Giovedì 28 agosto 2014 Giorgos Karagiannidis, Alexandros
Mitrousias e Stella Antoniou hanno letto le proprie dichiarazioni politiche davanti al tribunale speciale per il processo del caso di “Nea Smirni” (cioè l’operazione antiterrorista e gli arresti del 4 dicembre 2010). Inoltre, Giorgos Karagiannidis ha letto anche la dichiarazione inviata da Kostas Sakkas, in clandestinità, al suo avvocato Dimitris Katsaris.

DICHIARAZIONE POLITICA DEL COMPAGNO GIORGOS KARAGIANNIDIS AL TERZO PROCESSO CONTRO LE CCF

All’inizio vorrei ancora una volta dichiarare che in nessun momento, dal mio arresto fino ad adesso, mi sono sentito un imputato. E dato che non mi sento come un imputato non posso sentirmi in colpa.

Non riconosco il sistema di valori riassunto nel codice giuridico in base al quale questa corte emette le sentenze. E dal momento che ci riferiamo ad un differente – e antietico – codice di valori, credo che questo tribunale, e nessun altro tribunale, è competente a giudicarmi.

In nessun modo riconosco la sua competenza a giudicare la resistenza e il tentativo di sovvertire lo status-quo, così come le persone che sono ispirate e personalmente impegnate a farlo. A giudicare un fenomeno necessario come il respiro. Quello che riconosco ad ogni tribunale è la sua violenta abilità di mandare le persone in carcere.

Per essere, cioè, il braccio punitivo dello Stato. L’organo giudiziario, barricato dietro una raccolta di leggi e disposizioni, è l’anello intermedio della catena oppressiva. Esso media tra le indagini di polizia e la carcerazione correzionale, assicurandosi durante l’intera procedura la stima dello specialista “ex cattedra”, necessaria per affermare sé stresso come uno dei principali coordinatori delle relazioni sociali. E’ chiaro che, essendo la giustizia un pilastro fondamentale dello Stato civile, essa è direttamente connessa alla difesa dei suoi interessi, con i quali si identifica completamente.

I suoi operatori compongono una élite sociale (come a loro piace definirsi) e sono collegati non solo ad un livello politico o sociale, ma spesso anche su quello personale, con i soggetti che svolgono le operazioni legislative ed esecutive dello Stato. Il ruolo oppressivo della giustizia è stato storicamente dimostrato e non ha senso menzionare delle cose che sono già state scritte e dette migliaia di volte.

Tuttavia, parlando nello specifico di oggi, di questo momento storico attuale, della realtà greca in data condizione di crisi, possiamo notare che la giustizia detiene un ruolo primario nella generale ristrutturazione socio-politica. La giustizia è attualmente la punta di lancia nel tentativo del regime di evitare i propri scricchiolii interni e di consolidarsi.

Perciò vediamo che la democrazia inizia a volgersi aggressivamente contro sé stessa, sacrificando molti di coloro che sono stati i suoi funzionari principali, sia a livello politico sia economico, negli ultimi decenni. I crimini della classe governativa, abbelliti con il termine scandali, non si sono moltiplicati negli ultimi tre anni, ma neanche la capacità e la risolutezza dei giudici è aumentata. Semplicemente la feccia dei politici, uomini d’affari, giornalisti e dei pezzi grossi hanno compreso che non tutti possono essere salvati quando la nave affonda.

Pertanto, in base alla correlazione di potere alcuni degli ex potenti, anche ai massimi vertici, come Tsohatzopoulos (ex ministro) e Papageorgopoulos (ex sindaco di Salonicco), Lavrendiadis (uomo d’affari che sottrasse milioni), Psomiadis ecc., sono stati degradati e offerti come vittime alla stampa e all’arena giudiziaria per mostrare l’estensione e la profondità delle “pulizie” del sistema. Contemporaneamente, la democrazia si è rivoltata attraverso la giustizia contro i propri figli bastardi, il ciarpame fascista, che per un momento hanno creduto di appoggiarsi sui propri piedi, cercando di essere autonomi e rivendicando uno spazio vitale – un’espressione che loro amano – da un sistema politico/economico che li aveva allevati e nutriti per così tanti anni.

Né le parti civili né quelle giudiziarie e i loro superiori politici, né i giornalisti si sono improvvisamente “svegliati” e “scoperto” il pericolo fascista. Tutti loro, assieme agli elettori “arrabbiati e gli indignati” dei fascisti, hanno compreso, un po’ tardi per dire la verità, che i cuccioli crescono e possono anche mordere il proprietario se il guinzaglio non è abbastanza stretto. Per circa 25 anni, da quando la stampa sbraita sui “criminali stranieri” o “l’onore nazionale” durante gli eventi sportivi, pavimentando la strada per i pogrom statali e para-statali, con il sostegno dell’intera feccia autoritaria, non c’era nessun pericolo fascista.

