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- Clinton beffato dagli
hacker
Violato il discorso on line. Summit alla Casa Bianca:
servono 2 miliardi di dollari di Ennio Caretto
da Il Corriere della Sera del 16.02.00
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON — «Personalmente,
mi piacerebbe vedere più pornografia su Internet». Questa
sbalorditiva risposta di Clinton è apparsa sugli schermi
dei computer collegati a quello della tv Cnn durante la
prima intervista on line del presidente al pubblico di
tutto il mondo. La risposta vi è rimasta soltanto per pochi
secondi. Ma quando gli uomini della Casa Bianca l'hanno
vista, si sono sentiti venire meno: hanno capito di essere
stati vittime di un paradossale scherzo. Non della Cnn
naturalmente, ma del solito hacker ignoto. Clinton aveva
risposto tutt'altro alla domanda sugli show su Internet. Un
tecnico della tv ha per errore schiacciato il tasto
sbagliato: non quello del presidente, ma del pirata che
intanto aveva fatto la sua battuta. Una sfida clamorosa.
L'episodio, infatti, è avvenuto poco prima del vertice
della Casa Bianca sulla difesa delle società di Internet
dagli attacchi del tipo di quelli della scorsa settimana.
Quando ha saputo dell'incidente, Clinton è scoppiato in
un'irrefrenabile risata. Ma Casa Bianca e Cnn sono entrate
in crisi. Temendo interventi imbarazzanti del pubblico
sulla festa di San Valentino o peggio lo scandalo Sexgate,
avevano preso mille precauzioni. La Cnn filtrava le domande
di Internet, e leggeva al presidente, alla tv, solo quelle
lecite. Clinton rispondeva in voce. Contemporaneamente, le
sue parole venivano digitate sul computer della tv a cui
erano collegati 10 mila navigatori del Web. Ma il computer
registrava anche i commenti del pubblico. Il tecnico s'è
confuso ed è saltata fuori la risposta del pirata.
Arrossendo, il presidente ha più tardi rilevato che
«l'attuale campagna contro Internet è fastidiosa». Ma ha
garantito che «si troverà il modo di proteggere la Rete».
Il piano emerso ieri dal vertice alla Casa Bianca è il
seguente. Insieme con l’industria privata,
l'amministrazione formerà il Cyber Nip o National
information center, un istituto di ricerca da un lato e di
preavviso degli attacchi a Internet dall'altro (in America
esistono già il Cert, o centro di coordinamento
dell'elettronica, per il controllo del web, e il Nipc, o
National infrastructure protection center, per la
prevenzione degli assalti terroristici, entrambi
governativi). Il ministero della Giustizia verserà al nuovo
organismo una somma iniziale di 2 milioni di dollari, 4
miliardi di lire, e altrettanto faranno le società
Internet. Ma l'amministrazione chiederà al Congresso di
stanziare 2 miliardi di dollari, 4 mila miliardi di lire,
per il prossimo anno. E l'industria privata intende mettere
grosse taglie sugli hacker. Un giornalista ha obiettato
a Clinton che le misure sono inadeguate e che l'offensiva
della scorsa settimana «è stata la Pearl Harbor del Web»,
rievocando il bombardamento giapponese delle Hawaii
all'inizio della Seconda guerra mondiale. Il presidente ha
ribattuto di no: «E' stato un campanello di allarme. Non
abbiamo perso l'equivalente della flotta del Pacifico. Non
c'è motivo di panico». E ha spiegato che al vertice, da lui
gestito in prima persona, hanno partecipato 20 importanti
società di Internet, alcune banche, un pirata pentito, e
numerosi giuristi. Clinton ha sottolineato che, grazie alla
totale libertà di cui gode, la Rete ha prodotto un terzo
del miracolo economico Usa, e nel 2003 frutterà 1.500
miliardi di dollari, 3 milioni di miliardi di lire, una
cifra enorme, al commercio elettronico. «Non dobbiamo
minarne la competitività», ha concluso. Secondo il
presidente, si tratta di trovare il giusto mezzo tra la
ferma difesa di Internet dagli hacker e il diritto alla
riservatezza delle sue aziende. E lo strumento migliore è
lo sviluppo di tecnologie protettive dei siti. Ma su questo
terreno è polemica. Ieri i media hanno scritto che il 4
febbraio le grandi banche appresero che sarebbero state
attaccate dai pirati e che corsero ai ripari acquistando
programmi anti hacker. Le banche, tuttavia, non avvertirono
le aziende degli altri settori perché il ministero della
Giustizia vieta «la diffusione di notizie destabilizzanti»,
provvedimento destinato a prevenire un crollo azionario.
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