Lasciamo il veganesimo da parte e rilanciamo la lotta

Riceviamo e diffondiamo
Tratto da: oscuro es el deseo

Non scriviamo per cominciare un dibattito all’interno del movimento antispecista (Il quale è morto e sotterrato sotto al peso delle sue chiacchiere, i suoi autoproclamati portavoce e la sua retorica filosofica) ma per marcare il fatto che ci sono individualità nel movimento per la liberazione animale che sono guidate da una tensione rivoluzionaria, che vogliono rivolgersi contro lo sfruttamento animale.

Anche se il veganesimo[1] può essere visto come il rifiuto della sofferenza metodica e dello sfruttamento animale, e per tanto come un modo per non essere complici di chi lx massacra sistematicamente, pensiamo che è solo un primo passo verso quello che consideriamo una traiettoria per la liberazione dell animal, ma si riferisce solamente al potere simbolico e sociale della carne e degli altri prodotti di origine animale. Nessun può credere che la sua dieta abbia causato un danno fatale all’industria che sfrutta l animal; di fatto il veganesimo agisce contro l’immaginario collettivo.

Essere vegan (anche se etico) e pensare che in questa maniera qualcun possa porre fine allo sfruttamento animale o persino LIBERARE altr animal e ingannevole e pericoloso, perché è un tentativo di pacificare la resistenza.

É lo stesso che pensare che astenersi dal voto possa sovvertire il sitema. Se non votiamo è perché abbiamo deciso di non delegare le nostre decisioni e la nostra vita a nessun. Se non votiamo è perché rifiutiamo questo sistema. Ma credere che semplicemente non votando possiamo inclinare la bilancia a nostro favore sarebbe ingenuo. Invece di accendere nuove scintille, spengono con un soffio la debole fiamma dell’azione rivoluzionaria per la liberazione animale, la estinguono proponendo il veganesimo come un atto politico di opposizione. Anche se è un atto di coscienza e di coerenza con la coscienza di se stessa, intesa come la percezione della realtà che ci circonda, non è un gesto di rivolta. È il rifiuto della pratica dello sfruttamento, non una resistenza reale, che inevitabilmente influisce sulla gamma di opzioni alimentari e per questa ragione può essere riassorbito dal sistema capitalista. L’unica via per uscire da questo vicolo cieco è creare un conflitto irrecuperabile, che si può ottenere solo se l’analisi della dinamica di dominio, di un certo tipo di sfruttamento, conduce all’dentificazione, non solo delle strutture ma anche dei ruoli che costruiscono e mantengono il suo potere (economico e sociale) sullo sfruttamento, e colpendo il meccanismo capitalista che produce la distruzione dell animal[2].

Il potenziale rivoluzionario della causa animale si materializzerà se siamo capaci di affrontarlo con gli strumenti adeguati: La liberazione animale considera lo sfruttamento animale un primo passo verso una sfida complessiva al sistema autoritario più ampio.
Uno dei punti forti del movimento di liberazione animale è sempre stato difendere le pratiche radicali, creando con questo un alto livello di conflittualità con i responsabili dello sfruttamento animale, conflittualità permanente capace di limitare il riassorbimento di certe pratiche da parte delle istituzioni. La lotta per la liberazione animale ha sempre appoggiato apertamente qualunque attacco perpetrato contro quelli che erano identificati come responsabili della schiavitù di altr animal. È una lotta che vede le istituzioni come la prima forma di garanzia per lo specismo e l’antropocentrismo, come agenti del nostro annichilimento individuale e di quello di altri individui, e per questo la lotta non entrerà mai in dialogo con chi parla una lingua differente[3].

In questo senso nessun processo di commercializzazione o cooptazione dei consumatori sarà mai capace di trasformare una lotta radicale in una moda, e ancora meno nei prodotti da supermercato e ristorante (poco importa se le imprese sono vegane o no, giacché rifiutiamo il ruolo di consumatori indipindentemente da ciò). È ingenuo pensare che la parola “vegano” esprima l’assenza di crudeltà: Niente è privo di sfruttamento in questa società. Nessun può abbandonare il mondo in cui viviamo. Nemmeno una persona vegan che non compra ai supermercati. Sia se appoggiamo il genocidio che se lottiamo contro di esso. Non ci sono alternative. Nessun può disertare nemmeno attraverso le decisioni attente dei prodotti che compra.

È impossibile rimanere in silenzio, al contrario ci renderemmo complici. È possibile denunciare, ma così facendo non ne siamo ancora uscit. Oltre la denuncia c’è l’attacco contro le persone e le strutture responsabili del genocidio. Sviluppando il concetto etico dal quale parte la lotta antispecista arriviamo ad un conflitto rivoluzionario autentico contro coloro che ci opprimono e dominano[4].

Dobbiamo indirizzare lo sguardo verso un mondo dove non restino nemmeno le macerie di tutti i luoghi di produzione (di tutta la produzione, inclusa la produzione vegana cruelty free), un mondo dove non ci saranno più prodotti eco-friendly (intelligenti, sostenibili, solidali) perché non ci saranno più prodotti.
E questo mondo non è possibile se prima non distruggiamo il mondo in cui siamo adesso.

Ma per questo abbiamo bisogno di ricostruire la dignità della lotta per la liberazione animale e collocarla in una traiettoria rivoluzionaria (Non in senso filosofico ma nel senso delle pratiche radicali), dove le idee e l’azione diretta sono strettamente connesse e diventano il terreno fertile per altre traiettorie di conflittualità permanente.

Se la principale preoccupazione del movimento antispecista è che la sottile linea di separazione che certamente esiste fra il “veganesimo etico” e il “veganesimo alimentare” sia chiara e ovvia, allora i visoni, le pernici, le quaglie, i cinghiali, i fagiani etc dovranno trovare qualche tipo conflitto autonomo o scappare da soli. perché il veganesimo etico è più preoccupato della sua purezza ideologica che dell’azione diretta e la creazione di una cultura di appoggio e diffusione della stessa.
Mononoke (https:\\oscurodeseo.blackblogs.org)

P.S. Se supermercati ed erboristerie offrono una varietà di prodotti senza carne, allora suggeriamo che si rubino.

[1] Non siamo filose ne ci interessano le discussioni intorno al veganesimo; Pensiamo che sia irrilevante per le nostre argomentazioni

[2] A. Bonanno “di quale natura parliamo?”, ED. Anarchismo, 2015

[3] Animal Liberation Gathering 2015

[4] A. Bonanno “di quale natura parliamo?”, ED. Anarchismo, 2015

 

 

Raccolta testi 2016-2020

Raccolta di testi usciti tra il 2016 ed il 2020 sul blog
www.autistici.org/distrozione a cura del “non-collettivo”
dell’etichetta e alcune individualità affini.
Immagine in quarta di copertina disegnata da “Verme” in
solidarietà con le persone colpite dalla repressione per gli
scontri avvenuti a Firenze il 30 Ottobre 2020.
* Considerazioni su SPRAR e HC
* Yes sir, I will
* Al fianco di chi lotta
* Punk & Pandemia
* Intervista con alcun compagn su BLM
* Tuttx liberx, morte ai ricchi
Per scaricare l’opuscolo clicca qui

Tuttx liberx, morte ai ricchi

Guardare alle rivolte di questi tempi con i giusti occhi non è compito facile. Ancor meno facile è il riuscire a farne un’analisi che sia lucida rispetto le motivazioni e le tensioni di chi vi ha partecipato..
La piazza che si è presentata a Torino, così come in altre città, è una piazza piena delle sue contraddizioni, di limiti, priva (o almeno così si suol dire) di contenuti politici… Eppure è innegabile la connotazione di classe. Sia quella attribuita dai giornali alle giovani persone rivoltose (appellandole come le persone delle baenlieue), sia quella che chi era li ha potuto osservare e sentire e che la stessa teppa in qualche modo si rivendica.. Al grido di “ricchi di merda vi è piaciuta la casa in centro!”, al suono delle vetrine di un negozio che si spezzano e crollano, lasciando che un fiume entri a riprendersi ciò che gli è stato sempre negato. Perché come ha giustamente detto un anonimo ragazzo intervistato da una radio locale “io non dico che sia giusto ma se quei pantaloni, che ti dicono che devi assolutamente avere in questa società, tu non potrai mai permetterteli… è normale che te li prendi”. Il giorno dopo l’indignatx cittadinx (e con lxi anche alcunx individualità che di media nei social si dicono “di movimento”) griderà allo scandalo e alla tragedia per qualche coccio di vetro per terra, un po’ di borse rubate e qualche danno collaterale ai dehors dei bar del centro. Qualcunx, come al solito, dirà che spaccare le vetrine è sbagliato perché allontana le persone dalle giuste motivazioni delle manifestazioni. Pochx di questx avranno realmente preso parte alla piazza. Ancor meno saranno mai state in una manifestazione in vita loro. Eppure, dal caldo della loro tastiera e dalla sicurezza del proprio profilo social, da sinistra a destra abbiamo potuto osservare il popolino farsi gonfio d’indignazione per quanto successo. Commercianti e Fascisti del nuovo millennio intanto giocheranno l’arduo ruolo del trapezista e, miracolosamente, cercheranno ancora di cavalcare sia la disapprovazione sociale, sia la rabbia della teppa. La stampa in tutto questo marasma di voci, persone e gruppi non sa più bene dove volgere lo sguardo così decide di buttare tutto in caciare dando un po’ la colpa a chiunque (i noti immigrati fascisti dei centri sociali???) ma stranamente ammettendo che questa volta non si possa assolutamente parlare di una qualche regia in piazza. Non si corre al complottismo mediatico in cui pericolosi anarchicx (anche quando si parla di aree di movimento che poco hanno a che vedere con l’idea anarchica) stanno cercando di fomentare le rivolte ma scrivono, se pur timidamente, che non si sa. che la digos indaga. che gli inquirenti inquerentano… Insomma. Lo stato brancola nel buio. Noi anche.