Questo pericolo divenne esistente quando la propaganda fascista iniziò ad essere influenzata dal meccanismo tradizionale del corpo sociale. Nonostante questo, il regime comprese che la sua vera minaccia non proviene da alcuni suoi amministratori stanati né dai suoi cani da guardia fascisti. Esso sa che il pericolo della sovversione proviene dalle persone che comprendono i vicoli ciechi creati dallo Stato e istituiti dal capitalismo, che resistono all’alienazione forzata, che rifiutano di accettare il compiacimento e la rassegnazione, che analizzano, costruiscono le relazioni, collettivizzano e insistono sulla questione del prospetto anarchico rivoluzionario. Io faccio parte di queste persone.

Dopo 3 processi nei tribunali speciali della democrazia ho acquistato una chiara immagine del ruolo di questi tribunali. Sterilizzare e devitalizzare la proposta politico-sociale dell’anarchia. Interpretare i motivi, le idee e gli atti che mirano al cambiamento rivoluzionario sociale attraverso il prisma del codice penale. All’interno di questo concetto ogni tale processo è uno schema, non nel significato giuridico del termine, ma in quello politico.

Ogni tentativo di scollegare gli atti individuali dalle ragioni per cui sono stati compiuti mira alla loro criminalizzazione, cioè alla loro gestione da parte della repressione penale, rimuovendoli dal contesto a cui appartengono. La democrazia civile, dal momento quando istituisce, tra le altre cose, la libertà d’espressione come suo valore fondamentale, crea la contraddizione di separare il pensiero dall’azione. Calpestare questo valore porta all’affermazione irrazionale che non sono le idee ad essere perseguitate ma gli atti, come se fosse possibile che ci siano pensieri senza l’azione o viceversa.

Come se fosse mai stato possibile che qualcuno possedesse un’idea e non abbia tentato con determinazione di trasformarla nell’azione. Avendo questo come base abbiamo messo fine una volta per tutte a questa confusione di parole sulla libertà della democrazia civile. La libertà può esistere solo laddove i desideri, i pensieri e gli atti sono inseparabili, di conseguenza in nessun sistema autoritario. E ogni tale tribunale è un momento in una guerra che sta infuriando, a volte inasprendo, altre diminuendo.

Si tratta di un tentativo del regime di affrontare i suoi avversari politici. Perciò ho compreso che è un organo per applicare le politiche e nient’altro. Per quanto vi possa spaventare, considerate questo un processo politico, tanto quanto noi. Ma a voi manca l’onestà, sia come persone che come forza, per ammetterlo. Questo processo, come altri simili, presenta come l’accusa principale la violazione degli articoli 187A o come viene di solito chiamata, la “legge-terrore”.

Questa legge si applica se gli atti contemplati si riferiscono a “determinati reati commessi in modo o in misura o in circostanze che potrebbero danneggiare seriamente un paese o un’organizzazione internazionale allo scopo di intimidire gravemente la popolazione o costringere un’autorità pubblica o un’organizzazione internazionale a compiere qualsiasi atto o di astenersi da questo o gravemente danneggiare o distruggere le politiche costituzionali fondamentali, le strutture economiche di un paese o di un’organizzazione internazionale”.

Quindi, lo stesso si prende la briga di dare un tono politico a questa legge specifica. In quale altro modo si potrebbe interpretare la pressione esercitata da qualcuno su un paese, un’autorità pubblica o un’organizzazione internazionale, cioè organi principali di pressione, se non in modo di pressione politica? Che tipo di atto è la distruzione delle strutture fondamentali di un paese se non un atto politico? In effetti, sono soprattutto atti politici, dato che trasformano l’esistenza in termini materiali, così come le relazioni sviluppate tra le persone.

Come anarchico io desidero e promuovo la distruzione non solo delle strutture fondamentali, ma di tutte, e non solo di un paese ma ovunque, per essere sostituite dalle libere unioni di persone che insieme decidono e gestiscono il proprio sviluppo materiale, spirituale ed etico.

Non nascondetevi dentro il vostro cavallo di Troia, le leggi come la 187A consolidano la democrazia civile come l’espressione politica di maggior successo del capitalismo, e per contrastare i suoi nemici sono previste diverse procedure e condizioni. Lotterie speciali dei giudici, trasferimenti speciali, aule speciali dentro il carcere, leggi speciali, e le prossime condizioni speciali di detenzione sono la continuazione della catene repressiva.

La legge 187 è in questo momento il passepartout della repressione penale. Il suo voto ha slegato le mani dei giudici e dei pubblici ministeri, perché è totalmente vago e notevolmente ampliato il concetto di membro di un’organizzazione, e contemporaneamente aumenta le sentenze per gli atti individuali. In questo modo riesce ad incrementare il numero di persone poste in detenzione giuridica e prolungare il tempo della loro detenzione.

Ovviamente, questa procedura non è indipendente dagli sviluppi sociali generali, ma su questo ritornerò più tardi. In questo momento vorrei dire qualcosa in più sul ruolo e l’assetto posizione-intenzione di questo tribunale specifico. All’inizio della procedura alcune obiezioni sono state mosse dalla difesa riguardo la natura politica del processo e l’attribuzione del carattere politico agli atti sotto processo – reati/crimini per voi.

Tali obiezioni sono importanti per me, non per lo scambio delle argomentazioni giuridiche tra i giudici e gli avvocati, ma per le contraddizioni che ne emergono. La proposta del PM, adottata alla fine dalla corte, era che gli atti non possono essere qualificati come politici in quanto si scontrano con un’interpretazione oggettiva della legge. Questo ci fa notare che, indipendentemente dalla loro volontà soggettiva, gli artefici non potevano oggettivamente causare la distruzione delle strutture di un paese ecc.

