno preparato per 11 mesi, lanciando in rete i loro messaggi: «Scrivilo sull’agenda, c’è da mandare al tappeto il Wto». E’ esattamente quello che succede a dicembre: nella piazza globale, dove anche il sito ufficiale dell’organizzazione finisce in mano ai giovani hacker, e nella piazza reale, espugnata per una settimana da migliaia di manifestanti. Per la prima volta, la voce della «X generation» esce dagli schermi dei computer.



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