Tra le cose “evidenti” (a mio avviso ovviamente) c’è una totale assenza di lavoro reale nei quartieri più marginali. Per quanto negli anni vi siano stati differenti collettivi e gruppi che hanno concentrato le loro lotte e le proprie tensioni nei confronti di chi, esclusx dalle politiche sociali di questo paese si è trovatx completamente ai margini. Nonostante anni di lotte, rivolte, picchetti, resistenze, occupazioni e manifestazioni bisogna ammettere che il cosiddetto movimento è rimasto a urlarsi da solo addosso e a crogiolarsi dei risultati ottenuti (ma che non hanno avuto alcun effetto reale)… Intanto (per fortuna) giovani rivoltosx, ignorando totalmente “il movimento” o addirittura schifandolo e pur non essendosi mai affacciate ad una piazza o non avendo mai preso parte ad un “riot” ci supera a sinistra. La polizia non sa come reagire. La piazza esplode nella rabbia di chi è stancx delle scelte di governo, di una vita di stenti, di dover apparire sempre perfettx ed “in tiro”. Si vedono giovani vestitx di tutto punto lanciarsi in grida di gioia mentre corrono contro la polizia in assetto anti-sommossa. Mentre distruggono dehors per costruire barricate, bloccando la polizia in diversi punti e cercando di attaccare ancora. La fiumara di gente non ha né capo, né coda. Non ha un corpo perfetto o una strategia… Persone ben coperte in volto si dirigono in tutte le direzioni, piccoli gruppi si formano e sciolgono in pochi attimi. Quando la polizia carica dietro un angolo la gente fugge veloce ma si ricompatta in diversi punti e attacca ancora. Gli agenti a fine serata sono sfiancati. La piazza non è durata molte ore. Gli sbirri riescono a disperdere i/le manifestanti in diverse vie e la piazza si svuota. Stranamente non partirà questa volta (come spesso accade) una caccia all’uomo da parte di digos e agenti in borghese. Chi quella notte è scesx in piazza riesce ad andarsene più o meno al sicuro girando per le vie del centro. La situazione dopo gli scontri è surreale. Giovani bardatx girano indisturbatx, mentre lontane le forze preposte a mantenere l’ordine osservano impotenti ma meditando forse vendetta.

Nei giorni successivi spunteranno altri appuntamenti. I toni della stampa ovviamente saranno per lo più composti da grida d’allarme. Creando ovviamente un clima di terrore. Immagini di negozianti che impauritx chiudono le proprie attività, mentre la celere e agenti in borghese riempiono le vie dei centri cittadini. Ora che l’ordine costituito si ritrova a dover emanare restrizioni palesemente a favore di padroni e industriali (ma ai danni delle vite di sfruttatx ed esclusx) a colpi di DPCM. Mentre la “classe” dirigente invita alla calma. Le persone impaurite dal clima venutosi a creare disertano le chiamate. O almeno così la stampa vorrebbe venderci la notizia. Vorrebbe dirci che imprenditori e commercianti hanno giustamente manifestato (sventolando bandiere italiane e chiedendo ai propri aguzzini una morte più rapida forse) mentre le individualità criminali che hanno messo in questi giorni a ferro e fuoco le città e le vie del centro sono scomparse. Non una parola su gruppi di giovani che girano per il centro in attesa che qualcosa accada. Niente rispetto Rider che continuano i loro scioperi e manifestazioni. Nulla riguardo chi reclusx nei CPR o nelle galere continua ogni giorno a lottare per la propria sopravvivenza. Mentre lo Stato ci dipinge un immaginario d’obbedienza e restrizioni, mentre i suoi pennivendoli ci descrivono la paura e l’ansia di morire, mentre agenti scandagliano le nostre vite ed i nostri rapporti personali andando ad arrestare molti mesi dopo sia alcunx compagnx in quel di Firenze (per gli scontri avvenuti il 30/10/20) sia diversx giovani accusatx di aver preso parte ai riot di Torino, noi vogliamo ancora ritrovarci nelle strade. Vogliamo ancora urlare di rabbia e vogliamo ancora assaltare il cielo ridendo. Perché alla domanda “se non ora quando” la risposta che più viene istintiva è “sempre!”. Non saremo politicanti in attesa di un tempo maturo e strategie migliori. Saremo vento, saremo tempesta.

intervista con alcun compagn american

“Non c’è nulla di comunitario se non l’illusione di essere insieme”

Qualche tempo fa abbiamo intervistato alcun compagn american sulla situazione che stanno vivendo, sul movimento “black lives matters” e sulle rivolte che stanno attraversando il paese. Non ci perderemo in lunghe introduzioni. Lasceremo lo spazio direttamente a chi ci ha risposto.

 

D:Per iniziare e aiutare chi legge in Italia ti chiediamo di darci una breve contestualizzazione storica dei movimenti di protesta razziali degli ultimi anni negli USA. Come siamo arrivat al movimento BLM e come dopo le rivolte di Ferguson, Baltimora ecc. la situazione è esplosa nelle proteste di oggi?

FB: Il contesto storico del BLM e della ribellione anti-polizia è molto lungo e complesso. Posso solo parlare dalla mia esperienza come anarchico di colore, ma la mia identità razziale non dovrebbe essere rappresentativa degli altri anarchici di colore. Noi (anarchici di colore) condividiamo esperienze diverse e uniche che possono e ci hanno portato a idee diverse di come sia la libertà.

In generale il BLM è iniziato come una risposta radicale alla brutalità perpetua della polizia e agli omicidi che sono rimasti soppressi dalle fonti di notizie principali. Poco dopo il suo inizio il movimento BLM ha iniziato a cambiare, diventando alla fine meno radicale e più riformista. Mentre il BLM come movimento è responsabile di molte proteste e manifestazioni, le divisioni politiche all’interno hanno creato molti problemi. Per esempio, sia a Ferguson che a Baltimora gli attivisti del BLM erano ostili a qualsiasi elemento anticapitalista – arrivando persino a chiamarli “agitatori esterni” o “suprematisti bianchi”. In realtà molti anarchici neri e marroni erano in prima linea in queste ribellioni, ma sono stati delegittimati perché non erano politicamente in linea con le idee riformiste del BLM. In entrambe le ribellioni gli attivisti e gli organizzatori del BLM sono andati alla polizia per reprimere gli elementi “indesiderabili” della rivolta.

Ero personalmente alla spaccatura della ribellione a Minneapolis. Dietro il 3° distretto un alterco verbale tra manifestanti pacifici BLM che proteggevano la polizia e giovani neri e marroni arrabbiati è degenerato in una rissa – che poi ha portato al lancio di mattoni, pietre e altri oggetti contro il distretto, rompendo tutte le finestre. Questa è stata la nascita della ribellione anti-polizia.

Gli stessi attivisti del BLM che stavano proteggendo la stazione di polizia stavano inseguendo le persone e raccogliendo sassi in modo che non ce ne fossero a disposizione delle persone da usare contro la stazione di polizia. Pochi giorni dopo, quando la rivolta anti-polizia è cresciuta fino a saccheggi e incendi, BLM e altre organizzazioni nere hanno iniziato a diffondere miti su tutti i social media che la rivolta è stata iniziata da “suprematisti bianchi” e “agitatori esterni”. Questo è palesemente falso e costruito solo per scoraggiare gli elementi più radicali a partecipare alla ribellione. Per esempio, se sei bianco e ti presenti alla ribellione, sei sottoposto a minacce da parte di “organizzatori” o “leader della comunità” neri, chiamato suprematista bianco e o consegnato alla polizia. Al quinto giorno della ribellione anti-polizia a Minneapolis, l’intensità è diminuita, tutti si chiamano a vicenda suprematisti bianchi, e lentamente la ribellione muore. Questo è successo in tutti gli Stati Uniti, in ogni città.

NY: La cosa importante da capire quando si contestualizza la recente ribellione di George Floyd è comprendere il contesto locale che ha portato ad alcune delle più famose vittorie e sconfitte negli ultimi mesi. Per esempio a Minneapolis, prima che il distretto di polizia fosse assediato e invaso/incendiato, c’era stato un precedente tentativo in un distretto vicino, diversi anni prima, per un altro omicidio della polizia, che aveva impiegato tattiche di assedio e persino bottiglie Molotov. Questa stessa protesta/assedio/tentativo di occupazione è stata anche colpita da nazionalisti bianchi, ma fortunatamente solo ferendo e non causando morti. Una volta che si capisce la storia locale e il contesto in cui queste regioni stanno vivendo, il recente passato e il prossimo futuro vengono più chiaramente alla luce.

Altre aree come Portland, che ha visto alcuni dei più grandi scontri sostenuti nel paese, hanno una lunga storia nel recente passato per quanto riguarda la cultura della protesta. Oltre a questo è importante notare che almeno dagli anni ’80 sia i neo-nazisti che gli anarchici/antifascisti hanno seminato e messo radici nelle comunità del nord-ovest del Pacifico. Queste due basi politiche sono state impegnate in conflitti tra loro per oltre 30 anni. L’attuale clima macro-politico nazionale della ribellione/pandemia/crollo economico ha aggravato il micro clima politico stabilito nel nord-ovest del Pacifico producendo la situazione che vediamo oggi.

 

D: Parlando di “movimenti” spontanei di lotta e protesta, nati per lo più in risposta alla violenza della polizia, pensi che si possa parlare di un processo di strutturazione o di destrutturazione del movimento? In altre parole, pensi che dalle proteste del passato alle rivolte di oggi, possiamo dire che “il movimento”, nel portare avanti le proprie istanze di lotta, si sia strutturato nella sua organizzazione e nelle sue richieste? Possiamo dire che le richieste sono in qualche modo condivise da tutto il movimento BLM o, all’interno delle singole proteste e individualità, ci sono richieste diverse?

FB: Ogni movimento o organizzazione BLM in ogni stato o città è leggermente diverso, ma per lo più hanno la stessa visione riformista dell’organizzazione e del cambiamento. Le differenze sono principalmente tra coloro che si identificano come attivisti BLM e quelli che sono neri ma sono più anti-autoritari e non condividono le stesse visioni del BLM. Come ho detto sopra, queste differenze sono enormi. In altre parole, non tutte le persone nere sostengono il BLM, e il BLM non sostiene tutte le persone nere, in particolare quelle che sono antiautoritarie.