Un’interpretazione che entra in diretto contrasto con la definizione della legge 187A, cioè che gli atti di per sé sono capaci di danneggiare le strutture di un paese, e in base alla quale gli stessi giudici ci condanneranno. Un altro esempio è la questione creata – completamente insostenibile su un livello legale, ma completamente spiegabile su quello politico – con il prolungamento della detenzione di K.Sakkas e Gerasimos Tsakalos da 30 a 36 mesi.

Anche se si trattava di una mossa puramente giuridica, l’atteggiamento tipo Ponzio Pilato dei giudici che evitano di prendere posizione, ha dimostrato il loro parere strumentale nell’applicare il codice giuridico. La presidente ha in realtà sigillato questa posizione con l’affermazione cinica “cosa vorreste che giudici facessero in situazioni simili?” Ci sono voluti 38 giorni di sciopero della fame del compagno K.Sakkas per compiere l’evidente.

Dopo il suo rilascio condizionale il ritmo del processo rallentò automaticamente, dimostrando che l’accelerazione precedente della procedura mirava solamente ad evitare il rilascio a causa del limite dei 30 mesi. Il tribunale ci ha offerto molti esempi della sua falsa politica di intenti, ma correrei il rischio di divagare se li menzionassi tutti. Penso che da tutto quanto sopra detto emerge la conclusione che il tribunale è un organo per applicare la politica. Il secondo organo della democrazia per applicare la politica che è apparso in questo processo è l’unità antiterroristica. Un’unità considerata l’élite della polizia e che investiga atti specifici – attacchi armati, rapine ecc. – commessi da individui con percezioni politiche specifiche. Secondo la cornice del pensiero poliziesco-giudiziario questi atti sono inclusi nella legge 187A. Sono cioè dei reati commessi con l’intento di danneggiare la politica fondamentale, costituzionale, le strutture economiche ecc. ecc. (Lo sbirro antiterrorismo, Christos Maleas, nella sua testimonianza ha detto che la sua unità ha gestito una “divisione anarchica”) Poiché l’unità antiterroristica investiga le persone e gli atti con specifiche posizioni politiche e bersagli, non può che svolgere il ruolo di un organo per l’applicazione della politica. Il nome ufficiale dell’unità antiterroristica è Direttorato per i Crimini Speciali di Violenza, DSCV. Cosa significa questo “Speciale” nel suo nome e cosa dimostra, se non la particolarità dei “reati” sotto inchiesta in relazione al resto? Ma diamo uno sguardo più da vicino a questa unità specifica. Vedremo che i suoi funzionari sono implicati in varie violazioni del codice penale. Ogni tanto gli sbirri antiterrorismo sono stati accusati di protezione dei locali notturni, di ricatto agli imprenditori con intercettazioni telefoniche, altri sono stati accusati in casi di antiquariato e di oro. Il più grande esempio è lo sbirro Bourdoukoutas, il testimone principale in un altro caso CCF, arrestato dopo una rapina ad un’agenzia di scommesse.

Anche se non è affatto una rarità che gli sbirri di qualunque unità siano implicati nelle loro attività favorite, è però ancora meno raro che siano coinvolti ad un livello politico con un candidato o i membri attuali del parlamento, membri dei ministeri e giornalisti, come Haradalias, il principale testimone d’accusa in questo come anche negli altri processi battezzati caso CCF.

Quindi, esiste un’intensa dialisi tra il DSCV e altri funzionari di autorità, anche ad un alto livello istituzionale. E questo perché il DSCV è necessario al funzionamento dello Stato civile, per proteggerlo dal nemico interno, come anche per consolidare i poli autoritari all’interno del meccanismo statale, contro altri poli sistemici. Il caso sotto processo è la continuazione di una serie di processi battezzati con il nome “caso CCF”.

Le autorità giudiziarie e della polizia uniscono i casi irrilevanti e presentano gli anarchici implicati come operanti sotto un piano comune. Simultaneamente con l’unificazione c’è stata anche la temporanea partizione dei casi.

Lo Stato greco non è un pioniere in tali piani oppressivi. Nel 1995 il PM italiano Marini ha unificato una serie di casi con bersagli capitalisti e statali, attribuendoli ad una presunta organizzazione chiamata O.R.A.I. In quell’epoca 60 anarchici sono stati accusati e imprigionati a causa del loro “coinvolgimento” in un’organizzazione inesistente.

Le autorità greche non solo seguono, ma anche sviluppano l’esperienza repressiva internazionale. Gli investigatori speciali Baldas, Mokkas e Nikolopoulos e i PM Dimitriou, Makropoulos e Drakos hanno dimostrato di essere più intelligenti e più furbi dei loro colleghi. Il pionierismo delle autorità greche sta nel fatto che hanno utilizzato un’organizzazione già esistente. Il nome CCF è stato usato come un ombrello per adattarsi sotto vari casi indipendenti degli anarchici accusati di attacchi, rapine e possesso di armi ed esplosivi. Nello stesso tempo con l’unificazione c’è stata anche la temporanea partizione dei casi.

