Intervento telefonico del membro imprigionato delle CCF Christos Tsakalos, rinchiuso nel braccio d’isolamento della prigione di Koridallos, nel corso di un incontro di presentazione dell’opuscolo “Alle radici del vittimismo” di Alfredo Cospito, traduzione del suo articolo apparso sul numero 2 del giornale della Croce Nera Anarchica.

Buona sera compagni (…) inizierò con una frase che ho letto da qualche parte e che recita: “È nei periodi repressivi più duri che testiamo il livello della nostra consapevolezza”.

L’opuscolo di Alfredo Cospito “Alle radici del vittimismo” non è interessante solamente dal punto di vista storico, nella sua descrizione della situazione e della degradazione del movimento anarchico dalla strage di Piazza Fontana in poi. È interessante soprattutto, sfortunatamente, perché riflette largamente la mentalità vittimista diffusa all’interno dell’ambiente anarchico greco.

Ma analizziamo i fatti dal principio…

Parlando della guerriglia urbana degli anni successivi alla Giunta, il punto focale fu l’uccisione di Christos Kassimis, membro dell’E.L.A. (Epanastatikos Laikos Agonas – Lotta Popolare Rivoluzionaria), nel 1977, avvenuta durante un conflitto a fuoco coi poliziotti nei pressi delle strutture della compagnia tedesca A.E.G. dell’area di Renti, mentre stava collocando delle bombe incendiarie. Più tardi arrivò l’arresto di Giannis Seriffis, che parlò di una montatura nei suoi confronti dovuta ai suoi ideali. A partire dal 1977 e per molti anni a seguire, la maggior parte di coloro che saranno arrestati sia per attività “terroristica” che per disordini di piazza manterranno la linea della “montatura”.

In parole semplici: «Non ho nulla a che fare con ciò di cui mi accusate, sono perseguitato per le mie idee, passavo di lì…» (…).

La linea di difesa vittimista spesso incontrava la grazia dei giudici, permettendo il repentino rilascio degli arrestati.

Nel 1995, tra i – più o meno – 500 detenuti del Politecnico occupato, solamente 100-120 si dichiararono anarchici, mentre i più dissero di essere caduti in trappola o di essere lì per deporre una ghirlanda di fiori…

Nel 1998 l’anarchico Nikos Maziotis fu arrestato per aver piazzato una bomba al Ministero dello Sviluppo, attentato di cui si assunse la responsabilità. Il suo atteggiamento mise in moto una solidarietà militante che si espresse – al di là degli interventi pubblici (manifesti, cortei, ecc.) – con una serie quasi giornaliera di attacchi incendiari (in special modo contro auto di lusso). Nel giro di pochi mesi si contarono oltre 100 incendi.

Tutto ciò infastidì quelle che fino a quel momento erano ritenute le avanguardie ufficiali della solidarietà (reti sinistrorse e comitati di solidarietà tirati su per singole personalità); la solidarietà sembrò uscire dall’allora ben conosciuto trittico «soliti sospetti – montatura – innocenza».

La ragione è semplice: nei tempi precedenti l’attitudine vittimista di chi veniva indagato permetteva che si diffondessero i concetti di “persecuzione delle idee”, “calpestamento dei diritti”, “ricerca dei soliti sospetti”, ecc.

Questo promosse ulteriormente la logica di denuncia dello «stato autoritario», evitando così il dilagare del conflitto e dell’attacco nei suoi confronti. Negli anni a seguire, la gran parte degli arrestati ritornò sulla linea difensiva che sosteneva la montatura…

Nel 2002 arrivano gli arresti per la 17 Novembre. Informatori, traditori e cooperanti tra la maggioranza degli arrestati sono una pagina nera della storia della violenza rivoluzionaria.

L’unico che mantiene in vita la memoria e l’azione dell’organizzazione è Dimitris Koufodinas, che si accolla la responsabilità politica. La stessa cosa avviene con Christos Tsigaridas a seguito degli arresti per E.L.A. (Lotta Popolare Rivoluzionaria). (…)

La vittimizzazione, tuttavia, è una piaga diffusa in vari ambiti del movimento. Se ben ricordo, nel 2005 ci fu un’escalation di attacchi fascisti contro compagni, sedi e squat…

Di sicuro queste provocazioni non restarono senza risposta, e al di là di azioni pubbliche (cortei anti-fascisti), vari attacchi vennero portati avanti, grazie ai quali vari fascisti finirono in ospedale. Eppure nel regno dei discorsi pubblici, in gran parte dei manifesti, in vari testi, fu proiettata l’immagine vittimista della mezza verità.

Ricordo chiaramente il manifesto di un collettivo ben noto attacchinato per le strade in cui appariva una lista di tutti gli attacchi fascisti senza nessun riferimento alle azioni violente della nostra parte. Generalmente, l’estetica prevalente dell’atteggiamento pubblico era che «i fascisti uccidono»… ma nulla si diceva circa le risposte dinamiche che avevano ricevuto…

Tutto questo era parte della mentalità da adottare per la costruzione di un profilo vittimista in stile cristiano, che dettava che la debolezza ha il vantaggio di attivare le simpatie della società.

Allo stesso tempo, comunque, abbiamo alcuni casi d’arresto in flagranza (rapina in banca, tentato incendio di veicoli della polizia municipale di Palaio Faliro) in cui gli arrestati si accollarono la responsabilità dell’azione. (…) Nel 2010 abbiamo la rivendicazione d’appartenenza di tre membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco e di tre membri di Lotta Rivoluzionaria. Rivendicazione che non si limita ad un’azione in particolare, ad esempio a qualche reato in flagranza, ma che stabilisce un supporto generale all’intera attività delle organizzazioni armate.