NY: Direi che nel senso politico classico qualsiasi “movimento” unito deve ancora mostrare una piattaforma lucida di richieste o agire in modo chiaramente paterno come rappresentante della ribellione. Ci sono varie organizzazioni non profit, ONG e progetti accademici che parlano di questioni specifiche come l’abolizione delle prigioni, la salute mentale, la prima risposta a questioni più tradizionalmente liberali come l’addestramento o la sensibilizzazione delle forze di polizia.

La “tenda”, se volete, dell’attuale ribellione è abbastanza grande e dispersa, mentre la polizia e gli abolizionisti delle prigioni scendono in strada per un’azione diretta contro gli edifici della polizia e le squadre antisommossa, molti liberali della classe media marceranno separatamente con sceriffi e canti di “protesta pacifica”. Finora la contro-insurrezione tradizionale ha avuto un successo limitato nel limitare le tattiche o nel dividere il consenso tra i sostenitori. A NYC per esempio, dove c’è un sostegno di massa, la maggior parte delle proteste sono pacifiche e consistono in persone che non sono consapevoli o interessate a tentare qualsiasi azione diretta al di fuori della marcia. I liberali pensano, nel peggiore dei casi, che i militanti siano poche mele marce o addirittura agitatori esterni, mentre i militanti vedono le masse liberali a sostegno come copertura della folla/sostegno di massa necessario per portare avanti l’abolizione.

La preesistente e crescente cultura “sveglia” rende anche un tabù sociale piuttosto grande parlare contro la ribellione nella società educata, che penso sia una delle ragioni principali per cui il sostegno alle proteste, indipendentemente dalle tattiche o dalle richieste, è ancora visto abbastanza favorevolmente da gran parte del paese. Come prova aneddotica, per esempio, era molto comune vedere le persone con cui andavi al liceo, che erano i soliti neo-liberali che sostenevano Hillary, “Sono con lei/#resistenza”, iniziare a condividere le citazioni di Angela Davis e dire che sostenevano l’abolizione delle prigioni. Per molti americani, in particolare per i liberali bianchi della classe media, essere visti come “un alleato” è più importante della lealtà politica.

D: Guardando alle proteste passate che si sono diffuse negli USA, (Occupy, no global, lotte ecologiche/indigene ecc. ecc.) si può parlare di una sorta di continuità con i movimenti “passati” oppure, c’è una sorta di scissione e una netta rottura tra ciò che sta accadendo ora e ciò che è accaduto in passato? In Italia, ad esempio, i percorsi di lotta degli anni ’70 sono stati e forse sono ancora un prezioso bagaglio di esperienze e nuove istanze. Queste hanno innegabilmente condizionato le istanze di lotta di oggi, a volte fornendo una fonte di ispirazione e a volte cristallizzandole e paralizzandole. Che peso hanno queste istanze del passato nel vostro contesto specifico?

FB: Molte proteste qui negli Stati Uniti si imitano a vicenda. Mentre personalmente credo che il passato sia un’esperienza da cui vale la pena imparare, sento che può essere anche una nostalgia paralizzante. Per esempio, politicamente molti anarchici hanno cercato disperatamente di ricreare le condizioni della guerra civile spagnola. Ma ciò che manca a questa visione è un’analisi del capitalismo che vada oltre l’antropocentrismo. In altre parole, molti anarchici oggi sono imprigionati da una visione del mondo marxista che vede la liberazione in termini di economia sociale, ma non vede la liberazione della Terra e degli animali non umani. Questo imprigionamento marxista non permette agli anarchici di riconoscere le lotte di liberazione della Terra e degli animali non umani come connesse e vitali per la liberazione umana. Personalmente sento che questa fissazione per la sinistra perpetua solo un ciclo ripetitivo in cui l’anarchia non si avventura mai oltre il fantasma del marxismo. C’è stato anche un certo numero di anarchici indigeni che hanno scritto e sostenuto l’anarchia basata sul concetto di Terra, ma spesso vengono spazzati sotto il tappeto come risultato di questa fissazione per il 1936.

NY: Come ho menzionato nella mia prima risposta, i movimenti preesistenti e le esperienze e conoscenze tramandate sono inestimabili per quelli di noi che hanno a cuore e desiderano coltivare la ribellione. Mentre ideologicamente sono d’accordo che “Puoi uccidere un rivoluzionario ma non puoi uccidere la rivoluzione”. Logisticamente parlando, quando non hai persone con esperienza o infrastrutture consolidate, una resistenza prolungata è molto impegnativa, se non impossibile. Direi che senza dubbio alcune delle più importanti caratteristiche ereditate dal movimento sono l’assistenza legale gratuita per tutti gli arrestati fornita dalla corporazione nazionale degli avvocati (che risale alla terza internazionale) e i medici di strada (che risalgono al movimento dei diritti civili). Ci sono naturalmente tattiche di strada che sono state apprese e tramandate alle nuove generazioni dagli anziani del movimento. Questa è una delle cose più importanti da avere e, come riflesso della brutale storia della repressione politica di sinistra negli Stati Uniti, anche una delle risorse più rare che abbiamo.

D: Supponendo che possiamo parlare di una qualche forma di movimento (anche se vogliamo allontanarci dall’idea di movimento granitico e univoco), come si posizionano gli alleati bianchi all’interno delle proteste?

FB: Applicando i loro punti di vista antiautoritari all’identità e imparando a pensare e ad agire indipendentemente dai ruoli, dalle aspettative e dall’identità socialmente assegnati… Diventando complici di propria iniziativa, non in obbligo verso un “leader della comunità” o perché qualcuno dice che dovrebbero. La solidarietà autentica nasce dal desiderio individuale, non dal senso di colpa. Un movimento è potente, ribelle e antiautoritario solo quanto gli individui che lo compongono. Senza individui ribelli, indipendenti e dotati di potere c’è solo una massa subordinata (movimento) che segue gli ordini in un nuovo governo sostitutivo.

NY: Questa è una domanda complicata poiché c’è stato un acceso dibattito tra i termini/idee di alleati o complici o co-cospiratori. Per dirla brevemente, immagino che gli alleati bianchi seguirebbero idealmente la leadership nera nelle proteste e si relazionerebbero alla protesta come una sorta di “aiuto ai meno fortunati”, mentre per come la vedo io, un complice o un cospiratore lavora attivamente alla propria liberazione e definisce la propria lotta come intersettoriale e riconosce che la nostra liberazione collettiva è necessaria per la liberazione individuale. Per queste ragioni/differenze il termine “alleato” ha un peso diverso in circoli diversi.

D: Abbiamo recentemente tradotto in italiano il testo “Solidarietà rivoluzionaria” che affronta la questione degli alleati bianchi all’interno dei percorsi di lotta razzializzati in America, una sorta di “guida critica” per i bianchi. È un testo che troviamo interessante perché, nonostante il contesto di lotta in Italia sia completamente diverso, qui la maggior parte delle persone razzializzate sono di altri paesi, spesso senza documenti e per lo più in condizioni di vita davvero precarie, ci aiuta ad avviare una discussione collettiva su quale possa essere l’intervento del movimento anarchico italiano, che è composto quasi interamente da bianchi. Come può interagire, ad esempio, con le lotte contro le frontiere, i centri di detenzione per migranti, le lotte dei braccianti, le battaglie per la casa e le occupazioni abusive. Detto questo. Come vengono discussi e trattati, all’interno del BLM, il ruolo e il peso delle voci dei bianchi, in termini di processo decisionale?

FB: Spesso le voci dei bianchi sono messe a tacere o banalizzate all’interno di BLM. E’ mia opinione che il BLM – se è così riformista lì come lo è qui – potrebbe non essere l’opzione migliore per ottenere obiettivi anti-autoritari. Incoraggerei i bianchi a creare connessioni con queste persone senza documenti attraverso la condivisione di risorse e informazioni (zine tabling ecc.) e, soprattutto, su base individuale. Tenete a mente che quando qualsiasi movimento si avvicina a persone che vivono in queste condizioni, questo appare come un lavoro di carità, il che è scoraggiante. Ciò che ha funzionato meglio con me e con altri anarchici di colore (e bianchi!) che conosco è il metodo della “Propaganda col fatto” che può essere facilmente replicata dalla maggior parte delle persone. Un’altra cosa molto importante da ricordare è che solo perché qualcuno è povero o nero non significa che sottoscriverà le idee dell’anarchismo. Molte persone nel mio quartiere erano pro-capitalismo e a volte è così che va. Questo è il motivo per cui è importante vivere l’anarchia come vita, non come un’organizzazione, e coloro che la trovano collegabile alle loro idee si legheranno a voi per conto loro.

NY: Direi che per prima cosa sarebbe molto importante normalizzare e divulgare (nella cultura mainstream o nella sottocultura anarchica) una buona analisi e storia delle politiche razziali in Italia. Una delle cose peggiori che ho visto nelle interpretazioni straniere dell’analisi razziale americana è in posti come il Regno Unito dove strumenti più o meno sociali che sono usati per elevare/tentare di risolvere la questione molto oscura della razza in America sono importati in una cultura/contesto che non condivide lo stesso contesto o storia post coloniale.

Questo non vuol dire, naturalmente, che non si possa imparare dalle nostre prove e tribolazioni, ma sarei molto stanco, per esempio, di attaccare la stessa definizione o concetto di bianchezza all’Europa dall’America. Ovviamente la supremazia bianca è un prodotto originario dell’Europa e non voglio dire che non ci siano problemi di razzismo in Europa. Ma penso che sia più importante capire come la vostra cultura si riferisce specificamente alle questioni di razza, ricchezza, potere, sociologia, ecc.

Direi che solo una volta che si decostruisce la cultura fino al punto in cui si può vedere chiaramente la supremazia bianca, si può iniziare a rimuoverla sistematicamente dalle realtà politiche dei movimenti.

Direi che per quanto riguarda i bianchi nel BLM non è o non dovrebbe essere una cosa come le persone bianche possano aiutare a guidare e definire l’abolizione della polizia o molte delle altre questioni a cui la ribellione è una risposta, ma il BLM è esplicitamente un marchio per le persone nere da guidare e definire insieme alle famiglie dei morti, ecc.

D: L’opuscolo Solidarietà Rivoluzionaria parla anche in dettaglio della complessa differenziazione tra un alleato e un complice. All’interno del testo viene evidenziato come le gerarchie e le strutture di potere siano spesso replicate da coloro che si identificano come alleati. Questo, sempre all’interno del testo, viene attribuito a una maggiore superficialità nelle relazioni tra alleati e “attori principali” all’interno delle comunità emarginate, che non permette di approfondire le istanze di lotta e quindi di comprenderle e di diventare complici di una lotta comune. Qual è la situazione oggi rispetto a questo punto?