Lo scopo di queste alchimie poliziesco-giudiziarie è principalmente l’attuazione di condanne più pesanti per gli accusati, e ad un livello sottocutaneo la diffusione di confusione e paura negli ambienti rivoluzionari. A questo punto è importante vedere come hanno costruito l’accusa per coinvolgere me e i miei compagni Mitrousias, Sakkas e Antoniou con le CCF.

Dopo il nostro arresto le autorità ci hanno coinvolto nella partecipazione ad una “sconosciuta (!!) organizzazione terroristica”, che non ha commesso nessun attacco specifico. Le autorità avevano pensato che con le prove che avrebbero scoperto dopo i nostri arresti, sarebbero emerse abbastanza accuse per mandarci in galera per molti anni. Tre mesi dopo il nostro arresto, e nonostante niente di nuovo fu scoperto, i rappresentanti dell’unità antiterroristica, le coppie Baldas-Mokkas e Dimitriou-Makropoulos, ci fecero sapere che siamo stati accusati – me e Alexandros per la seconda volta – di far parte delle CCF. Quasi nello stesso tempo ci hanno implicato anche nel caso dei pacchi bomba.

Un anno dopo, e ancora una volta senza nulla di nuovo, ci hanno coinvolto in 160 precedenti attacchi incendiari ed esplosivi, nonostante erano già stati rivendicati dalle CCF. Tutte queste detenzioni possiedono una chiara natura strumentale, la nostra partecipazione nelle CCF serve a realizzare la nostra lunga prigionia, e il caso dei 160 attacchi per evitare il rilascio di Kostas, perché erano finiti i 18 mesi del periodo detentivo. Dato che il ritornello costante dei cyborg giudiziari, quando processano i rivoluzionari, è “esaminiamo gli atti colposi non le idee”, diamo uno sguardo ai fatti, utilizzando come traccia le testimonianze dell’allora capo della divisione dell’unità antiterroristica, Eleytherios Hardalias, e del suo sottoposto Panagiotis Bagatelas.

Entrambi hanno sottolineato le nostre misure di contro-sorveglianza e la crescente vigilanza operativa che abbiamo mostrato nei nostri spostamenti. Per quanto questo potrebbe essere vero, dato che io e Alexandros eravamo ricercati, in nessun modo eravamo un gruppo strutturato. Il solo momento del nostro arresto basta per far cadere questa affermazione. Kostas e Alexandros sono stati arrestati davanti al deposito a Nea Smirni, e contemporaneamente io sono stato arrestato dal barbiere a Pireo.

Gli altri tre compagni sono stati arrestati durante le loro attività quotidiane, Michail e Adoniou nelle loro case, e Christos Politis in un negozio. Durante tutta la nostra sorveglianza (20 giorni secondo il DSCV) non hanno scoperto nessun contatto tra noi e i membri delle CCF, nonostante il fatto che alcuni giorni prima due dei suoi membri furono arrestati, e i loro contatti e le comunicazioni con gli altri membri erano aumentati. Durante questo periodo non è stata scoperta nessuna attività illegale.

La sorveglianza svolta dall’unità antiterroristica riferisce solo degli incontri tra di noi – Kostas, Alexandros e me – come anche con degli altri individui irrilevanti. Per quanto riguarda me, in realtà i testimoni parlano di una mia visita ad Agrinio, del mio ritorno ad Atene tre giorni dopo, dell’acquisto di una tanica, e questo è tutto.

Non solo non c’è alcuna prova, ma neanche un indizio che eravamo in alcun modo coinvolti con i membri o gli atti delle CCF. Non vi è alcuna prova, nemmeno un indizio che eravamo membri di una “sconosciuta organizzazione terroristica” che ha commesso degli “atti sconosciuti”. L’intero caso è stato costruito dal persistere dell’unità antiterroristica di presentarci come un gruppo strutturato. Chiunque ricorda il clima mediatico nei giorni del nostro arresto, sicuramente non può scordarsi che siamo stati nominati come membri dell’allora conosciute organizzazioni.

Un anno dopo, il ministro dell’ordine pubblico, Pappoutsis, ha dichiarato di essere stato raggirato dall’unità antiterroristica e di aver dato luce verde per i nostri arresti, a causa del prossimo anniversario del 6 dicembre. L’unico successo dell’unità antiterroristica nell’operazione del 4 dicembre 2010 è stato l’arresto degli anarchici ricercati, Alexandros e me, come anche dei miei amici e compagni Kostas e Stella, che ognuno a modo suo è rimasto solidale con noi durante la nostra clandestinità.

Nonostante il fatto che l’unità antiterroristica sapeva fin dall’inizio che le uniche persone legate ai ritrovamenti erano Kostas, Alexandros e io, né gli sbirri né le loro marionette Baltas-Mokkas e Dimitriou-Makropoulos esitarono di colpire altri anarchici, addirittura persone che non conoscevamo, come nel caso di Christos Politis.