Inizialmente, l’assunzione di responsabilità politica ottiene il supporto della maggioranza del movimento, in quanto indica chiaramente l’intenzione di continuare a lottare a dispetto delle conseguenze penali e degli anni di galera che incombono sui nostri compagni.

Ad ogni modo, molto presto un certo torpore inizia a diffondersi tra una parte del movimento che inizia chiaramente a preferire la linea di quegli indagati che sostengono la tesi della montatura.

Presto, gli slogan che gridano alla persecuzione politica ecc. riprendono nuovamente a dominare.

Allo stesso modo, altri definiscono la scelta dell’assunzione di responsabilità politica come un atteggiamento da martiri…

Nel corso dei processi che seguono, sia contro le CCF che LR (Lotta Rivoluzionaria), una linea divide coloro che si assumono la responsabilità e quelli che seguono una differente linea difensiva.

E qui diventa importante che io spieghi cosa significa “responsabilità politica”.

Assumersi la responsabilità politica non è un atto eroico, ma invece un atto di coerenza con tutto ciò che si sostiene quando si fa la scelta della guerriglia urbana anarchica.

È incongruente che mentre si grida “alla guerra fino alla fine” attraverso azioni e parole, ci si ritrovi poi al momento dell’arresto a presentarsi come vittime. L’assunzione di responsabilità è un doppio messaggio.

Un messaggio allo stato, che le prigioni non sottomettono i rivoluzionari ed un segnale ai compagni che la lotta prosegue nonostante le conseguenze.

L’assunzione di responsabilità è un segnale di supporto ai giovani anarchici. La guerriglia urbana anarchica include comunque il concetto che la via per la rivoluzione è dura, e se la scegliamo dobbiamo essere capaci di sopportarne il peso.

È il vantaggio morale che abbiamo contro le loro leggi e processi, è la scelta di non tradire noi stessi e i nostri valori in cambio di una sentenza favorevole (…)

Questo non significa che lo stato non faccia delle forzature durante le indagini. La mentalità vittimista, nonostante diversi anarchici che si ritengono vittime permanenti di montature, spazza via anche le reali montature. Mi riferisco qui al caso dell’arresto, durante un’imboscata da parte della polizia, di una persona a Salonicco che portava con sé una borsa contenente un ordigno incendiario pronto nelle vicinanze di un mezzo di sicurezza privata. Questa persona dichiarò di essere processata per i suoi ideali anarchici e di non aver niente a che fare col tentativo d’incendio.

In breve, l’estremo utilizzo della montatura ha diffuso il germe della messa in discussione dell’onestà in tutti i processi anarchici. È come il racconto del pastore bugiardo. Ognuno ormai ha dei dubbi sulla sincerità di un anarchico arrestato e che nega le accuse, visto che inconsciamente ognuno pensa che «molti anarchici si dichiarano estranei».

Così in caso di reale montatura, i riflessi dell’ambiente anarchico sono abbastanza arrugginiti a causa della perdita di credibilità. Allo stato attuale ci si può domandare: «Dunque l’assunzione di responsabilità è l’unico atteggiamento dignitoso?»

No, non è l’unico, ma certamente è l’atteggiamento più chiaramente aggressivo verso lo stato.

Inoltre, l’assunzione di responsabilità non è né un contratto né una medaglia che portiamo a vita. Ognuno di noi è processato ogni giorno, e a seconda del nostro comportamento noi onoriamo o cancelliamo la scelta di lottare che abbiamo precedentemente fatto.

Non credo nell’…”anarcòmetro”, ma penso che dobbiamo difendere alcune cose…

Prima di tutto, all’interno delle organizzazioni armate anarchiche esiste un codice di valori, alcuni princìpi e anche alcuni accordi.

Uno di questi è l’atteggiamento dei compagni dell’organizzazione in caso d’arresto.

Sicuramente, la teoria spesso si discosta dalla pratica. Quando tutto va bene all’interno di un’organizzazione, ognuno è in prima linea… ma si può capire com’è fatta una persona vedendo come onora le proprie scelte in caso di difficoltà e non di calma…

Così quando un gruppo ha discusso e concordato sul tema dell’assunzione di responsabilità, se qualcuno arretra dopo l’arresto, in quel momento si tradiscono gli accordi, i principi, gli ideali, l’organizzazione e sé stessi…

Ad ogni modo non considero un problema se qualcuno non sopporta il peso e decide di rimanere in silenzio senza assumersi la responsabilità, mettendo però in chiaro di non volere il supporto dell’ambiente anarchico. Ma ritengo disonesto se da un lato una persona pretende d’essere un super compagno, nascosto dietro un linguaggio vagamente anarchico, e dall’altro si lamenta d’esser vittima di una montatura.

Nei fatti, l’assunzione di responsabilità rende possibile la coincidenza tra teoria e pratica. Si possono ribaltare i termini di una sconfitta e trasformarli in un altro campo di battaglia.

Perché, dopo tutto, nella guerra contro lo stato non esistono mezze misure… o sei nemico dell’autorità o scendi a compromessi con essa… perché il problema non è venire arrestati, ma venire sottomessi (…).

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fonte 325 no state

traduzione Crocenera