FB: La situazione oggi rispetto a questo punto è questa: Negli Stati Uniti se sei bianco, i liberali neri si aspettano che tu segua la loro visione (filo-statalista e filo-capitalista). Se non lo fai, sei considerato un razzista/non-alleato. La maggior parte dei bianchi ha ragionevolmente paura di essere chiamata “razzista” su internet. Così la maggior parte dei bianchi si sottomette a questa visione liberale. Questo è precisamente il motivo per cui la zine “Another Word for White Ally is Coward” è stata scritta – per criticare questa sottomissione. Quello che incoraggio i bianchi a fare è pensare in modo indipendente, mettere in discussione ogni autorità e avvicinarsi agli altri per affinità politica, non per identità.

NY: Penso di aver già risposto sopra, ma sì, più o meno alleato è un termine usato da persone che sono più associate alla cultura mainstream e alle credenze politiche, mentre un complice è più legato all’azione per raggiungere la liberazione reciproca.

D: Sempre parlando delle differenze all’interno del movimento BLM, come si relazionano le altre lotte preesistenti (come la lotta queer, o la lotta anti-carcere) ad esso, e per estensione, le une alle altre? C’è un dibattito più ampio che tocca diverse istanze? Altre minoranze trovano spazio e voce all’interno del movimento?

FB: All’interno del movimento BLM nello specifico, non necessariamente. Mentre sono sicuro che ci sono alcuni gruppi BLM che tentano di collegare queste lotte, ci sono stati molti casi in cui gli organizzatori del BLM hanno interrotto ogni discorso su altri movimenti – includendo ma non limitandosi a casi in cui altre lotte sono state dolorosamente banalizzate. Recentemente una persona di colore ha fatto un post terribile su come Anna Frank fosse privilegiata perché non era nera. Per quanto riguarda queste persone che trovano affinità all’interno della ribellione anti-polizia, tutti sono i benvenuti, come ognuno ritiene opportuno!

NY: Il dialogo nazionale o almeno come viene rappresentato in tv o dai media è abbastanza unidimensionale al punto che l’abolizione della polizia come idea popolare e centrale di molte proteste viene davvero messa da parte. Così, per esempio, il fatto che molte donne nere trans muoiano in prigione ad un tasso più alto di chiunque altro non è realmente discusso nel dialogo nazionale. Ovviamente sul campo la situazione è molto diversa con il modo in cui le notizie sul movimento coprono gli sviluppi delle proteste, dato che la maggior parte di coloro che portano avanti la lotta sono organizzatori o militanti provenienti da alcuni dei contesti più oppressi. Questo non può essere negato. Ma purtroppo per il momento la coscienza nazionale consentita ha un focus molto ristretto.

D: Inoltre, particolarmente pertinente alla situazione italiana, c’è un dialogo con le minoranze razziali senza documenti e uno spazio per l’espressione dei loro casi e richieste specifiche all’interno del BLM? Se sì, la loro particolare vulnerabilità legale è affrontata nei momenti delle azioni di strada?

FB: Personalmente non sono a conoscenza di niente del genere qui nel BLM. In generale, penso che le voci delle persone siano riconosciute e ascoltate bene all’interno della ribellione anti-polizia. Persone di ogni colore, forma e provenienza si sono ribellate insieme nelle strade contro il capitalismo e lo stato.

NY: La vulnerabilità legale è una presenza costante, ma dipende molto dallo status e dal luogo. Ci sono molti gruppi che lavorano per affrontare la pulizia etnica in corso dei popoli dell’America centrale e meridionale, attualmente in America e hanno da tempo collegato la loro lotta a quella di BLM e all’abolizione delle prigioni. La campagna “Abolisci l’ICE” credo sia stata fondamentale per preparare/utilizzare l’idea di abolizione da parte degli americani, così che ora possiamo parlarne in relazione alla polizia e alle prigioni.

D: Arrivando alla questione organizzativa. Dato che stiamo parlando di un movimento spontaneo e di massa con numeri molto alti, come può un numero così grande di persone riuscire a coordinarsi al di fuori dei momenti legati allo scendere direttamente in piazza? Ci sono momenti di decisione, orizzontali e di libera partecipazione? Come vengono prese le decisioni? E, soprattutto, come si relazionano le diverse pratiche e visioni su come agire nelle strade?

FB: Questa è una cosa molto complicata. Nella mia esperienza, il BLM non permette la diversità tattica. Come detto prima, il BLM negli Stati Uniti è molto pro-statalista e riformista – sono orgogliosi della loro immagine di proteste pacifiche senza battaglie di strada. Sono stato in 3 diverse città dove ogni gruppo BLM ha richiesto ai bianchi di consegnare i loro zaini per essere perquisiti dai loro “leader” per assicurare che non ci siano rivolte. Se sei un anti-autoritario e desideri fare qualcosa di più che marciare e cantare, il movimento BLM potrebbe non essere l’opzione migliore per te. Molte persone di colore hanno lasciato questi gruppi perché non erano soddisfatte del semplice marciare e cantare. Per quanto riguarda la ribellione anti-polizia, sono stati usati tutti i diversi tipi di tattiche. È bellissimo. Poiché la ribellione anti-polizia non è un movimento formalmente organizzato, permette la piena fioritura del potenziale creativo. Da incendi di cassonetti, attacchi a stazioni di polizia, imprese incendiate, condivisione di cibo… tutto è possibile!

NY: La risposta cambia in ogni contesto locale, quindi è difficile da dire. Come già detto, non c’è una voce nazionale coerente per le richieste o le decisioni. Tutto ciò dipende dalla quantità e dal tipo di organizzazione politica che è avvenuta in qualsiasi contesto fino a quel momento.

D: Abbiamo potuto vedere che durante le manifestazioni e gli scontri le diverse visioni e pratiche sembravano raccogliere una forma di “rispetto reciproco”, con momenti di rottura violenta e resistenza pacifica che riuscivano a condividere le strade. D’altra parte, abbiamo visto come con l’avanzare delle proteste si sia creata una dicotomia tra “manifestanti interni al movimento” e altri soggetti, identificati dai media come “provocatori esterni”. Questo, a nostro avviso, sembra essere un modo per dividere nettamente buoni e cattivi e per indebolire le istanze di lotta creando fronti opposti all’interno del movimento. Come si relazionano, rispetto a questa situazione, le persone all’interno del movimento? Come si relazionano le diverse pratiche di lotta (dalle rivolte ai saccheggi, alle proteste pacifiche e alla disobbedienza civile) nelle strade e nei momenti di discussione e organizzazione?

FB: A volte i manifestanti pacifici legano con i rivoltosi e i saccheggiatori (per esempio a Minneapolis abbiamo saccheggiato protezioni per gli occhi e acqua per i manifestanti pacifici seduti in strada). Altre volte i manifestanti pacifici spengono gli incendi, prendono i sassi dalle mani della gente, avvisano la polizia sui saccheggiatori o combattono fisicamente gli elementi più “violenti” della rivolta. “Provocatori esterni” o “Agitatori esterni” è stato costruito dal BLM liberale e da altri manifestanti pacifici neri come un modo per 1) scoraggiare i bianchi dall’unirsi ai rivoltosi neri e 2) per convincere la popolazione della narrativa liberale che la gente nera è “innocente” e “vittima” e non si impegnerebbe mai in atti criminali. La realtà è che la ribellione di George Floyd è stata iniziata a Minneapolis da giovani neri e marroni arrabbiati che sentivano che marciare e cantare non era abbastanza per vendicare la sua morte. Giovani neri e marroni hanno appiccato incendi perché niente dice “vaffanculo” come dare fuoco a una stazione di polizia. Giovani neri e marroni hanno saccheggiato perché era un’opportunità per fare soldi dopo anni di povertà. Ogni volta che i liberali di qualsiasi colore dicono che è stato tutto iniziato dai suprematisti bianchi, siamo cancellati dalla storia insieme al coraggio che ci è voluto per fare quello che abbiamo fatto.

NY: Penso di aver più o meno risposto a questo sopra, ma sarei d’accordo che le tattiche di contro-insurrezione che il governo sta usando recentemente sono molto ovvie e non hanno funzionato al di fuori di togliere un po’ di mordente alle proteste dal punto di vista della situazione, mentre non ha ancora influenzato i numeri complessivi o il sostegno pubblico

D: All’interno del movimento BLM ci sono momenti in cui gruppi con esigenze o orizzonti diversi possono organizzarsi insieme? Per spiegare meglio e contestualizzare. In Italia, i diversi percorsi di lotta sono per lo più seguiti da specifiche aree di movimento (anarchici, comunisti, ecc. ecc.) senza che, salvo casi di lotta popolare/difesa del territorio (NoTav o simili), queste aree di movimento si interfaccino tra loro per formare un vero impegno o coordinamento. Come si interfacciano, ad esempio (tra i tanti esempi possibili) le istanze della lotta Queer, le lotte contro le frontiere, le occupazioni di case o qualsiasi altra forma di organizzazione con il movimento BLM? E come trovano spazio e confronto all’interno di questo? Come si relazionano le diverse ideologie e pratiche politiche?

FB: A volte lavorano insieme, e in altre città e luoghi non lo fanno. Personalmente non ho visto molta collaborazione o coordinamento tra questi movimenti. Come per il BLM, la lotta Queer non è omogenea qui – ci sono molte divisioni all’interno basate su visioni di liberazione pro-autoritarie e anti-autoritarie.

NY: Ci sono molte realtà diverse, ma direi che i più importanti sono i movimenti che sono già affermati nel tentativo di cambiamento materiale. Che siano anarchici o solo organizzazioni basate sulla comunità, se c’è un forte movimento queer in una città, le proteste lì probabilmente si riferiscono più alla prospettiva queer, ma questo può essere scambiato con qualsiasi aspetto o problema specifico.