L’apice di tutta questa metodologia è implicazione dei 3 membri delle CCF nel ruolo dei dirigenti anche nel nostro caso. Oltre al fatto che non può essere dato nessun ordine, tutti noi arrestati il 4/12/10 abbiamo dichiarato di essere anarchici. Questo significa che le nostre relazioni non sono mediate dalla gerarchica, noi di fatto respingiamo ogni modo autoritario di agire. Non accettiamo nessuno come guida, così come non accettiamo nessuno come rappresentante. Questa accusa è apparsa in tutti i processi simili.

Coloro che hanno elaborato ed esaminato queste accuse – funzionari antiterrorismo, investigatori speciali e PM, tribunali speciali – proiettano il modello dominante dell’organizzazione e lo inseriscono nelle strutture anarchiche, in un ulteriore tentativo di cancellare l’identità politica degli accusati, a parte i legali danni delle sentenze.

Perché le relazioni che costruiamo oggi riflettono le relazioni di domani, noi come anarchici insistiamo ad operare in modo orizzontale e antigerarchico. Punto. L’unità antiterroristica e i loro subalterni giuridici, per avere delle storie più credibili hanno arrestato delle persone, le hanno maltrattate, fotografate, imprigionate e accusate.

E qua giace l’inconfondibile differenza etica tra noi e voi. Quando i meccanismi statali prendono di mira un rivoluzionario, loro simultaneamente mirano anche agli suoi amici e al suo ambiente personale. Al contrario, quando un funzionario del meccanismo di Stato viene preso di mira dai rivoluzionari solo lui si trova nel mirino.

Nel caso del nostro arresto, il 4/12/10, le autorità di polizia e giudiziarie hanno tentato per la prima volta di imporre vari trucchi per superare la mancanza di sostanziose prove incriminanti. Ho nominato prima le accuse di partecipazione in una “sconosciuta organizzazione terroristica”.

Questa accusa è stata utilizzata dall’unità antiterroristica e dagli investigatori speciali per 3 mesi, e alla fine l’hanno sostituita con la “partecipazione nelle CCF”, pensando che in questo modo avrebbero realizzato le ambite sentenza pesanti, dato che la “sconosciuta organizzazione terroristica” non è andata bene come speravano.

La stessa accusa è stata ripetuta un mese dopo i nostri arresti, con l’arresto a Salonicco dei 4 anarchici ricercati. Il caso ha raggiunto il processo con questa accusa, mostrando la via che l’oppressione ha scelto per superare la mancanza di prove. La vaghezza intenzionale della legge 187 e 187A è la garanzia che lo status quo legale dell’esclusione si estenderà e diverrà sempre più permanente se gli accusati non possiedono le barriere politiche e se non ci sono spazi politici che percepiscono questo bisogno.

Per il nostro caso sono state letteralmente create delle persone e inserite nei vari luoghi e tempi. Un uomo sconosciuto, “biondo, non rasato, di circa 30 anni”, secondo le testimonianze di Hardalias-Bagatelas, era colui che mi ha offerto la contro-sorveglianza mentre uscivo dall’autobus alla stazione di Agrinio. In una strana coincidenza, la stessa persona sembra incontrarsi con Christos Politis e Kostas Sakkas, in luoghi e tempi differenti.

Questa persona, sconosciuta fino ad allora – nuovamente secondo le testimonianze degli sbirri – quindi collega 3 persone differenti (Ch.Politis, K.Sakkas e me), che non hanno nessun altro contatto. Questa persona è stata riconosciuta quasi dopo 2 anni e in base ad una telefonata anonima, e di nuovo secondo Hardalias, come Tasos Theofilou. E’ stato accusato di rapina e omicidio a Paros, è stato presentato come un assassino e subito tutti i trattamenti riservati a coloro che sono presi di mira dal complesso poliziesco-giudiziario. Per la cronaca, vorrei dire che ho incontrato Theofilou in carcere e che non lo avevo mai visto prima d’allora. Cosa vuole l’unità antiterroristica dirci con questo? Che segue qualcuno per alcuni giorni, vede con chi si incontra, ad un certo punto arrestano gli altri senza qualcuno per collegarli, e allora dopo due anni quando lo arrestano (il primo) per un altro caso lo accusano anche per il caso originario.

La sequenza degli eventi rivela la logica con la quale le autorità giudiziarie e della polizia “risolvono” i casi quando mancano le prove. Non scordiamoci, di nuovo secondo Hardalias, che Kostas si incontrò sull’isola di Nafpaktos con un “uomo sconosciuto, di circa 30 anni”, a ad Agrinio con “una donna alta circa 1,55cm, che portava uno zaino”. Come nel caso di Theofilou, stiamo parlando di descrizioni che assomigliano a migliaia di persone, e quando l’occasione (della polizia) lo richiede qualcuno che si adatta alla descrizione può essere accusato nuovamente per questo caso.

A questo punto è importante sottolineare le bugie dette da Hardalias-Bagatelas nelle loro testimonianze sulla mia sorveglianza. Secondo le loro testimonianze, quindi, mi videro per la prima volta il 30/11/10 alla stazione ad Agrinio, quando uscivo dall’autobus con un individuo – che dopo due anni fu riconosciuto come Theofilou – che mi copriva con la contro-sorveglianza. Permettetemi quindi di accettare l’affermazione che con me in realtà c’era qualcuno alla stazione degli autobus di Agrinio. Prima domanda: dato che gli sbirri là presenti non mi videro comunicare (verbalmente, con telefono o a gesti) in che modo hanno compreso che eravamo insieme? Perché uno sbirro che vede due individui sconosciuti, uno che hanno visto prima incontrarsi con un altro “sospetto”, l’altro che non hanno mai visto, invece di seguire il primo si mette a seguire il secondo?

La risposta di Bagatelas a queste due domande è stata “criteri di polizia”. Seconda domanda: Hardalias dice che mentre io stavo prendendo il mio bagaglio dall’autobus, l’uomo sconosciuto mi stava accanto e osservava l’area. Bagatelas – che fu il testimone oculare secondo la sua testimonianza – dice che l’uomo sconosciuto si spostò di circa 10-15m, una non tanto piccola distanza per la sorveglianza operativa in una piccola, rurale stazione degli autobus.

Se i due sbirri sono in disaccordo su qualcosa di così semplice è semplicemente perché là non c’era nessuno con me.

Terza domanda: come può una persona offrire la copertura ad un’altra se viaggiano con lo stesso mezzo di trasporto? Cosa in più possono vedere? Assolutamente nulla. Quarta domanda: la stazione degli autobus ad Agrinio è piena di telecamere.

Anche se le immagini di telecamere sono state portate da altri luoghi – es. banca del Pireo, il negozio Praktiker – l’unità antiterroristica non ha dimostrato lo stesso zelo per le immagini dalla stazione degli autobus che gli avrebbero anche aiutato ad identificare l’individuo sconosciuto. Perché?

Queste domande-riflessioni sono retoriche e soggette ad una sola risposta. Gli sbirri stanno mentendo quando dicono che c’era un’altra persona con me alla stazione degli autobus. Mentono anche quando dicono che Christos Politis, che in un certo momento passò tre vie sotto la via Praxitelous, offriva la contro-sorveglianza ad Alexandros.

Da quanto detto sopra è chiaro che l’unità antiterroristica crea le impressioni che vengono dopo convalidate dagli investigatori per allargare i cerchi repressivi. Un’altra domanda che sorge è legata al controllo della mia carta d’identità. Hardalias-Bagatelas dicono che fino a quando non mi hanno portato nella questura di Atene io non ho gli detto il mio nome e non gli ho dato le mie impronte digitali. Allora come è possibile che Papathanasakis-Hardalias mi chiamavano per nome fin dall’inizio?

Come è possibile che 4 ore dopo il mio arresto hanno perquisito la casa dei miei genitori? Conoscevano già il mio nome, sapevano chi avevano arrestato e lo hanno dimostrato in questo modo: il 1/12/10, mentre camminavo lungo la strada semi-centrale di Agrinio ho notato una macchina in mezzo alla strada. Quando mi avvicinai il passeggerò uscì chiedendomi di aiutarlo a spingere, mentre il conducente rimaneva in macchina.

Naturalmente, ho accettato e così ho lasciato le mie impronte sulla macchina, cosa che portò alla mia identificazione. E dico questo per informare gli altri compagni che si possono trovare in una situazione simile. La creazione delle false impressioni per promuovere il piano repressivo non riguardava solo la presenza delle persone in luoghi e tempi e i contatti inesistenti con altre persone, ma è andata anche un passo oltre. La repressione della polizia sposa il sapere scientifico per creare la repressione scientifica. L’utilizzo del DNA come prova è la pietra miliare della repressione scientifica nell’epoca in cui stiamo vivendo.

L’indagine della polizia la presenta come un metodo assoluto per individuare i reati penali e solitamente l’autorità giudiziaria è disposta ad accettare la loro proposta. Utilizzando un metodo chiaramente scientifico, l’indagine della polizia si copre con il mantello dell’oggettività e afferma l’infallibilità dei suoi risultati. In una fase precedente della procedura è stato analizzato da un testimone-specialista che il DNA non può in nessun caso scientificamente accettato rappresentare una supposizione di contatto di qualcuno con degli oggetti, o provare la sua presenza negli spazi.

Come ognuno può facilmente dedurre, il materiale biologico di una persona può essere trasferito su e da ognuno che è venuto in contatto con essa. Inoltre, gli sbirri-testimoni del DSCV che hanno testimoniato – tra di loro anche Bagatelas – hanno menzionato l’approssimazione con cui è stata condotta l’indagine sui nostri oggetti e nelle nostre case, qualcosa che è stato coperto con le allusioni alla scientifica riguardo il “giustamente insultati”.

Tutto questo ovviamente è noto agli sbirri del DSCV e alla scientifica, così come agli investigatori speciali. Accettare il DNA come prova semplicemente legittima in un modo “oggettivo-indiscutibile”, la creazione dei cerchi tangenti di conoscenze con lo scopo di istituire uno scenario poliziesco-giudiziario. Specificamente nel nostro caso, il DNA è stato usato per creare una falsa immagine.

Il ritrovamento di un non identificato, fino ad adesso, tipo di DNA, chiamato X15, trovato – secondo la polizia – sia in casa nostra che in casa di un anarchico accusato per il caso di Lotta Rivoluzionaria, è stato utilizzato come conferma per la teoria della polizia sulla “trasmissione fluida-compressa”, una teoria che propone che gli accusati di partecipazione in organizzazioni rivoluzionarie armate mantengono per forza tra di loro relazioni personali.