D: Come, in questo momento, all’interno di un movimento davvero eterogeneo e ampio, i diversi gruppi, come i piccoli gruppi di affinità più propensi all’azione diretta, hanno la possibilità di identificare i loro nemici e decidere liberamente come colpirli senza travalicare gli obiettivi e le strategie del movimento “più ampio”? Come si rapportano le persone “esterne” a questi piccoli gruppi (se esistono) all’azione diretta e al sabotaggio?

FB: Questa è una buona domanda perché negli ultimi anni, dato che i movimenti diventano sempre più conflittuali al loro interno, sempre più anarchici si sono staccati dal movimento più ampio per perseguire l’anarchia e la ribellione nella loro vita quotidiana. Questa anarchia individualista permette un maggiore potenziale di ribellione perché è meno probabile che si distragga con il dramma sociale che è così dilagante all’interno del “movimento”. Per esempio, invece delle attività in superficie, alcuni anarchici sono ora coinvolti in attività clandestine, strutturate in cellule, che attaccano il capitalismo e lo stato dal basso piuttosto che nelle strade. Mentre molti considerano questo “lifestylism” e lo disapprovano, io lo considero più gioioso e molto più efficace in termini di organizzazione di massa vs insurrezione basata su gruppi di affinità.

NY: Penso che la fiducia/ambizione in relazione alle dimensioni dell’obiettivo sia il fattore primario. In alcune città dove non c’è molto movimento o supporto, forse ci saranno scritte o piccoli sabotaggi, ma in città con una storia definita di tali atti, gruppi di affinità con bombe incendiarie preconfezionate distruggono i distretti di polizia. Dipende davvero dalla situazione localizzata della regione. Per esempio un membro di “antifa” che scaccia un sostenitore di Trump per autodifesa nella Carolina del Sud susciterebbe una risposta molto diversa a livello nazionale rispetto a quando accade a Portland.

Ma siccome questa è l’America, non credo che l’idea di “esagerare” quando si tratta di colpire dei bersagli non sia davvero qualcosa che facciamo. Finché nessuno fa niente di così spaventoso come quello che Fox News dice che vogliamo fare, sarebbe molto difficile peggiorare le cose attraverso l’azione in questo momento. Secondo me.

D: Passando a ragionare su quello che è un percorso “normale” di crescita rivoluzionaria e insurrezionale all’interno dell’evoluzione di questa lotta. Come, all’interno delle istanze e delle tattiche del movimento BLM, queste si sono evolute? Volendo fare un confronto forse forzato con altre lotte in altre latitudini, abbiamo potuto valutare (secondo noi) come questi percorsi nel tempo e per le difficoltà affrontate abbiano “affinato” i propri obiettivi, le proprie pratiche e le proprie differenze. Puoi darci un’idea di come questo “processo rivoluzionario” si stia manifestando nelle proteste di oggi in America? Inoltre, visto che stiamo parlando di un percorso ampio e in evoluzione, ci sono delle riflessioni (più o meno collettive) sulle prospettive del momento che possiamo definire “post” l’attuale disordine nelle strade? Spesso, dopo lunghi momenti di rivolta di strada, abbiamo potuto vedere come alcune pratiche diventino lentamente meno rilevanti (sia a causa della falsificazione dei media, della stanchezza nel movimento, della repressione). C’è una conversazione in questo momento rispetto a quello che potrebbe essere il futuro dell’organizzazione collettiva? Come continuare la lotta affrontando le diverse difficoltà che si possono incontrare, come la stanchezza o la perdita di entusiasmo nelle strade?

FB: Nella mia esperienza, sembra che ci sia molto “burn-out” nell’organizzazione collettiva. Io stesso ho fatto parte di 3 diversi collettivi e sono stato attivamente impegnato nell’organizzazione nel mio quartiere per anni. Anche se non direi che mi sono “bruciato”, posso onestamente dire che ho sperimentato una certa delusione durante quel periodo. La “comunità” o il mio quartiere non è un gruppo monolitico di persone. Mi sono reso conto di questo anno dopo anno, quando alcune persone erano
in una prospettiva radicale, ma molti non lo erano. Piuttosto che passare tanto tempo a cercare di organizzare gli altri, ho trovato il potere nell’organizzare me stesso e nell’esplorare la ribellione da una prospettiva individualista. Mentre distribuisco ancora zine con la mia distro (Warzone Distro), mi sono reso conto che le persone diventano ribelli per loro desiderio individuale – non necessariamente venendo organizzate da altri. Conosco molti altri anarchici che si sentono allo stesso modo e vivono vite simili. Alcuni viaggiano e vivono come clandestini mentre altri vivono come insorti che pianificano e attaccano sempre. Molti non marciano più per le strade o si organizzano come hanno fatto nel 2010 ecc.

NY: Purtroppo penso che tutti abbiano più o meno lo stesso dilemma di essere più o meno tenuti in ostaggio dalla corsa dei cavalli di un anno di elezioni presidenziali. Il processo rivoluzionario che verrà scelto dipenderà da chi è seduto in cima. Sono sicuro che il vostro lettore medio può capire chiaramente il diverso livello di intensità che ogni amministrazione garantirebbe.

Quindi più o meno aspettiamo e vediamo.

D: Andando quindi a concludere questa lunghissima intervista con una domanda più ampia, vorremmo chiedervi quali sono effettivamente, secondo voi, le prospettive rivoluzionarie anticapitaliste che si stanno lentamente trovando all’interno degli obiettivi e delle pratiche del movimento BLM?

FB: Direi che la rabbia nel movimento BLM è una prospettiva preziosa e rivoluzionaria. Anche se spesso non è abbastanza forte, c’è una rabbia che ispira la gente a scendere in piazza. L’unica domanda è: questa rabbia sarà incanalata in meschine riforme legislative? O si libererà dalle catene del liberalismo ed esploderà come una bomba contro l’addomesticamento della legge e dell’ordine civilizzato? Per ogni liberale nero che chiede obbedienza pacifica ai bianchi, c’è un anarchico nero che si ribella insieme ai complici bianchi.

NY: Questo sarà considerato storicamente come il momento in cui la Gen-Z ha assaggiato il sangue per la prima volta e ho la certezza che saranno 10 volte più militanti della generazione precedente. Penso che questa sia più o meno una prova generale e sembra che tutti stiano colpendo i loro bersagli e onestamente stanno facendo un lavoro molto migliore di quanto questo vecchio anarchico stanco possa pensare. Hanno già interiorizzato la mancanza di speranza della situazione così com’è e credo che loro (come generazione) saranno sulle barricate finché non moriranno o non raggiungeranno la vittoria e il sistema cadrà.

Punk&Pandemia

UN ALTRO MONDO E’ IMPOSSIBILE
Limiti del DIY in tempi pandemici

Sono passati solo 4 mesi dall’esplosione ufficiale del virus che ha scosso il mondo, troppo pochi per poter tirare le fila su cosa ha portato e cosa porterà.
Eppure questa catastrofe può essere da spunto per riflessioni per troppo tempo rimandate in nome dell’abitudine alla sopravvivenza.
Se la normalità era il problema in cui non vogliamo più tornare, se non è solo un mero slogan, dobbiamo capire se forse anche noi stessx alimentiamo quella condizione, ed è importante quindi tornare a porci una domanda fondamentale: cos’è l’autogestione?
Alla proclamazione del lockdown centri sociali e squat hanno chiuso i battenti, adeguandosi alle misure di prevenzione decise dallo Stato: una scelta di responsabilità collettiva condivisibile, come è condivisibile tanto la scelta di distro come la nostra di sospendere le spedizioni di supporti fonografici quanto quella di continuare la propria attività in generale.
Tutto giusto, eppure qualcosa non torna: lo Stato decide arbitrariamente di chiudere qualcosa e di riaprirlo dopo un mese, noi ci adeguiamo e anzi molto probabilmente ci adegueremo a ricominciare a fare concerti quando lo Stato lo deciderà.
Questo perchè siamo pavidx, siamo servx, siamo fake? Non crediamo sia interessante autoflagellarci dicendo questo genere di cose, nè mostrare i muscoli virtuali dicendo “siamo anarchicx dovevamo fare (e faremo) quel che ci pare”, ma individuare un grosso limite del mondo delle autogestioni, che è l’incapacità di dotarsi dei mezzi per rispondere a modo nostro a un’evidente crisi epidemica.
Certo, il come e quali strumenti cui dotarsi è un’incognita, eppure è molto importante cominciare a farsi questo domande, pena subire per sempre la subalternità alle istituzioni.

L’autogestione e il suo mercato, le autoproduzioni, sono state per tanto tempo un’isola felice perchè permettevano a tuttx noi di esprimere la nostra creatività e le nostre passioni nelle maniere più “libere” possibili, ma questi tempi ci hanno dimostrato che le isole felici, gli spazi “liberati”, le zone di autonomia temporanee o meno che siano non bastano a se’ stesse, e che il DIY or DIE è uno slogan che molto spesso indica una consequenzialità piuttosto che un bivio.

In questi mesi lo Stato Italiano ha mostrato le proprie incapacità e i propri interessi vietando qualsivoglia forma di assembramento che non fosse strettamente legata alla produzione, al consumo e al capitale. Nessuno spazio per il nostro sentire. Nessuno spazio per la protesta.

In questi mesi, se pur a fatica, abbiamo visto susseguirsi diversi momenti di piazza, alcuni chiamati pubblicamente, altri sorti spontanei, altri organizzati sotto voce. Se a qualcosa abbiamo partecipato, molto altro lo abbiamo lasciato perdere. Ma non è questo il punto di questo scritto. Non vogliamo fare un’analisi spicciola sulla rivolta ai tempi della pandemia ma piuttosto porre alcune domande sperando di dare il là ad una serie di discussioni che riteniamo vadano fatte.
A quando il primo concerto? come lo faremo? torneremo a pogare sudatx fianco a fianco o staremo fermx a osservare chi suona?
Attenderemo che lo Stato ci dica che possiamo assembrarci (nel rispetto della vita altrui e consci del pericolo di contagiarci?) o cercheremo ancora una volta di riprenderci le nostre vite… la nostra normalità? ma è questo quello a cui aneliamo?
Non vogliamo tornare ai concerti pubblicati sui social. Non vogliamo tornare ad eventi ludici totalmente privi di critica e discussione. Vogliamo (o vorremmo) creare qualcosa che vada al di là di ciò che è lecito e consentito.
Non abbiamo risposte o ricette per il chaos. Non possiamo (ne vogliamo) dire quale sarà la pratica “più giusta” o “più conflittuale” ma andiamo cercandola.
Non abbiamo neanche una vera e propria proposta, ne stiamo qui dicendo che bisogna far finta che questa pandemia non esista. Diciamo invece che vorremmo discutere della nostra socialità, dei nostri spazi, del nostro tempo e di come prendere il controllo delle nostre vite e non lasciare più allo Stato la delega di quando e cosa possiamo fare.