L’esistenza di decine di tipi di DNA sconosciuti, collegati ai casi battezzati CCF, attendono la loro identificazione, di conseguenza con gli individui che ho menzionato sopra, sconosciuti agli investigatori. In un altro arresto di una di queste persone, per un altro motivo, l’accusa di partecipazione nelle CCF sarà aggiunta in base ai ritrovamenti del DNA. In realtà, con l’ampliamento dell’uso di questo metodo si amplia allo stesso modo il controllo sociale.

L’estrazione violenta del DNA dagli anarchici arrestati per i vari casi, l’estrazione sotto ricatto da decine degli abitanti di Halkidiki, lo scippo degli oggetti personali per prelevare il materiale biologico dalle case degli anarchici durante le perquisizioni degli ultimi due mesi, senza nominare centinaia di altri casi penali, dimostrano l’intento del dominio di creare un bio-database, dando la priorità agli anarchici come parte sociale più radicale e quindi più pericolosa. La rivelazione dei metodi del nemico è importante quando diventa un’esperienza acquisita del movimento rivoluzionario. Solo nei casi battezzati CCF ci sono stati a decine di persone pedinate, arrestate, alcune sono state fotografate e imprigionate, solo per essere alla fine prosciolte da tutte le accuse. Un approccio ingenuo presenterebbe gli sbirri antiterrorismo, gli investigatori speciali e i PM come degli sciocchi, tipo Clouseau o degli incapaci.

Io credo che questi presunti errori siano parte di un piano per allargare la repressione. Quando esiste un tentativo di attribuire una tono criminale alle relazioni interpersonali, di persone che semplicemente appartengono allo stesso spazio politico rivoluzionario, non esistono errori, al contrario il piano repressivo si evolve e perfeziona. Contrariamente a questo l’internalizzazione della paura e l’introversione spianano la strada a tali iniziative repressive. Al contrario, l’azione aggressiva anarchica può solamente affrontare il nemico su tutti i campi, politico, ideologico, organizzativo, militare. E qua la mia citazione dei fatti dell’accusa si conclude, e continuo con la mia dichiarazione politica.

Come nel settembre 2009 quando è stata emesso il mio mandato d’arresto, ho scelto la clandestinità.

Questo è un dilemma che può incontrare chiunque si inserisca al lato della rivoluzione, e ognuno risponde in modo diverso, addirittura una stessa persona potrebbe dare risposte differenti in situazioni differenti della propria vita. La mia decisione è stata una combinazione della mia percezione anarchica politica, perché non avevo intenzione di sottopormi spontaneamente al giudizio dei lacchè giudiziari, e dell’amore per la libertà. In verità, pensandoci a freddo, deduco che questa mia tensione istintiva per la dolce sensazione di libertà è ancora più intensa della mia decisione politica di non arrendermi.

I ritrovamenti che mi incriminano (armi, documenti falsi, case) sono collegati anche a questa scelta, e alla mia posizione ostile, in generale, verso lo Stato e il capitale. La clandestinità è una scelta presa da migliaia di rivoluzionari nella storia, e per quanto mi concerne la continuo a sostenere sia al livello politico che su quello emotivo, per ogni individuo che ha deciso di mantenere o riacquistare la propria libertà. Inoltre, quando esiste un motivo politico si tratta di un’altra scelta di lotta, di una scelta militante, e i rivoluzionari devono difenderla come tale.

La scelta della clandestinità ha un costo elevato per ogni persona, poiché si viene violentemente separati dai propri cari, le relazioni si sospendono e i contatti diventano molto selettivi.

Per un soggetto politico questa scelta porta un peso in più, dato che si viene rimossi da una più ampia zimosi sociale/politica e l’interazione con molti compagni viene particolarmente limitata.

In questa condizione il conflitto con il meccanismo statale assume un carattere puramente militante, un campo in cui lo Stato ha il sopravvento. Tutto questo, ovviamente, è controbilanciato dalla libertà dei movimenti che acquisti quando ti sposti invisibile tra i meccanismi repressivi. La soddisfazione di muoversi senza la carta d’identità, senza nulla che ti collega alle esistenti relazioni sociali mediate, è qualcosa di indescrivibile. Posso senza riserve dire che il tempo trascorso nella clandestinità era composto da giorni più liberi della mia vita.

La legge 187 descrive un’organizzazione criminale come un “gruppo strutturato di 3 o più persone, con ruoli distinti e azione costante finalizzata a commettere alcuni reati, e membri sono coloro che volontariamente assoggettano la propria libera volontà agli scopi dell’organizzazione”. Molto semplicemente, quindi, le organizzazioni criminali sono:

– I gruppi bancari, le società di brokeraggio, i conglomerati d’investimento, le multinazionali industriali e altri, e i loro membri sono coloro che in qualsiasi modo contribuiscono al buon funzionamento di queste istituzioni. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, rapine, frodi, ricatti, di ipotecare e distruggere il futuro delle prossime generazioni, e di desertificare intere aree geografiche.