In questi, pochi, mesi, alcunx di noi hanno continuato (o almeno hanno provato) a mantenere una qualche forma di socialità collettiva. Chiaramente prendendo i dovuti accorgimenti sul rispetto reciproco e le necessità (di salute fisica, morale e mentale) di ognunx di noi. Avremmo voluto discutere maggiormente (e forse avremmo dovuto) di come, in quanto anarchicx, possiamo organizzarci ancora per riprenderci spazi di gioia, festa e conflitto.
Ci piacerebbe che da questi punti ora accennati partisse una discussione anche pratica, perché il concetto di autogestione per come lo abbiamo conosciuto ha mostrato le sue corde, è forse il momento di tornare alle sue origini o di superarlo? Possiamo accettare di attendere ancora finché qualcunx ci dirà che possiamo tornare a urlare sotto palco o ci metteremo ad urlar di rabbia contro questo esistente una volta per tutte?
Quando abbiamo iniziato quest’avventura (ormai 15 anni fa) eravamo sicuramente più incuranti delle conseguenze delle nostre azioni e se poi andiamo a guardare i nostri comportamenti durante le serate forse forse ci salta all’occhio un dubbio… E le altre malattie? e la miriade di tossine che ingeriamo volentieri durante le serate? contano meno perché meno evidenti? Oppure dobbiamo tristemente ammettere che anche noi siamo vittime della narrazione dello Stato rispetto i tempi che viviamo?
Il giro punk non è noto certo per essere salutista. Anzi! eppure pare che questo virus ci abbia fatto scoprire l’acqua calda… se non prendi le dovute precauzioni contro le malattie, muori. Sarà forse stato il sistema sanitario (a pezzi e mal finanziato) che ci ha portatx tutti e tutte al “rispetto” della situazione pandemica e quindi all’autolimitarci? Oppure la paura della canea mediatica o di perdere gli spazi occupati (come se non fossero tutti a rischio ogni giorno, come se rispettare queste disposizioni possa salvarci)? Negli anni il movimento punk, in particolar modo quella fetta di movimento punk ancora anarchico, ha portato avanti istanze di lotta, solidarietà, mutuo appoggio e autogestione. Consci che tutto ciò era ben oltre il limite del consentito. Oltre la mera legalità.

Non vogliamo ovviamente dire né in questa, né in altre sedi al momento che bisogna dunque “tornare alla normalità”, a diffondere le nostre vite sulla rete come niente fosse, ad ammassarci senza alcun riguardo delle altrui necessità e tensioni ma anzi, vorremo iniziare a discutere e a ragionare insieme sul da farsi. Su cosa voglia dire autogestione delle proprie vite e non solo delle proprie serate. L’autogestione non è (a nostro parere) meramente venire a consumare dentro uno spazio “liberato”, deve voler dire molto più di questo se vuol sopravvivere a questi tempi e a quelli futuri. Possiamo immaginare serate in cui la cura delle persone è importante e necessaria per tutti e tutte? Possiamo trovare dei nuovi modi di organizzarci che escano una volta per tutte da sistemi di cui noi non abbiamo alcun controllo?

L’informalità è stata, ed è tutt’oggi, una parte fondamentale del movimento punk anarchico. Dalla necessità di occupare spazi, per vivere, per organizzarsi, per suonare. Allo scendere in strada. colme di rabbia contro l’esistente. Un organizzazione avulsa a metodi formali e che scimmiottano la burocrazia. Che muta forma e metodo in base alle necessità. Che si denuda di ideologie e si compone di idee, schegge impazzite che si diramano nelle città, nelle piazze, nelle strade.

La rete, social per lo più o per come la intendiamo quest’oggi, è un insieme di pagine “in chiaro” contenenti buona parte delle informazioni su di noi e sulla nostra rete amicale (e non solo). Ci sono criticità evidenti sul modo in cui ci si relaziona attraverso la sempre più presente tecnologia. Le discussioni (e le conversazioni in genere) sono rilegate per buona parte a messaggi asincroni che pretendono sincronia.. E questo è solo una delle molteplici criticità da fare su questo strumento.
Tutto ciò va anche a discapito di discussioni reali, dell’organizzarsi insieme e delle nostre stesse vite. Ovviamente è innegabile la possibilità di poter discutere pur trovandosi a chilometri di distanza, il poter condividere quasi in tempo reale aggiornamenti ed altro ancora… Non ci basta questo per sorvolare alle criticità di questo strumento. Ci risulta evidente ad un primo sguardo come la possibilità di ottenere qualsiasi tipo di informazione o nozione attraverso apparati tecnologici ci abbia privato di una necessità primaria. L’incontrarsi. Gioia e giubilio per chi, tra noi inclusx, è poco avvezzx alle relazioni sociali ma se guardiamo a questa dinamica al di là delle semplici serate non possiamo che pensare a quanto ora sia necessario ragionare collettivamente su cosa voglia dire autogestione e su come al di là delle semplici parole possiamo prendere il controllo delle nostre vite e aver cura di chi c’è vicinx.

Durante i primi giorni della pandemia ci siamo chiestx spesso: come poter fare le cose che ci piacciono riuscendo a creare un’ambiente sicuro?
Amaramente ci siamo risposte che in realtà ciò che dovremmo fare per evitare la diffusione del virus è ciò che avremmo dovuto fare sempre: rispettare le distanze e toccarci solo previo consenso altrui, avere cura delle persone ritenute “più deboli” nonchè dimenticate dalla società presente (immunodepresse, con malattie croniche ecc), rispettare i timori di ognunx.
Queste cose, ovviamente, non le abbiamo mai fatte e c’è il rischio che anche quando e se l’epidemia finirà continueremo a ignorarle; del resto è più facile pogare sudatx cercando di mettere le mani addosso senza consenso alla persona che troviamo sessualmente stimolante e rendere inagibile lo spazio che viviamo per persone che hanno problematiche fisiche e/o mentali piuttosto che ripensare in maniera profonda al nostro modo di vivere la socialità.
Del resto è più semplice simulare i momenti conviviali offerti dal capitale piuttoste che operare un radicale cambiamento nel nostro modo di porci rischiando di risultare “noiosx”.
Peccato che tutta la vita nel mondo delle merci è noiosa, e allora forse quello che dovremmo fare, la possibilità che ci viene messa sul piatto da una spaventosa epidemia, è quella di smettere di pensare al nostro concertino come il momento in cui mettiamo in pausa la nostra vita in quel mondo ma come invece quello che lo ribalta. Potremmo immaginarci concerti in cui la vita realmente vissuta è così radicale da non finire mai, o finire con lo schianto della polizia che tenta di sgomberarci, non con noi ubriachx che mestamente torniamo alle nostre macchine, le nostre case, il nostro lavoro.
Ora è il momento, domani sarà già troppo tardi.

Al fianco di chi lotta

In questi giorni di coprifuoco ed epidemie, molte e molti di noi sono costrettx a stare a casa, oppure a lavorare rischiando di ammalarsi. Il resto delle nostre vite, compresi gli spazi di socialità, conoscenza, aggregazione e organizzazione ci è precluso. Barattiamo, più o meno volentieri, pezzi della nostra libertà per la sicurezza di tuttx.
Altre persone, ancora, sono recluse nelle carceri, veri e propri focolai del virus, oltre che luoghi di tortura, privazione e morte. Li hanno dato vita a una lunga serie di rivolte, che tutt’oggi continuano, per reclamare con forza la propria esistenza.
In questo momento, essendo impossibile organizzare benefit, concerti e discussioni, siamo costrettx a concentrarci su strumenti online per continuare a sostenere compagne e compagni rinchiusx nelle carceri.
Quindi che voi siate a casa o che voi siate al lavoro quello che potete fare è, tra le altre cose,  acquistare su bandcamp le copie digitali delle nostre coproduzioni e delle nostre compilation, tutti i proventi che non coprono le spese arretrate saranno dati, come sempre, a compagne e compagni reclusx e in lotta.

distrozione.bandcamp.com

La scelta di non effettuare spedizioni fino a che la pandemia non sarà stata arginata è una scelta prettamente politica. Siamo profondamente convintx che le misure adottate dallo Stato per far fronte all’emergenza sanitaria non siano adeguate, siano misure per così dire di facciata, che dimostrano ancora una volta e ora più che mai, quali sono i primari interessi dello Stato e quali sono le logiche che sottendono alle sue scelte.

Abbiamo fin dall’inizio diffidato dell’efficacia reale dei provvedimenti e ci siamo fin da subito interrogatx se essi fossero un duro ma necessario prezzo da pagare per impedire la diffusione del coronavirus, o se al contrario essi fossero inadeguati alla tutela della salute pubblica da una parte, e se non avessero troppi effetti collaterali dall’altra.

Ora, senza la pretesa di avere l’ultima parola o la soluzione in tasca, possiamo dire che i nostri dubbi erano fondati.
Ci appare chiaro come gli interessi economici tutelati da Confindustria e non la salute delle persone siano riconosciuti legittimi e prioritari dal Governo. Solamente i settori essenziali (agro-alimentare, farmaceutico, sanitario e socio-assistenziale) dovrebbero proseguire l’attività; al contrario scopriamo, senza stupirci, che il DPCM del 22 marzo (nello specifico lettera D, comma 1, articolo 1) evita di nominare tutte quelle attività che, fornendo beni e servizi strumentali utili al funzionamento delle attività fondamentali e dunque protette, possono continuare la produzione. Questo allargamento delle maglie, che esonera interi comparti dall’applicazione del Decreto, viene invece demandato a una comunicazione al Prefetto, attraverso una sorta di autocertificazione delle imprese, determinando di fatto una «liberalizzazione completa di tutte le attività economiche-produttive». In attesa della risposta prefettizia l’attività può proseguire indisturbata la produzione, e nel caso avesse dichiarato il falso, non subirebbe alcuna ripercussione o sanzionamento.