– Ogni sorta di politici e i loro adulatori consiglieri di corte che gestiscono i profitti della precedente organizzazione criminale. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, rapine, frodi, ricatti, di ipotecare e distruggere il futuro delle prossime generazioni, e di desertificare intere aree geografiche.

– Gli assassini in uniforme delle forze armate e di sicurezza, che proteggono le due precedenti organizzazioni criminali esercitando la loro forza sul resto della popolazione, e sono responsabili di reprimere ogni tentativo di resistenza. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, torture e stupri nelle stazioni di polizia, nei campi di concentramento per gli immigrati, sulle frontiere di terra e di mare, per le strade, di rapine, ricatti, spaccio di droga e traffico di persone.

– L’organo giudiziario che si assume il compito di punire ognuno contrario agli ordini delle prime tre organizzazioni criminali, e ogni giudice, pubblico ministero e il resto del personale che li appoggia. Sono accusati di: migliaia di rapimenti di persone che seppelliscono nelle galere, istigando e favoreggiando molteplici e continui omicidi di migliaia di persone che si svolgono nelle carceri, nelle rapine e nei ricatti.

– L’organo di correzione e ogni direttore del carcere, secondini e il resto del personale che in qualunque modo contribuisce al buon funzionamento della più inumana istituzione della democrazia civile. Sono accusati di: decine di omicidi all’anno, torture, ricatti e spaccio di droga.

– Il complesso dei media, dai proprietari dei canali TV fino all’ultimo giornalista che copre tutte le sopra citate organizzazioni criminali, diventando complice nei crimini di sopra.

Tutte le organizzazioni criminali sopra citate possiedono una struttura gerarchica e sono continuamente in azione.

Agendo in modo coordinato e operando congiuntamente di fatto, in un modo, con estensioni e nelle condizioni che seriamente danneggiano il paese e la sua popolazione. Pertanto, esiste una seria motivazione per rafforzare la legge N.187A. Queste sono le vere organizzazioni terroristiche e queste sono le accuse contro di loro. E’ da qui che proviene il terrore e non da coloro che scelgono di attaccarli in tutti i modi.

Loro sono ogni giorno processati dai rivoluzionari in ogni angolo della Terra. Saranno completamente condannati quando la precedente apatia sociale si snatura nella coscienza infuriata e nelle capacità organizzative. Però, non preoccupatevi onorevoli giudici e altri membri del resto della organizzazione terrorista. Non sarete processati con il vostro marcio codice giuridico, ma con il codice dettato dalla dignità insorta contro i dominatori.

Da anni ormai è diventato evidente che anche sul territorio greco il capitale sta ristrutturando lo Stato verso una forma più concentrata, che possa garantire la continuazione della sua redditività, sia al livello interno che su quello internazionale. Per questo motivo lo Stato si sta fortificando politicamente, tecnologicamente, giuridicamente, militarmente e ideologicamente. Il sistema sta cercando di superare le proprie contraddizioni e organizzarsi ad un livello organizzativo più aggiornato.

Quelli di noi che si riconoscono come rivoluzionari devono rivelare e intensificare le sue contraddizioni, organizzarsi e attaccarlo su tutti i livelli. Dove il regime parla di crisi, noi possiamo ancora una volta porre la questione della rivoluzione. Il superamento della crisi può essere risolto solo in un modo assoluto.

Con la distruzione di tutte le autorità, dello Stato e del capitale nelle nostre vite. Con l’anarchia.

Durante la mia dichiarazione politica ho evitato di parlare in termini di innocenza o colpevolezza.

Sono un anarchico e non mi interessano queste procedure.

Credo che tali processi non sono d’interesse per le loro conseguenze giuridiche, ma per le loro più ampie estensioni sociali e politiche.

Nei testi pubblici, come anche in quest’aula, ho dichiarato di non essere un membro delle CCF. Tuttavia, sono consciamente colpevole di essere un anarchico, fiero di esserlo, e lo difenderò, se questa colpa riguarda la mia appartenenza al movimento anarchico e la mia posizione aggressiva verso il dominio.

Per questo io credo che questo tribunale non è competente per processare me o ogni azione rivoluzionaria. Proprio come la oppressione, la rassegnazione, la paranoia autoritaria e la mediazione non hanno posto nelle aule dei tribunali, non c’è quindi posto neanche per la resistenza, per la dignità e per la solidarietà.

Queste sono le relazioni sociali, sono giudicate e giudicano ogni momento.

Concludendo la mia dichiarazione politica vorrei chiarire che non accetterò nessuna domanda da parte dei giudici. Non voglio aprire un dialogo con i rappresentanti dell’autorità giudiziaria, proprio come ho evitato durante tutta questa procedura di rispondere completamente ai commenti del presidente e del PM.

Ho conservato le mie ultime parole per il mio amico e compagno Kostas Sakkas, con il quale ho condiviso la clandestinità, la galera e una parte di questo processo.

Il mio amico e compagno che ha combattuto, nonostante le difficoltà, contro il totalitarismo poliziesco-giudiziario, e la sua lotta ha ispirato un movimento multiforme di solidarietà.

Il mio amico e compagno che insiste nel esigere la propria libertà ottenuta con tale difficoltà.

Noi continuiamo… “Fino alla fine, fino alla vittoria…”

Traduzione: RadioAzione [Croazia]