E’ chiaro che se l’industria non essenziale (ricordiamo ad esempio che lo stabilimento di Leonardo che fabbrica gli F35, non molto utili per far fronte ad un’epidemia, rimane aperto e operativo) non accenna a fermarsi, esponendo al rischio contagio lavoratori e lavoratrici e le loro famiglie. Militarizzare i quartieri e terrorizzare la popolazione con dispositivi di controllo sociale sempre più raffinati e pervasivi non è un buon modo per arrestare morti e contagi.

L’eccessiva responsabilizzazione degli individui non solo fa perdere di vista i problemi sistematici che questa crisi fa emergere in maniera lampante, non solo si sta dimostrando inefficace nell’arginare la crisi sanitaria, ma ha degli “effetti collaterali” devastanti sulla salute, intesa in senso lato, delle persone. Le oppressioni sistematiche che affliggono intere categorie sociali in questo momento si acuiscono più che mai; ne citiamo qui solamente alcune, lasciando ad altre sedi l’analisi approfondita di ciascuna di esse: sono centinaia le chiamate che i centri antiviolenza ricevono da parte di donne costrette a condividere lo spazio con loro aggressore, i casi di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) sono decuplicati nel corso delle prime due settimane di quarantena, le persone senzatetto e senza fissa dimora vengono sanzionate per non avere una casa.
Le retate nei quartieri popolari aumentano in numero e violenza, e spesso sono dirette verso le persone meno abbienti e costrette a vivere in bugigattoli poco salubri.
“Per contenere il covid-19” le soggettività migranti vengono rinchiuse in campi come quelli bosniaci privi di acqua e luce, o nei CPR dove non vengono garantite loro le minime precauzioni sanitarie; contro le stesse inumane condizioni i reclusi e le recluse si rivoltano all’interno delle carceri ma le loro grida vengono silenziate da un’ulteriore stretta repressiva: l’amnistia paventata con il decreto svuotacerceri sembra non interessi più chi i decreti li emana e li firma.
Infine ricordiamo l’efficacissima misura del Governo a sostegno di lavoratori e lavoratrici precari.e: 600 euro che si accaparra chi ha il dito più lesto e la connessione internet migliore: il clickday è un provvedimento non universalistico che non fa altro che acuire le discriminazioni di classe. Chi lavora in nero, con partita IVA, chi lavora nello spettacolo, nella ristorazione, non percepisce alcuno stipendio e, al di fuori dei 600 euro, nessun reddito: non dobbiamo né stupirci né militarizzare i supermercati se questi vengono assaltati da chi, non venendo pagatx, non può pagare.
Una di queste categorie a cui non è consentito fermarsi e la cui salute è considerata sacrificabile è quella dei fattorini. Speriamo di essere statx abbastanza chiarx nello spiegare le ragioni politiche dietro la scelta di sospendere momentaneamente le consegne.

Ripetiamo che i volti dell’oppressione capitalista sono centinaia e che ci troviamo impossibilitatx a sviscerare in questa sede ciascuno di essi. Crediamo tuttavia che sia importante avere una visione d’insieme in un momento come questo in cui la crisi sanitaria ed economica priva il sistema capitalista della sua maschera democratica. Sfruttiamo la fase di frattura per evidenziare vessazioni e sfruttamento, tessere reti di solidarietà, organizzarci insieme e creare momenti di rottura con l’esistente.

YES SIR, I WILL

Brevi note per chi si è lasciatx comprare

WHITE MAN IN HAMMERSMITH PALAIS
E’ una tranquilla sera di regime: mentre giunge la notizia dell’assassinio da parte degli sbirri di un recluso nel CPR di Gradisca da qualche parte, in un centro sociale occupato senza nome, ad un festival HC senza nome, arriva un taxi.
Ne esce un ricco signore, imprenditore proprietario di un franchising del “food” e personaggio televisivo.
Paga l’ingresso, questo ricco signore, ed entra nello spazio.
Corpi sudati, canzoni che inneggiano alla rivolta e all’unità della “scena”, e intanto il signore si fa selfie con tante persone in visibilio, offre da bere, si gode un paio di gruppi pubblicando addirittura una storia su instagram (in un posto dove di norma non si dovrebbero fare foto!).
Poi se ne va, sulle sue gambe, senza voltarsi indietro neanche una volta per vedere se qualche malintenzionatx lo segue.
Da questo spunto ecco 6 note per una discussione che non avverrà mai, ma che dovrebbe esserci.

EVER FEEL LIKE KILLING YOUR BOSS?
“Ma non è mica un nazi” Ha risposto qualcunx alle rimostranze di chi giudicava negativo questo evento.
Lo stato di cose che viviamo, quello che determina l’esistenza delle carceri, dei lager per migranti, delle frontiere, della polizia e dei fascisti, ha come parziale causa e motore l’accumulo e il flusso di capitali e merci.
All’interno del sistema capitalista chiunque assume un ruolo spettacolare, che come tale è funzionale al mercato cui è fruitore/fruitrice attivo/a o passivo/a.
I ruoli passivi si sprecano: lavoratore/lavoratrice, punk, attivista pacifista, tutte queste cose dettate dalla sopravvivenza o dalla passione sono ingranaggi del mercato e lo alimentano, ma non sono determinanti per la riproduzione del capitale (no, neanche il lavoratore/lavoratrice ormai).
I ruoli attivi invece non solo lo sono, ma anzi essi stessi generano capitale e ne accumulano altri: fra questi c’è la figura dell’imprenditore.
L’imprenditore di cui sopra e i suoi soci, nella fattispecie, “presiedono più di due dozzine di acclamati ristoranti nel mondo. Dal 2010 inoltre sono diventati partner di Oscar Farinetti per portare Eataly, il più grande mercato del cibo e del vino, a New York, sviluppando da quel momento le filiali nel nord e Sud America con sedi in Chicago, São Paolo, al World Trade Center, Boston e più recentemente Los Angeles” (dalla presentazione del sito).
24 ristoranti significa un’impresa che somministra lavoro salariato- cioè sfruttamento- a centinaia di persone e accumula un patrimonio che nel 2015 veniva stimato da Celebritynetworth a 15 milioni di dollari USA, oggi probabilmente triplicati.
Anche se non ci è dato sapere quanto guadagnano o come sono trattate/i i lavoratori e le lavoratrici dei ristoranti del ricco signore, conosciamo bene la condizione di chi lavora per l’azienda di cui è socio: Eataly.
Quest’azienda multimilionaria dai racconti di alcuni ex lavoratori impone “turni settimanali comunicati con meno di 24 ore di preavviso e sempre diversi; nessun canale di comunicazione fra azienda e lavoratori; cambi di reparto arbitrari; nessuna garanzia al momento della scadenza. La comunicazione del rinnovo, quella che più ci premeva ricevere, avviene al momento dell’affissione degli orari: solo chi figura in turno può affermare di avere ancora un lavoro!”, insomma una ricetta non poi così dissimile da quella che si sorbiscono i/le rider e tutte le vittime della gig economy.
Eataly, tra l’altro, è sempre stata la testa di ponte con cui le amministrazioni comunali hanno spinto per gentrificare interi quartieri: parliamo dell’area FICO a Bologna, città ormai in preda alla food economy più spinta dove le esperienze degli spazi sociali vengono a più riprese represse, non ultimo lo sgombero dell’ex caserma Sani settimana scorsa; parliamo di Torino, dove Eataly è complice della guerra ai poveri nell’area di Borgo Dora e Aurora, in quanto possiede il 16% delle azioni della Scuola Holden situata in mezzo al Balon, un mercato che sta venendo sgomberato per lasciar posto a studenti di storytelling (cfr. ghostwriters per politici) e turisti ricchi del cibo che fanno ricche spese all’interno del Mercato Centrale di Umberto Montano, grande amico del patron di Eataly Oscar Farinetti; e poi Milano, Firenze, Roma stessa con la gentrificazione aggressiva al quartiere testaccio, Eataly è un brand che porta devastazione e sfruttamento, il ricco signore ne è socio e ne ha aperto uno tutto suo a NY.
Stiamo parlando, insomma, di un manager di livello: ingranaggio importante del capitale sfrutta dipendenti e accumula proprietà.
Fosse stato un fascistello di borgata sarebbe stato meno pericoloso.

SMASH THE MAC
Il ricco signore è famoso anche per essere testimonial di McDonald’s, una multinazionale che da decenni distrugge l’ecosistema, assassina in quantità letteralmente industriale animali non umani, sfrutta lavoratori e lavoratrici.
McDonald’s è come Benetton, non può neanche tentare di pulirsi le mani e far finta di essere una multinazionale “illuminata” come fa Eataly, e infatti malgrado le continue campagne critiche di associazioni come greenpeace (non di “bigotti estremisti della punk police”) continua per la sua strada di fatturato e devastazione.
Fare il testimonial per un’azienda del genere vuol dire essere complici dei CEO di McDonald’s e già solo questo meriterebbe un trattamento ben diverso che chiedere di farsi un selfie.
Oppure, e forse questa è la triste realtà, a chi era contento/a e divertito/a per la presenza del ricco signore non interessa realmente ciò che fa McDonald’s agli esseri viventi e alle foreste.
Forse sono complici pure loro.

MEAT MEANS MURDER
“Essere vegani è una scelta di vita che rispetto tantissimo, ma io, in quanto essere umano, mi godo la mia posizione al vertice della piramide alimentare. E per questo mi piace mangiare tutto quello che ho sotto di me nella piramide. I vegani stanno tre o quattro gradini più in basso, ma sono fortunati, perché anche se stanno sotto non mi viene voglia di mangiarli”.
Così disse il ricco signore intervistato da Wired nel 2016.
Con il tipico disprezzo malcelato da una benevolenza posticcia da persona “open minded”, lo sfruttatore si gonfia di tutto il suo privilegio di animale umano.
E’ davvero molto poco interessante che il signore in questione “rispetti tantissimo” lo “stile di vita” vegano, dato che tutti gli allevamenti intensivi che usa per riempire i suoi piatti di esseri morti gravano ben più sulla sua responsabilità individuale di qualche finta bella parola su un giornale.
Da sempre il punk in tantissime sue forme, dallo SxE all’anarchopunk, è alfiere della critica radicale allo specismo e al consumo di carne, chissà la tristezza che proverebbe un Colin Jerwood nel vedere gente con le toppe dei Conflict sulla felpa farsi i selfie con un macellaio seriale.
Un macellaio pezzo di merda, dato che la sua campagna pubblicitaria per McDonald’s era proprio in favore degli Hamburger.

WORK REST PLAY DIE
Tutto questo a un punk non interessa.
Paga l’ingresso alla serata, si beve le birre, mosha, fa il circle quando il cantante dei Vitamin X glielo chiede e, se capita, si fa una foto col ricco signore da postare su IG.
La scena HC ormai è una sorta di sfogatoio per i cattivi istinti e una rievocazione storica di quello che era un tempo: basta risse in strada coi nazi, basta chaos tag contro gli sbirri, basta occupazioni punx.
Tutto l’illecito non è contemplato, mentre il lecito di questo esistente è permesso in nome della libertà che ci viene somministrata dallo Stato: la liceità di goderci i gruppi sessisti, i concerti negli SPRAR, gli atteggiamenti machisti, e da sabato pure gli imprenditori, salvo poi criticare come macchinette “gli hipster dello Static Shock che commercializzano la scena”, “la band che aveva firmato per l’etichetta” e tante altre ritualità dette per impotenza o per abitudine.
Dite che l’ondata di band raw punk legata al giro Static Shock o K-Town è una merda perchè “hipster”, dite che il Fluff è “fighetto”, ma invece voi cosa offrite? Un lassismo totale nell’affrontare le questioni del sessismo nella ormai quasi defunta scena e addirittura l’apprezzamento “goliardico” di un padrone?
Certo, gli hipster e chiunque mercifica la propria roba fa schifo, ma in fondo al di là delle pose “true” in cosa si differenzia il tizio o la tizia della scena HC se non usa almeno le armi della critica?
Non gli interessa niente al punk medio, come una persona qualsiasi si gode il divertimento che gli viene somministrato dagli organizzatori e dalle organizzatrici dell’evento.
Non è un caso che ormai i dj-set trash sono una costante dopo i concerti: non pensare, vecchio skinhead, immergiti nella monnezza del divertimento senza via di scampo, provaci male con le tipe, sbronzati, che dopodomani si torna al lavoro.
E senza aver mai voluto approfondire ciò che ci suggerivano nostre band preferite, ci siamo identificatx in un ruolo e non in un’identità, e forse è tutto ciò che ci rimane.

OI! FATTIUNARISATA
Qualcunx lo dice sempre durante questi dibattiti.
Vale per l’imprenditore al centro sociale, ma si è sentito dire di fronte a cose molto più gravi, quali cori o comportamenti sessisti, razzisti e discriminatori in generale.
Sembra che la responsabilità individuale e collettiva venga meno se è detto per scherzare: effettivamente è un metodo in largo uso fra i politici di oggi, come un Salvini che fra una sparata razzista e segregazionista e l’altra si fa selfie mente mangia panini, come un Beppe Sala (sindaco di Milano) che fra uno sgombero e un’asta giudiziaria e l’altra si fa fotografare vestito da trapper o con i calzini arcobaleno. “E’ un tipo simpatico, dice le cose col sorriso, quindi non fa sul serio”.
Ridere di qualcosa di problematico, provocare, “scherzarci su” fa sì parte della storia più ‘camp’ del punk, vedasi il profluvio di svastiche del periodo settantasettino, ma non può essere un alibi.
Quando ridi metti i denti in mostra, devi aspettarti che qualcunx possa venire a romperteli, è un assunzione di responsabilità che è propria nella storia del punk quanto le provocazioni pseudo-naziste: nel 77 i/le punk italianx venivano attaccate da compagne e compagni così come dai fasci per le loro provocazioni senza nascondersi dietro la miseria del “è solo per scherzare”, oggi pare invece che tutto ciò che fa ridere non debba passare sotto le armi della critica.
Questa macchiettizzazione dell’esistente in salsa auto/post ironica è propria di una società assuefatta ai meme, è una sorta di recupero- forse involontario- di alcune prospettive situazioniste e del primo punk: queste due controculture (?) non prendevano sul serio nulla dello stato delle cose presenti perchè tutto doveva essere distrutto, oggi non prendiamo più sul serio nulla perchè tutto rimanga così com’è.
Sorridere è stupido quando si dovrebbe ringhiare.

WHENTHEMUSICSTOPS
Dopo la miseria del ricco signore, dell’imprenditore, dello chef Bastianich, e di tutto ciò che abbiamo visto e vissuto in passato nella cosiddetta “scena punk/HC” cosa resta del punk?
Resta che c’è ancora un sacco di gente che le lotte le vuole fare, gente che non ci mette più di 2 secondi a organizzare una TAZ in solidarietà a 2 compagni che resistono sui tetti di uno squat sotto sgombero, gente che fa i chilometri per sostenere i benefit.
Citando il bel racconto di Disastro Sonoro sulla TAZ in solidarietà alla gente dello squat Brankaleone sotto sgombero “l’hardcore è e deve ancora continuare ad essere una minaccia per questo esistente fatto di quotidiano sfruttamento, repressione e oppressione e che vogliamo vedere ridotto in macerie il prima possibile”.
Possibile che lo possa essere ancora e per davvero? Proviamoci.
E la prossima volta a Bastianich rubiamogli il portafoglio, almeno…
“The public opinion industry evolved, establishing all we know and loath.
But when music stops and the action is engaged, your tune will change as the audience take the stage”

Flower Power (Anti)police Punx

Considerazione sugli SPRAR e l’HC

Opponiti a tutte le leggi imposte
opponiti a chi, ti vuole comandare
strappandoti un voto per essere certo
che sarai, cio’ che lui vuole
obbligandoti ad essere un loro prodotto, a fare il suo gioco
apri i tuoi occhi, la tua vita e’ condizionata
tutto cio’ che loro ti fanno credere
semplicemente registrandoti e insegnandoti le verita’ che a loro sono piu’ comode
combatti
non basta vandalizzare una strada da ubriachi
non basta avere una divisa di vestiti firmati
non basta girare i chili di droga per essere piu’ vivi
non basta supportare una scena che e’ fine a se stessa
vivere è avere una logica in tutti i tuoi atti
organizzati, per fottere metodi ed istituzioni
e non per essere fottuto
sei studiato, sei programmato
e quello che sei, l’hanno voluto”

Grandine – Opposizione

Il 29 Marzo 2016, a Massafra nel “misterioso” convento di S.Agostino, si è tenuto il concerto Hardcore punk con: Doom, Inganno, Entact e Cruentus , organizzato dagli Entact con l’arci LABinrinto. Superata la “misteriosità” dello spazio, siamo venuti a sapere la sua identità attraverso l’insegna posta all’entrata. L’ex monastero, nella quotidianità, ospita lo sprar Motvs Animi.

Gli sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sono luoghi che si inseriscono nella macchina delle espulsioni. Il tentativo di controllo e speculazione sulle migrazioni è articolato da varie forme detentive, più o meno coercitive. Lo sprar è appunto considerato uno dei luoghi più “umani”. Privi di inferriate e aguzzini, vengono perlopiù visti come strutture di benevola accoglienza, dove all’immigrato viene offerto un letto e un pasto giornaliero.

Ma sopratutto, gli sprar, insieme a Hotspot, CARA e CIE, fungono da strutture dove “smistare” i migranti, in maniera del tutto arbitraria, sulla base della loro provenienza. Chi migra in Italia non è più un individuo, ma si trasforma in un numero per statistiche volte allo smistamento, appunto, di forza lavoro ricattabile per i paesi europei. L’attesa, nella speranza di ottenere un permesso di soggiorno condiziona notevolmente la vita degli “ospiti” di tali strutture.

All’interno di questi luoghi fra i vari progetti è comparso da qualche tempo quello dei lavori”volontari”. Ai migranti vengono assegnati lavori per rimborsi spese ridicoli. Con la scusa di riempire il tempo degli”ospiti” il comune ha forza lavoro sostanzialmente gratuita. Le persone sono costrette a restare nei centri per avere i documenti ma per questo non possono vivere autonomamente. Come contropartita alla loro accoglienza dovranno fornire lavori sociali agli stessi che controllano le loro esistenze. Oltre questo, molti di loro rappresentano un bacino di forza lavoro fruibile dalla logistica all’agricoltura, sostenendo di fatto l’economia dello sfruttamento.

Tra i vari gestori dei centri sprar spesso ritroviamo le candidature di arci.
Gli arci sono luoghi di aggregazione sulla base di contenuti ben definiti ed una linea politica al quanto discutibile. Da sempre abbiamo visto come la posizione degli arci sia lontana dallo spirito di autogestione che anima il punk hardcore.

Per quanto lo svuotamento dei contenuti della scena non ci giunga nuovo, coscienti che questo sia responsabilità di tutti e tutte noi, siamo forse al punto limite. Fino a ritrovarsi ad avere da ridire su tutto questo in pochissime persone e non trovare sponde neanche nei gruppi che suonano o in chi ti sente affrontare la questione. O a sentirsi rispondere dagli organizzatori che capiscono le tue perplessità ma le necessità pratiche di una piccola realtà di provincia giustificano questo genere di scelte. Arrivando per sfinimento a tirar fuori quello che di fatto pensano:

che le persone ricevano vitto e alloggio e non pagano nulla; che il concerto sia un modo per permettere agli ospiti di incontrare persone; che nell’arci si offra aiuto nell’integrarsi attraverso le iniziative.

Giustificazioni che si rifanno da una parte a una visione pietista della categoria del migrante, e dall’altra a un idea mediatizzata e razzista che vede chi migra come detentore di maggiori diritti e servizi rispetto agli italiani.

Crediamo che sia necessario avere una visione maggiormente critica dei luoghi e delle situazioni in cui ci ritroviamo o dove ancor peggio ci organizziamo, che scendere a compromessi per necessità pratiche o altro non possa essere parte di quelle logiche, quali l’autogestione, la lotta contro ogni forma di autorità e il rifiuto di qualsiasi mediazione con essa.